L’antica sapienza iniziatica dell’Orfismo

La laminetta d’oro di Hipponion, vale da sola la visita al Museo Statale Archeologico “V. Capialbi” di Vibo Valentia (prov. di Catanzaro). Com’è noto fu scoperta nel 1969 da Ermanno Arslan nell’antica necropoli di Hipponion, in una tomba databile tra il V e il IV secolo a. C.

Sebbene le sue dimensioni siano alquanto modeste (largh. mm 59 in alto, 49 mm in basso; alt. mm 32) il suo significato, invece, è di impareggiabile valore filosofico e religioso. Si tratta infatti di una testimonianza assai significativa della religione misterica dell’Orfismo. È una materia alquanto complessa, nella misura in cui i documenti che disponiamo per ricostruire il pensiero orfico sono frammentari e lacunosi. Ancora oggi, infatti, tutto ciò che sappiamo sull’orfismo è contenuto nella raccolta assai celebre di Otto Kern (1863-1942) che conta 262 testimonianze indirette e 363 frammenti (Orphicorum fragmenta). Si tratta perlopiù di testimonianze della tarda antichità e quindi è necessario, nell’accostarsi ad esse, usare la dovuta prudenza la necessaria cautela. Il filo rosso che in qualche modo è possibile individuare nel complesso ed eterogeneo mare magnun delle testimonianze indirette è quello che potremmo definire come il messaggio centrale dell’Orfismo. Si tratta di un messaggio essenzialmente filosofico-antropologico che consiste nella nuova concezione dell’anima umana, considerata divina e prigioniera di un corpo mortale che la tiene prigioniera. Una testimonianza particolarmente importante è quella del Cratilo di Platone (400 C = fr. 8 Kern). Nel dialogo platonico si legge espressamente che il corpo dell’uomo è, in fondo, tomba dell’anima (Platone gioca evidentemente con i termini greci molto simili fra di loro). Il filosofo greco attribuisce «ai seguaci di Orfeo» la concezione secondo cui l’anima umana, pagando «il fio di colpe che deve espiare, abbia intorno a sé, per essere custodita, questo recinto [il corpo], parvenza di un carcere». Il recinto è appunto il corpo e la vita mortale è la pena che ogni anima, secondo il più generale pensiero orfico, deve espiare. Questo destino dell’anima, per così dire, s’interromperà con la fine del ciclo delle reincarnazioni, quando cioè l’anima umana, riconosciuta la sua origine urania e finalmente così purificata, potrà vivere eternamente beata. Questo messaggio, declinato in varie forme e intriso di riferimenti complessi all’eterogeneo quadro mitologico del tempo, si ritrova nelle varie laminette d’oro rinvenute nei vari siti, ai quali ovviamente appartiene anche quella di Hipponion.

Le laminette s’inquadrano, così, in una logica iniziatica ed escatologica di grande valore. Esse sono a tutti gli effetti dei vademecum per il viaggio nell’oltretomba (e che peraltro hanno dei corrispondenti anche nell’antica cultura iniziatica egiziana), costituiscono la prova concreta ed evidente del fatto che l’iniziazione fosse vissuta dal mystes in modo assai radicale. Non si trattava, cioè, di una mera iniziazione esteriore e superficiale – come sovente accade oggi in talune superstiti

società iniziatiche, per finalità sociali, professionali e politiche assai deplorevoli e disonorevoli – ma di una pratica trasformativa volta a cambiare fin dalle fondamenta la vita stessa dell’iniziato. Nella laminetta di Hipponion all’anima dell’iniziato viene richiesto di evitare la sorgente sulla destra accanto alla quale si erge un bianco cipresso. Da questa fonte della dimenticanza l’iniziato deve stare alla larga. Il mystes, invece, dovrà dirigersi verso la fonte della rimembranza, la cui acqua fredda scorre dal lago di Mnemosyne. Ai custodi dovrà riferire di essere figlio «della Greve e del Cielo Stellato». Si tratta di una direttiva importante e sulla quale conviene riflettere. L’iniziato si riconoscendosi come figlio della terra e del cielo, dichiara di possedere una duplice natura (il famoso messaggio centrale dell’Orfismo): c’è nell’uomo una dimensione mortale, il corpo, e una spirituale e urania, l’anima. L’attestazione di questa duplice natura non ha altro scopo che quello di mettere in evidenza il collegamento dell’uomo, o meglio della sua dimensione più importante, col «Cielo Stellato». Sarebbe errata una interpretazione letterale della formula, nella misura in cui il «Cielo Stellato» non è affatto il luogo fisico scrutabile con gli occhi del corpo, ma è metafora della trascendenza beata alla quale evidentemente l’iniziato aspira. L’importanza della memoria che traspare esplicitamente dal testo della laminetta di Hipponion ha una lunga e articolata tradizione iniziatica e filosofica (che dai pitagorici giunge fino a Platone). La memoria, intesa non come facoltà intellettuale ma come sforzo dell’anima di riappropriarsi dei sacri ricordi della sua origine urania, è l’elemento centrale intorno a cui ruota l’intero formulario della laminetta e, in generale, l’intero complesso delle dottrine escatologiche orfiche. Ed è proprio lo sforzo mnemonico (anamnesis) ad essere richiesto all’anima dell’iniziato nel fatidico momento della sua presentazione ai custodi della sacra fonte. Essa infatti dovrà dichiarare la sua doppia natura: «Dì: “Son figlio della Greve e del Cielo Stellato; di sete non arso e vengo meno: ma datemi da bere la fredda acqua che viene dal lago di Mnemosyne”». A questo punto il mystes, dunque, raggiungerà il suo scopo finale – se si vuole, il suo scopo iniziatico – grazie appunto al consolidamento definitivo della memoria della sua origine divina che già l’iniziazione terrestre, per così dire, in qualche modo aveva riattivato. Le anime che invece avranno bevuto alla prima fonte dimenticheranno, e ritorneranno a rinascere ancora una volta (secondo lo schema della metempsicosi) ignari della loro natura, della loro origine e quindi del loro fine ultimo. La laminetta di Hipponion testimonia questa antica sapienza e ancora oggi è in grado di trasmettere al visitatore grande ammirazione e profondo stupore.

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