Con la formazione del governo giallorosso, che ha giurato l’altroieri, cambiano i titolari di tutti i ministeri, così come la maggior parte delle loro appartenenze politiche. Se gli occhi dei riflettori sono tutti puntati sul neo ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, non tanto per la sua comprovata competenza dimostrata in 40 anni di servizio al Ministero quanto piuttosto per la sua totale allergia ai social media, ha fatto certamente altrettanto scalpore la nomina alla Farnesina di Luigi Di Maio, ex Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico e capo politico del m5s.
Un ministero, quello degli Esteri e della Cooperazione Internazionale, che prima del fu bibitaro del San Paolo (non ce ne vogliano i bibitari, lavoro onorevole come tanti altri) ha visto sedere al suo timone personalità di un certo calibro quali Aldo Moro, Pietro Nenni, Giulio Andreotti, Giuseppe Saragat (e, più recentemente, Federica Mogherini, oggi Alto Rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea uscente); un Ministero cardine per il futuro dell’Italia non solo perché è fra quelli “con il portafogli”, ma anche perché è attraverso questa struttura che si decide l’allineamento europeo e internazionale del nostro Paese.
L’insediamento di Di Maio agli Esteri rappresenta certamente un brutto colpo per tutti quei giovani che spendono gli anni migliori della propria gioventù chini sui libri di Relazioni Internazionali con il sogno di intraprendere la carriera diplomatica, ma non tutti i mali vengono per nuocere: se da una parte può essere avvilente vedere un totale profano della questione, ignorante, illetterato e senza esperienza, occupare una poltrona di così grande peso e prestigio, dall’altra va sottolineato come un simile inetto sia molto meno dannoso agli Esteri rispetto al MiSE. Questo perché se nel MiSE il margine di manovra politico è senz’altro maggiore, sull’operato della Farnesina pesano non solo una struttura fortemente tecnica, estesa e gerarchizzata in modo granitico sul principio della competenza (molto spesso selezionata attraverso il più arduo concorso pubblico del Paese!), ma anche una storia di rapporti internazionali consolidati difficilmente scardinabili dall’agire politico di un singolo, per quanto pernicioso possa questo essere nelle intenzioni. Salvini, seppur in un diverso dicastero, ha tentato fra le altre nefandezze di modificare l’allineamento politico dell’Italia: gli effetti di questa sua manovra lo hanno portato a piangere sui social, spogliato dei suoi poteri istituzionali.