Come altri titoli recenti hanno già dimostrato al cinema il genere d’avventura tra mappe, giungle e tesori da scoprire non gode di grande successo visti i grandi predecessori del genere che hanno dominato negli anni ’90.
Perché allora non cercare un nuovo approccio al genere? Andandolo a “sporcare” all’interno di una cornice da commedia leggera, frizzante e con un’ottima scelta di cast? The Lost City cerca di riaspondere a questa domanda tramite un prodotto fresco, che sa di nuovo. Quello diretto dai fratelli Nee si potrebbe definire un lavoro “capitalistico” minimo sforzo che genera il massimo risultato.
Troviamo una scrittrice di romanzi rosa, Loretta Sage, interpretata da Sandra Bullock, dotata di una fervida immaginazione bloccata nella stesura del finale del suo ultimo libro, costantemente pressanta dalla sua agente; situazione che l’ha portata a collaborare con il modello beniamino delle fan Alan, interpretato da Channing Tatum.
Senza troppi preamboli, ma giusto un filo di presciolosità, il film introduce anche il cattivo, un super miliardario super complessato, interpretato da Daniel Radcliffe, che rapisce la scrittrice e la catapulta nel mezzo della giungla dando inizio ad una caccia al tesoro per rinvenire una corona perduta nel corso dei secoli. Alan non si perde d’animo e si fionda subito dopo in un’assurda, spericolata e al quanto improbabile missione di salvataggio.
E fin qui il film è ottimo, scivolando senza intoppi tra le pieghe delle peripezie di questo duo male assortito tenendo lo spettatore interessato senza risultare pesante. c’è da dire che molto lo fa anche l’entrata in scena di Brad Bitt, capace di catalizzare su di sé, e sul suo comicamente affascinante ex Navy Seal, tutta l’attenzione e tutto l’assurdo. Arriva, fa quello che deve fare aiutato anche da una regia attenta a coreografare i corpi e lo slapstick che li coinvolge, e poi si congeda alla perfezione.
Il resto è affidato a un classico avvicinamento degli opposti che, tuttavia, trova il suo senso all’interno degli scambi ai limiti del demenziale che coinvolgono i protagonisti. Sia chiaro che non si scende mai troppo in profondità poiché lo scopo del film è muoversi su un’onda generale di spensieratezza, ma è innegabile che la favilla che accende la comicità è spesso e volentieri scaturita dal rovesciamento di una determinata figura in un determinato contesto.
Dopo il giro di boa però The Lost City sembra perdere qualcosa di quella brillantezza che lo caratterizza durante la prima parte, concedendosi di più sul lato esclusivo del raggiungere l’obbiettivo e finendo per fare probabilmente troppo affidamento sull’abile operazione di semina fatta in precedenza e di cui poi si limita a raccogliere i frutti. Il film resta godibile e lascia però anche la sensazione che nonostante il prodotto sia buono, dato il lavoro fatto, si potesse raggiungere un risultato a dir poco strabiliante.