Meccaniche d’altare nel Seicento romano

Il Barocco, come noto, è una delle grandi epoche caratterizzanti la città di Roma, uno dei volti che la città ha avuto modo di sfoggiare nei suoi molti secoli di storia. Tra le espressioni forse meno prevedibili di questo secolo dedito allo stupore vi sono alcuni meccanismi motorizzati che, insieme alle immagini considerate miracolose, alla profusione dell’oro e dei marmi, al tripudio degli artifici prospettici di affreschi e tele e alla straordinaria ricchezza degli arredi, contribuivano a creare per il fedele un ambiente nel quale era impossibile non accorgersi della gloria di Santa Romana Chiesa.

Un esempio di motorizzazione artistica, datato 1606-08 e firmato Pieter Paul Rubens, è la pala d’altare maggiore della Chiesa di Santa Maria in Vallicella (la chiesa di riferimento della Congregazione degli Oratoriani di S. Filippo Neri), realizzata ad olio su ardesia a protezione di una più antica immagine sacra, ad affresco, venerata poiché ritenuta miracolosa. Rubens ha realizzato un’opera nella quale è prevista la presenza per così dire intermittente della preziosa immagine sottostante: il meccanismo (ancora attivo) fa infatti scorrere l’ovale dipinto da Rubens – che riproduce la stessa iconografia della Madonna con bambino che cela e protegge – fino a farlo scomparire e sostituire del tutto dall’affresco miracoloso che riemerge e risulta in questo modo circondato e trasportato in Cielo dagli angeli seicenteschi.

Quella di conservare antiche testimonianze della prima epoca della cristianità incastonandole come gemme nel rebranding moderno era un’idea e prassi che nella prima metà del Seicento ha caratterizzato anche altri interventi romani; la ritroviamo, ad esempio, nella risistemazione borrominiana (1646-49) di San Giovanni in Laterano, negli ovali che oggi ospitano dipinti ad olio dei dodici Apostoli ma nei quali, prima che vi trovassero posto questi ultimi, era possibile vedere l’antica muratura della basilica paleocristiana voluta dall’imperatore Costantino come parte integrante della sua politica a sostegno della religione cristiana (e, tramite essa, della solidità del suo impero in difficoltà).

Un’altra pala dotata di motore e moto si trova invece nella Chiesa del Gesù di Roma, nella cappella dedicata al fondatore della Compagnia, S. Ignazio di Loyola. L’artefice è anch’egli un gesuita, Andrea Pozzo – lo stesso che aveva realizzato gran parte delle decorazioni della Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, tra le quali la celebre (finta) Cupola prospettica e la celebratissima Gloria di S. Ignazio, scoperchiamento barocco di un soffitto che in realtà è ancora lì – il quale nel 1695 aveva vinto un concorso per ridisegnare l’altare. La sua tela ha in questo caso il compito di coprire non un’icona ma la statua del Santo, realizzata in marmo e collocata nella nicchia dietro al quadro. Scenograficamente, nelle celebrazioni più solenni, la tela scende rivelando il Santo, come si trattasse di un sipario e di un attore pronto a ricevere il plauso e l’ammirazione del pubblico.

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