Palazzo Donn’Anna, romantico mistero.

Una delle immagini più suggestive di Napoli è quel palazzo dal fascino decadente che si poggia sullo specchio del mare, come un’immagine onirica sospesa tra sogno e realtà.

Palazzo Donn’Anna venne costruito a metà del 1600 per volere di donna Anna Carafa, consorte dell’austero Ramiro Felipe Núñez de Guzmán, viceré, duca di Medina de las Torres, nonché Tesoriere Generale del Regno d’Aragona.

Questo marito, ambizioso ed arrivista, cercò, per il tramite del matrimonio con la facoltosa partenopea, di ottenere cariche ed incarichi che accrescessero il suo prestigio. Anna Carafa della Stadera, principessa di Stigliano e duchessa di Stabbioneta, figlia unica di don Antonio, duca di Mondragone, e di Elena Aldobrandini, nipote di papa Clemente VIII, erede di vasti possedimenti, pose come condizione nuziale la permanenza nella città di Napoli, all’epoca prestigiosa capitale europea di gusto e cultura, nonché la carica di viceré. Le trattative matrimoniali divennero così complesse da nominare una commissione, appositamente costituita, al fine di redimere eventuali difficoltà, per cui intercedette lo stesso re Filippo IV che, sensibile e generoso, concesse il vicereame di Napoli, in quel momento occupata dal conte di Monterrey, favorendo lo sposo.

Il governo del viceré Núñez de Guzmán durò fino al 1644 e affrontò difficoltà e complessità economiche e naturali: un’altra eruzione del Vesuvio, dopo la violenta eruzione del 1631, numerosi terremoti, l’imposizione di esose tasse per effetto del conflitto franco spagnolo della Guerra dei Trent’anni, l’aumento della povertà e varie epidemie che decimarono la popolazione ed ingenerarono malcontento ed un tentativo di ribellione, nel 1644, sobillata dai francesi che anticipò la rivolta di Masaniello. Ciò nonostante il vicerè tagliò alcune tasse e arredò, abbellendo urbanisticamente, la città, a partire dalla strada che prende il suo nome: via Medina.

Anna gli diede tre figli: Nicola Maria, Domenico e Aniello de Guzmán e Carafa.

Il progetto edilizio fu affidato a Cosimo Fanzago, uno dei più rinomati architetti dell’epoca, fautore di quel barocco napoletano, spesso non valorizzato, che ancor oggi troneggia nei vicoli della città. Il doppio ingresso: uno, per le imbarcazioni, dal mare e l’altro, per le carrozze, dal lungocosta tortuoso di Posillipo, cristallizza il palazzo quale comunicazione ideale tra le due anime della città e salvò la vita al vicerè in fuga verso Madrid, dai moti insurrezionali.

La prematura morte della committente e la rivolta lasciarono l’opera incompiuta, conferendole l’immagine di rovina antica confusa tra resti di ville romane, grotte ed anfratti del suggestivo tratto costiero, in fronte alla penisola sorrentina e lo sfondo dell’isola di capri.

Nel corso del XIX secolo numerosi passaggi di proprietà hanno spesso mutato la destinazione d’uso, trasformandolo dapprima in fabbrica di cristalli, in albergo (con la famiglia Geisser nel 1870 circa), successivamente nella sede della Banca d’Italia nel 1894. L’edificio è attualmente interamente utilizzato come abitazioni private, vivisezionando il cuore romantico di quelle pietre e sottratto, quindi, alla visita pubblica.

Tante leggende e tanta ispirazione artistica ha suscitato il Palazzo, ancor oggi immagine lirica della città.

 

 

Federico Mattia Ricci

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