È autore dei romanzi La demolizione del Mammut (Perrone, 2008, Premio Corrado Alvaro Opera Prima e finalista Premio Tondelli), La città di Adamo (Fazi, 2011, selezione Premio Strega) e La lottatrice di sumo (Fazi, 2015). Per Longanesi ha curato l’antologia Un bacio in bocca (2016). È codirettore artistico di Caffeina Festival e direttore artistico dell’Emporio Letterario di Pienza.
Come difende il momento creativo, la fantasia, dalle distrazioni esterne?
“Non credo che ci sia una contrapposizione così netta. In molti momenti sono proprio le distrazioni, le occasioni di ogni giorno, gli incontri, i movimenti, i viaggi, che alimentano la mia parte più creativa. Lo dimostra il fatto che la pandemia ha molto pesato sulle mie capacità intellettuali e sul mio desiderio di scrittura.”
Quale rapporto ha con la scrittura? Scrive ogni giorno?
“Ho un rapporto molto complesso e direi quasi patologico. È per me difficile scrivere. È un trauma continuo, un’ossessione dalla quale non riesco a trascendere e che condiziona continuamente il mio umore. Può succedere che io riesca a scriver per molte ore di seguito, ma è molto raro: il più delle volte è una dolorosa esperienza di fallimento, insoddisfazione e frustrazione.”
Tema portante del suo libro La città di Adamo è il rapporto padre-figlio. Come mai ha deciso di partire da questo?
“Ho perso i miei genitori molto presto. Ho di loro un ricordo straordinario. Una volta, un’anziana signora che li aveva conosciuti, mi raccontò un episodio che stonava con la loro immagine, ma non potevo attestarne la veridicità in alcun modo. Ho voluto costruire una storia partendo da questo sentimento di impossibilità e di incomunicabilità. Il protagonista di quel mio romanzo, infatti, inizia a dubitare sul passato del padre, ma non sa come dimostrare se i suoi dubbi siano fondati o meno (e se abbia senso farlo).”
Quali sono i suoi capisaldi letterari?
“I libri che mi hanno formato e mi hanno condizionato sono troppi: centinaia di architravi che partendo dal Giornalino di Gian Burrasca, il primo libro in assoluto che ho letto da bambino, arriva a Roland Barthes, retrocede al grande teatro tragico classico, attraversa la grande letteratura orfica e filosofica latina e rinascimentale, esplora di continuo e magmaticamente tutto quello che incontra, anche i generi e le forme più popolari.”
Ha già in cantiere altri progetti?
“Sto progettando un nuovo romanzo molto diverso dai precedenti. Sarà una riscrittura di una storia antica. Voglio per una volta non inventare una trama, ma confrontarmi con un modello del passato. Sono in una fase un po’ classicista: nella velocità e nel vitalismo esasperato del presente, nella consumazione continua dell’io nelle spirali dei social – che beninteso, uso e guardo sempre con estremo interesse – sento il bisogno di una prospettiva più ampia e solida.”
Quali temi le piacerebbe esplorare in futuro?
“Tornare al tema della vita dopo la morte, che ho già raccontato nella Lottatrice di sumo, ma da un’angolazione di tutt’altro genere.”
Ci racconti qualcosa sulla genesi di questo libro. Come nasce “Il tempo umano”? Da quale idea, spunto, esigenza o fonte di ispirazione?
“Da due spunti molto diversi che si sono incontrati. Il primo riguarda la mia passione tutta filosofica per il tempo, che negli anni mi ha portato a leggere un po’ di tutto, da Bergson ai più recenti sostenitori della teoria dei loop, che approda a posizioni inquietanti e paradossali: il tempo non esiste al di fuori di noi, le equazioni fondamentali della gravità quantistica non necessitano di questa variabile. Da lì è nato il personaggio di Alfredo Del Nord, che nel romanzo fonda una tra le più importanti aziende italiane di orologi di lusso. Il secondo spunto invece è di tutt’altra natura: ho rincontrato dopo anni e anni la prima persona di cui mi sono innamorato, quand’ero ancora un bambino. Il tempo umano parte da lì, dal ricordo di quel primo amore perduto.”
Proviamo a far luce sulle esistenze dei personaggi di questo romanzo partendo da Tommaso, docente universitario di letteratura. Che tipo di persona è? Come lo descriverebbe?
“È un uomo narcisista, le attenzioni di una ragazza giovane e attraente non possono che adularlo e spingerlo alla conquista, ma non per amore di lei: per amore di sé. L’incontro con un’altra donna più forte di lui, al contrario, lo pone di fronte a un sentimento oscuro e misterioso che gli fa perdere l’orientamento. Tutti i suoi schemi saltano nel giro di un attimo – e non a caso ho scelto come epigrafe una straordinaria frase di Gautier: «Per quanto casto e sereno siate, un solo attimo può farvi perdere l’eternità».”
Nella scheda del libro sono citati Philip Roth e Ian McEwan. Che tipo di connessione esiste tra “Il tempo umano” e le opere di questi maestri della letteratura mondiale?
“Quei nomi li ha fatti il mio editore, che ha colto qualcosa nella mia scrittura che probabilmente sfugge anche a me stesso. Credo che il libro di Roth che più risponde alle mie corde emotive sia L’animale morente, e non solo per il rapporto erotico tra docente-studentessa che torna anche nel mio Tempo umano. Di McEwan, invece, mi ha molto turbato Sabato per l’analisi quasi entomologica di una giornata qualsiasi.”
Che posto occupa “Il tempo umano” all’interno della sua poetica? Ci sono collegamenti con gli altri suoi libri pubblicati in precedenza?
“È un ulteriore capitolo di un’indagine che indaga alcuni temi a me molto cari: l’interferenza di forze oscure nella vita umana, il rapporto tra caso e destino, lo scorrere del tempo e la sua irreversibilità. In più questa volta c’è il tema dell’amore: non volevo scrivere un romanzo sentimentale, o capire qualcosa su questo sentimento così oscuro, ma utilizzarlo come strumento per sondare l’animo umano.”