“Macchie” del territorio Eike D. Schmidt Direttore delle Gallerie degli Uffizi

Aveva visto bene il granduca Pietro Leopoldo di Toscana, quando nel 1769 da Firenze lanciò la madre di tutte le riforme museali, elemento iniziale della grande riforma dello Stato che dalla valorizzazione di educazione e ricerca portò alla fioritura culturale ed economica di tutto il territorio toscano: l’acquisizione di opere d’arte è compito essenziale di ogni museo vivo, che raccoglie le ricchezze artistiche delle civiltà del passato e del presente, da una parte ai fini della ricerca e dell’attualità della promozione culturale, dall’altra per comunicarne il senso più profondo ai visitatori.

Pietro Leopoldo non soltanto raddoppiò lo spazio espositivo delle Gallerie degli Uffizi (un’operazione che continua oggi, estendendo le aree museali degli Uffizi al piano mezzano e al piano terra, mentre a Palazzo Pitti, dopo aver aggiunto sale e depositi al Museo della Moda e del Costume, ci si accinge a raddoppiare quelli del Tesoro dei Granduchi e ad istituire ex novo gli ambienti del Museo delle Carrozze e del Museo degli Arazzi). Avendo a disposizione palazzi e saloni, una riforma non sarebbe stata tale se si fosse limitata ad ampliare l’offerta in termini di superficie. Infatti, in parallelo, il granduca lorenese arricchì le raccolte degli Uffizi grazie ad acquisti importanti di opere, addirittura di intere collezioni. Seguendo il virtuoso esempio degli avi più illuminati, appena iniziata l’autonomia speciale delle Gallerie degli Uffizi, si è subito provveduto a utilizzare una parte dei proventi dei biglietti per aggiungere opere importanti alle raccolte, cercando di colmare le poche lacune, e garantire al pubblico il godimento di preziosi documenti figurativi che ancora mancano alle collezioni.

In occasione e in anticipazione della Biennale Internazionale dell’Antiquariato, che si terrà a Palazzo Corsini dal 23 settembre al 1° ottobre 2017, le Gallerie degli Uffizi presentano in due mostre alcune delle acquisizioni più importanti dell’ultimo biennio: quella dedicata al doppio ritratto dei figli del granduca Pietro Leopoldo di Toscana, Federico e Maria Anna di Lorena, di Anton Raphael Mengs (Palazzo Pitti, Galleria Palatina, 18 settembre 2017 – 7 gennaio 2018), e la presente esposizione, con bozzetti di Luca Giordano e Taddeo Mazzi per complessi monastici locali, un piccolo gioiello che riunisce opere connesse ai bozzetti e gli autoritratti degli artisti. Il bozzetto di Luca Giordano, tra l’altro, venne presentato al mondo degli studi e dei collezionisti appunto nell’ultima edizione della Biennale dell’Antiquariato fiorentino, nel settembre 2015, e il suo acquisto mi fu proposto e caldeggiato proprio dal funzionario responsabile in uscita, Antonio Natali. La prima mostra delle Gallerie che mette sotto i riflettori i nuovi acquisti è dunque dedicata a due “macchie”, “pensieri”, o “modelli”, uno del tardo Seicento, l’altro del primo Settecento, ovvero il periodo più caratteristico per la fortuna collezionistica di quel genere. Non è un caso: perché con essi si esemplifica molto bene uno degli aspetti cruciali del collegamento tra museo e territorio. Infatti, essendo parte del processo creativo all’interno della bottega dell’artista, dello sviluppo verso l’opera finale, pari ai disegni preparatori già collezionati da Giorgio Vasari nel suo leggendario Libro, il bozzetto si collega in maniera strettissima con opere presenti in città e nei dintorni, opere che tuttavia non si possono spostare (come è il caso degli affreschi di una cupola) o non si devono traslocare (come è il caso di una pala d’altare dipinta per un insieme architettonico – decorativo). Eppure il bozzetto, pur richiamando queste realtà, di per sé non ha avuto mai altra sede se non la mente, la bottega e la personale raccolta di opere dell’artista, oppure in maniera secondaria la collezione di un amante del genere, particolarmente attratto dagli aspetti più intimi del procedimento creativo e dal carattere “non finito” di queste reliquie del pensiero artistico. A Firenze, il protagonista e il pioniere di questo tipo di interessi – assolutamente in anticipo sui tempi – fu il cardinal Leopoldo de’ Medici, il cui quattrocentesimo compleanno celebriamo quest’anno, che agli Uffizi istituì la collezione dei disegni e con uno spirito analogo fondò anche la famosa collezione degli autoritratti. Con l’acquisto dei due bozzetti di Luca Giordano e del ticinese toscanizzato Taddeo Mazzi s’intende altresì proseguire su questo solco, e invitare i visitatori da un canto a calarsi nella mente dei due artisti nel momento della contemplazione museale delle opere, dall’altro a recarsi alla cappella Corsini in Santa Maria del Carmine e al santuario servita di Monte Senario a Vaglia, per assimilare tutta la bellezza delle opere finali (e molto più grandi) in loco. Sarà un cimento straordinario, intellettuale e fisico, dall’idea iniziale alla realizzazione pubblica, dallo spazio chiuso del museo alla città aperta, e al meraviglioso contado con le sue ricchezze nascoste.

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