La fama dei Borghese, papa – Paolo V (al secolo Camillo) – e nipote – il cardinal Scipione – è strettamente legata alla straordinaria collezione di antichità e opere d’arte che, perfettamente in accordo col tempo in cui sono vissuti e con la posizione sociale e politica che hanno ricoperto, hanno accumulato e gradualmente sistemato nella Villa loro omonima, di proprietà del cardinal Scipione, in quella che oggi conosciamo e visitiamo come Galleria Borghese.
Siamo all’inizio del Seicento e il mercato antiquario va a gonfie vele: qualsiasi cardinale, principe e sovrano vuole una collezione di marmi antichi: busti, statue, sarcofagi e qualsiasi cosa emerga dal sottosuolo romano diventa oggetto del desiderio di uomini potenti e nobili famiglie, come status symbol e come mezzo per glorificare il proprio potere.
Anche il mercato dell’arte, interessato ai grandi maestri del passato recente ma anche all’arte contemporanea, è in fermento. Nella richiestissima bottega romana di Giuseppe Cesari, pittore noto come Cavalier d’Arpino, un talentuoso giovane che realizzava anche quadri, per così dire, d’arredamento, che gli avventori potevano vedere, volere e acquistare sul momento.
Il giovane in questione, Michelangelo Merisi, sarebbe poi diventato artista celeberrimo – ancora oggi oggetto d’elezione di mostre e documentari – e di conseguenza nome richiestissimo sul mercato. In prima linea tra i compratori romani c’era, naturalmente, il papa, che nel 1607 era proprio Paolo V Borghese, mecenate e zio dell’attivissimo cardinale e collezionista Scipione Borghese.
Il caso, arridendo ai due Borghese e forse (sospetti legittimi) spinto e favorito proprio da loro, ha voluto che il Cavalier d’Arpino venisse accusato – da emissari del papa – del possesso illegale di armi da fuoco. Venne processato e costretto a donare alla Camera Apostolica un centinaio di dipinti che facevano parte della sua quadreria. Tra questi dipinti c’erano anche il Bacchino malato e il Giovane con canestra di frutta.
Poco dopo, naturalmente, il papa donò la collezione che era stata del Cavalier d’Arpino al suo nipote amante delle arti, motivo per il quale oggi sono appesi alle pareti di una delle sale più frequentate della Galleria Borghese.