Il regista statunitense Wes Anderson è ben noto al pubblico internazionale per la sua eccentricità. La sua firma ora posa per un nuovo lungometraggio, uscito nelle sale italiane l’11 novembre. In molti hanno avuto la tentazione di paragonare il neonato The French Dispatch al suo fratello di regia, il campione d’incassi del 2014: Grand Budapest Hotel. Sebbene la tecnica di utilizzare una cornice narrativa comune per presentare più storie e soggetti sia simile, poco altro hanno in comune le due produzioni cinematografiche.
The French Dispatch è un periodico statunitense che trova la propria ragion d’essere nel suo ideatore, votato a portare un frammento della Francia del XX secolo nelle lande del Kansas attraverso articoli di giornale. A differenza di Grand Budapest Hotel, il collante delle storie non è un luogo, ma è il The French Dispatch stesso, con la sua materialità cartacea trasposta sullo schermo.
Se in tanti hanno provato a rendere giustizia ad un romanzo attraverso un film, Anderson è forse stato uno dei pochi, se non l’unico, a tentare lo stesso con il giornale, creatura vintage destinata a perire o a cambiare la propria natura nel formato digitale. Lo spettatore, minuto dopo minuto, ha la sensazione di star sfogliando le pagine ingiallite del The French Dispatch; ogni storia è tarata sulle battute degli articoli in una proporzionalità diretta: a un racconto più lungo corrisponde una scena più lunga. Nulla è posto a casaccio, compresi l’inizio e la fine in ring composition. Un gioiello cinematografico da non perdere, “una lettera d’amore nei confronti dei giornalisti, ambientata nella sede di una rivista statunitense in una città francese del XX secolo”.