È l’ottobre del 1939 e da circa un mese, sulla Polonia, piovono le bombe della Luftwaffe, l’aviazione militare tedesca. A Belchatow, così come a Varsavia, i cittadini di religione ebraica sono rinchiusi nei ghetti ma c’è qualcuno che proprio non ci sta. Per esempio un giovane coraggioso e forte di nome Hertzko che, durante un’ispezione, manda KO con un pugno un soldato tedesco. Per questo è subito arrestato e portato nel campo di prigionia di Poznan, lungo il fiume Warta. Il suo numero, l’infame simbolo di quello che sta succedendo, è il 144738. Dopo l’internamento, seguono due anni durissimi di sopravvivenza finché il sovraffollamento del lager non costringe le autorità tedesche a trasferire una parte dei prigionieri in un campo più grande. Hertzko fa parte di questo gruppo e sale su uno dei due primi convogli diretti ad Auschwitz, pagando il biglietto perché i Tedeschi vogliono far cassa anche con la morte degli Ebrei. Il campo di concentramento, tristemente famoso in tutto il mondo, in realtà è un campo di sterminio perché, nell’estate precedente, Himmler ha convocato Hess a Berlino e l’ha messo al corrente della decisione del Führer di attuare la “soluzione finale”, lo sterminio scientifico e sistematico di tutti gli Ebrei. Hess obbedisce, del resto per lui quello è un ordine come tanti altri e, ad Auschwitz, i nazisti hanno iniziato a fare esperimenti con il gas. Le condizioni di quel viaggio verso l’inferno oggi le conosciamo tutti: niente luce né riscaldamento, nessuna intimità o umanità e all’arrivo sono fatti scendere dal treno solo i maschi adulti, naturalmente quelli in forze perché gli altri non smontano nemmeno dal convoglio. Tra di loro c’è Hertzko, il cui vigore è misurato con un terribile esame, fatto di piegamenti, ginnastica durissima, botte e umiliazioni. Lui è un combattente, temprato da mille battaglie sul ring, e resiste per tutto l’inverno e l’estate seguente ma, in autunno, sembra vacillare. Alla fine stringe un patto con un ufficiale del campo: disputerà dei match contro altri prigionieri e in cambio avrà del cibo ma la conseguenza terribile di questo “gioco” è la morte dello sfidante perdente. Contro i suoi valori e la sua umanità Hertzko resiste e intanto l’Armata Rossa è sempre più vicina al campo. La salvezza è alle porte ma le SS non vogliono che ci siano sopravvissuti e così spostano i prigionieri da un campo all’altro, costringendoli a marce massacranti, durante le quali molti di loro perdono la vita. La prima tappa è Flossenbürg, dove muore, tra gli altri, anche il fratello del futuro Presidente Pertini, da lì si riparte ma Hertzko riesce a fuggire nascondendosi tra gli alberi e, dopo pochi kilometri, è tratto in salvo da alcuni soldati americani. Alcuni mesi dopo la guerra finisce. Resta in Baviera per i due anni successivi, dove vince un torneo di boxe per rifugiati ebrei davanti a diecimila persone, in seguito si sposta negli Stati Uniti, dove inizia una brillante carriera, vincendo i suoi primi dieci incontri per knock out. Il suo nome comincia a farsi strada nel mondo del pugilato professionistico, in gran parte controllato dalla mafia italoamericana, molti appassionati iniziano a parlare di Herschel l’Ebreo ma, il 18 luglio del 1949, Haft affronta e perde il suo ultimo incontro. Va al tappeto alla terza ripresa, colpito dal gancio di un giovane pugile italoamericano, un certo Rocco Marchigiano, che diventerà famoso con il nome di Rocky Marciano. Non c’è dunque disonore a essere battuti da quello che, per molti, è il più grande pugile di sempre. Molti aspetti della vita di Haft si sono rivelati in seguito romanzati ma, come ha detto il giornalista sportivo Bernd M. Beyer, “L’autenticità e l’intensità del suo racconto non ne vengono inficiate”.
Patrizio Pitzalis