Tutti noi abbiamo probabilmente ben presente, pensando alle opere contenute nei Musei Vaticani, la Stanza della Segnatura, il primo degli straordinari ambienti che Raffaello affrescò, insieme alla sua bottega, a partire dal 1508, su commissione di papa Giulio II Della Rovere e che continuò a decorare anche dopo la morte del committente nel 1513, riconfermato – per così dire – dall’immediato successore al trono pontificio, Leone X Medici, uno dei figli del celebre Lorenzo il Magnifico.
Il passaggio da un papa all’altro avviene proprio durante la decorazione della seconda delle Stanze, iniziata nel 1511 e terminata nel 1514. Non a caso, negli episodi e nei ritratti di questa Stanza troviamo celebrati entrambi i papi: l’incontro di Attila re degli Unni con papa Leone Magno è un riferimento al papa omonimo – il quale infatti per la terza Stanza sceglierà episodi legati a Leone III e Leone IV e farà dare loro le sue sembianze – ma nella Messa di Bolsena e nella Cacciata di Eliodoro dal Tempio (affresco che dà nome alla Stanza) è ritratto Giulio II insieme ai suoi cortigiani. Persino gli stemmi alle pareti, in questa Stanza, sono due: da una parte la quercia dei Della Rovere, dall’altra le palle medicee.
Ma il riferimento forse più sottile – e mirabile dal punto di vista artistico – a Giulio II è contenuto nell’affresco che raffigura la Liberazione di San Pietro dal Carcere. L’episodio, tratto dagli Atti degli Apostoli, narra appunto del salvataggio di Pietro, primo papa, ad opera di un angelo inviato da Dio. Le catene (in latino vincula), raffigurate anche nell’affresco, sono conservate e venerate come reliquie nella chiesa romana di S. Pietro in Vincoli, della quale Giulio II era stato – come già suo zio Sisto IV – cardinale titolare, e dove oggi si trova la sua sepoltura, straordinaria (complice il Mosè di Michelangelo) nonostante la notevolissima riduzione rispetto al progetto iniziale, pensato e voluto dal papa col Buonarroti.
Per leggere questo affresco è necessario seguire la traccia luminosa lasciata dalla sapiente composizione di Raffaello.
A colpire è la luce brillante dell’angelo nella scena centrale, luce intensificata dallo stratagemma cromatico delle inferriate, nerissime, che ne esaltano la luminosità per contrasto; i raggi di questa luce colpiscono Pietro, addormentato, e vengono riflessi e moltiplicati dalle armature delle guardie. È sempre la luce dell’angelo a guidare noi e l’apostolo fuori dalla cella, facendo spostare il nostro sguardo a destra, dove ritroviamo anche Pietro, in piedi in mezzo alle guardie colpevolmente addormentate. Il nostro sguardo viene poi catturato dalla concitata scena sulla sinistra, quasi fossimo stati noi stessi a precipitarci a svegliare le guardie dopo aver appreso della fuga del prigioniero; troviamo invece un soldato, che, con la fiaccola in una mano, indica con l’altra la cella, che noi ormai sappiamo essere vuota.
A scandire il movimento rotatorio dell’azione e il trascorrere della notte è la luce, che troviamo declinata in tre diverse forme: quella divina dell’angelo, quella artificiale della fiaccola e quella naturale della luna. Ciascuna cattura il nostro occhio e lo guida nello spazio dell’affresco e nel
tempo della narrazione, rendendo perpetua l’apparizione dell’angelo, la sparizione dell’apostolo, l’arrivo del soldato.
In alto a sinistra la luna splende accendendo di una luce fredda le nuvole che le sono attorno; poco più in basso la calda luce dell’alba trova riscontro nel fuoco della fiaccola. Si tratta di uno dei primissimi notturni della storia dell’arte, e sebbene prima di lui avessero tentato di rendere giustizia alle finezze atmosferiche della notte artisti del calibro di Piero della Francesca e Paolo Uccello, non sorprende che sia stato proprio Raffaello a ricreare una notte che, per dirla con Vasari, “non diresti mai ch’ella fusse dipinta”, “più simile di quante la pittura ne fece giammai, questa è la più divina e da tutti tenuta la più rara”.
Un consiglio, per chi può, è di andare a vedere questo affresco nel tardo pomeriggio o, meglio ancora, di sera, quando la fioca atmosfera notturna, entrando dalla finestra attorno alla quale l’affresco gira, si fonde con la notte dipinta da Raffaello, amplificandone l’estrema raffinatezza luminosa e cromatica.