IL ‘PIFFERAIO’ DI MANET E LA CIOCIARIA

‘Le Fifre’ di E.Manet

La Storia vuole che il tema: ‘ciociaro’ sia tra i più noti al mondo poiché, per stralciarne una componente, tra fine ‘700 e prime decadi del ‘900 il personaggio ciociaro assurse in pittura al ruolo di uno dei due/tre soggetti più noti e più amati dagli artisti occidentali: anche i massimi quali Corot, Manet, Cézanne, Van Gogh, Picasso hanno dipinto ed eternato il ciociaro nelle sue apparizioni come pecoraro o pifferaro o zampognaro o brigante sia la donna nelle sue varie mansioni e, ancora di più, come modella di artista; inutile aggiungere che la letteratura, la musica, il cinema se ne occupano da sempre. Risultato è che questo personaggio è presente in tutti, o quasi tutti, i musei e gallerie del pianeta e la figura del brigante, del pifferaio, dello zampognaro quali attuali e vivi nello scibile universale, sono solo ciociari. Tale puntualizzazione si è resa indispensabile per meglio mettere in risalto quanto qui appresso.

Con grande impatto mediatico sta avendo luogo a Milano a Palazzo Reale una grande esposizione di 17 opere di Edouard Manet e di 50 di altri artisti suoi contemporanei. Tra le opere esposte gode attenzione una delle più famose dell’artista ‘Le joueur de fifre’ oppure semplicemente ‘Le fifre’: come l’iconografia indica, si tratta di un ragazzo in abiti militari che suona un piccolo flauto traverso, che in italiano, stando ai dizionari, corrisponde a ‘fiffaro’ che, come leggiamo anche in Wikipedia: “Il fiffaro è genericamente un flauto traverso….. usato prevalentemente dalle bande militari…” medesima definizione si rinviene in un vecchio Larousse. Quindi tutto collima: fifre o joueur de fifre, uno strumento di solito militare, della famiglia dei flauti, dal timbro molto forte e distinto, analogo alla cornamusa scozzese. In verità, per inciso, andrebbe anche aggiunto che un conoscitore attento della strumentazione musicale avrebbe difficoltà a riconoscere in un modesto ‘fifre’ o ‘fiffaro’ militare, un classico flauto ottavino in prezioso legno di ebano con chiavi in argento quale quello illustrato nel dipinto in questione, come mi fa osservare un esperto. Ma questa è questione che attiene all’origine del titolo in francese.

A parte solo quello di pigrizia e di piatta scopiazzatura, è unicamente in verità, a mio avviso, il concetto di scarsa o nulla considerazione del termine ‘ciociaro’ che porta alla traduzione italiana generalmente impiegata del termine francese ‘fifre’ con ‘pifferaio’, commettendo in tal modo una ingiustificabile appropriazione: invero, troppo noto è lo strumento ‘piffero’ grazie soprattutto se non unicamente al suo abituale collegamento col personaggio ciociaro nella pittura setteottocentesca europea, per non rendersi conto della vera e propria incongruenza per non dire assurdità nello scambiarlo con un pregiato flauto! ‘Pifferaio’ non ha nulla a vedere con il dipinto celebre di Manet che, al contrario, lessicalmente illustra il fiffaro o flauto traverso o semplicemente flauto: continuare con ‘Pifferaio’ significa anche piombare il visitatore/lettore nella confusione e altresì spersonalizzare lo strumento medesimo ‘Piffero’, togliergli le sue peculiarità. Il ‘fifre’ o ‘fiffaro’ è lo strumento della famiglia dei flauti di cui Severino Gazzelloni, ciociaro di Roccasecca, fu il riconosciuto maestro internazionale: il piffero invece, pur essendo un aerofono, uno strumento a fiato, come il flauto, appartiene ad altra famiglia di strumenti musicali (oboi, clarini, ecc.) e, molto distintivo, si suona, di regola, per mezzo di una doppia ancia, o linguetta, laddove i flauti come si sa sono labiali oppure a bocca quelli, rari, dritti. La tradizione classica e letteraria registra ed illustra il piffero da sempre e, in forme più primitive, sin dai tempi più remoti della umanità, anche con certe gustose implicazioni apoftegmatiche non disgiunte, come fa notare il professor Bignardelli, da ataviche connotazioni apotropaiche: ecco perché sostengo che possiamo parlare di ‘pigrizia’ e di ‘scarsa considerazione’ nel perpetuare, da parte degli addetti al lavoro, l’errore pertanto ben visibile. Da aggiungere che il piffero non fa parte della strumentazione musicale classica, bensì della tradizione contadina e dei girovaghi e musici nomadi: è uno strumento umile e primitivo che di norma i girovaghi stessi costruivano: il suo mondo è il folklore degli artisti itineranti e la tradizione pastorale. La documentazione pittorica, anche scultorea e anche poetica e letteraria, è immensa e identifica il piffero sostanzialmente con lo strumento che gli artisti europei hanno ritratto nelle loro opere per centocinquantanni, vale a dire quello in mano alla umanità ciociara in giro per il mondo: l’universalmente famoso pifferaio di Hamelin non è illustrato con lo strumento del quadro di Manet bensì con lo strumento che suonavano i ciociari nelle vie della emigrazione, cioè il vero piffero. Il pittore de Pisis dipinse un bel quadro dove si vede un ragazzo che di nuovo suona il medesimo strumento di Manet e il titolo è quello giusto di ‘Il suonatore di flauto’. Ma allora come mai la grossolana traduzione? Il Prof. Bignardelli, celebrato maestro di flauto, da me interpellato del suo parere, ha dato una ben verosimile spiegazione parlando, per analogia, del titolo ‘Il Pifferaro’ che l’editore milanese nella metà dell’Ottocento aveva dato alle composizioni per flauto del Maestro Cesare Ciardi, resosi conto del successo che circondava quello strumento, il piffero: lo scaltro editore fece ricorso a quel titolo per invogliare i suonatori di flauto, a quel tempo numerosi, ad acquistare le composizioni da lui stampate, facendo diventare il piffero un flauto! La

medesima spiegazione è ben possibile valida anche per la traduzione di ‘fifre’ con ‘pifferaio’! Quanti conoscevano il fiffaro o flauto e quanti invece il piffero?

Quindi ‘pifferaio’ o ‘pifferaro’ impiegato per rendere in italiano il celebre quadro in discussione non rappresenta solo un palese a dir poco strafalcione, quanto aggiunge legna sul fuoco che porta sistematicamente al continuo degrado e alla permanente confusione letteraria e scientifica del concetto di ‘ciociaro’! Il suo evidente ed univoco titolo è: ‘Il flautista’ oppure, come suggerisce il Maestro Bignardelli, ’L’ottavino’.

Michele Santulli

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