C’è un principio che dal punto di vista psico-pedagogico risulta a mio parere inderogabile: non esiste un’unica modalità di apprendimento. Un principio ovvio, direbbero in molti, ma chi vive quotidianamente l’ambiente scolastico si accorge che tanto ovvio non è. In effetti ancora oggi il modello (implicito) dominante dell’insegnamento scolastico è quello della tradizionale lezione frontale. Sebbene la manualistica e la letteratura scientifica siano sature di nuove proposte educative, l’andazzo generale continua ad essere sempre quello di una modalità didattica che, in misura maggiore o minore, fa sempre dell’ascolto degli studenti e della spiegazione degli insegnanti il cardine del processo d’insegnamento. Oggi si parla di didattica metacognitiva, didattica dell’errore, didattica orientativa, didattica per concetti, didattica laboratoriale ma, con le dovute (rare e preziosissime) eccezioni, il paradigma dominante rischia di essere sempre quello di una didattica verbosa, poco interattiva e incapace di stimolare curiosità e partecipazione che costituiscono, invece, il binomio vincente di ogni azione formativa. Relativamente al tema di questo contributo, e anche per ragioni sintesi, cercherò di entrare subito nel merito del discorso anteponendo in modo assai stringato soltanto alcune necessarie precisazioni. Relativamente alla didattica multimediale c’è da fare subito una prima importante osservazione di stampo antropologico. Si tratta di un tipo di didattica che oggi è possibile realmente scegliere di adoperare oppure è semplicemente un modello didattico fra i tanti? È questa la domanda che io credo bisognerebbe porre. Inoltre, com’è facile intuire, si tratta di una questione che, prima di diventare operativa (prima cioè della sua realizzazione in classe) dovrebbe essere affrontata in modo piuttosto teorico e, come ho scritto poco prima, dovrebbe essere indagata primariamente sotto il profilo antropologico. La multimedialità che cos’è? Fino a qualche anno addietro essa poteva sembrare una sorta di categoria accessoria dell’esistenza umana, una certa modalità di comunicazione, di espressione e di interazione che era possibile scegliere. Ad oggi, però, la multimedialità sembra quasi una categoria antropologica non più accidentale ma essenziale. Le nuove generazioni, cioè, sono fin da subito addestrate una pluralità di linguaggi (è questa l’essenza della multimedialità) che una scuola, ferma e prigioniera del paradigma della lezione frontale, verbale e didascalica, non può più in alcun modo soddisfare. È sbagliato, certo, sovrapporre la multimedialità alla rete, come sovente – erroneamente – accade. Un contenuto multimediale può certamente essere condiviso in rete, anche se non necessariamente, e in rete possono rinvenire infiniti contenuti multimediali, ma non c’è sovrapposizione fra di essi. È vero però che lo sviluppo poderoso delle tecnologie si è progressivamente strutturato in modo sempre più simbiotico con la rete (e oggi, infatti, di tecnologie informatiche) legittimando in qualche modo l’associazione – divenuta oggi quasi automatica – tra multimedialità e web. La didattica multimediale, infatti, è oggi una forma didattica che si lascia facilmente intendere come una modalità formativa strutturata e realizzata anche e soprattutto grazie ad internet. Cambia oggi anche il ritmo di apprendimento e la lettura degli ipertesti ritengo che ne sia l’esempio più formidabile. Essi consentono un passaggio più immediato e repentino tra contenuti non solo diversi (per formato) ma anche afferenti a discipline diverse. Una lezione frontale che utilizzasse la LIM in modo intelligente e stimolante e che si basasse sulla lettura di ipertesti non sarebbe affatto sovrapponibile ad una lezione frontale che si basasse sulla tradizionale lavagna in ardesia. In quest’ultimo caso il docente sarebbe nient’altro la sorgente delle informazioni trasmesse al gruppo classe e i rimandi transdisciplinari sarebbero tanto vari e vasti quanto la sua cultura lo consentirebbe. Un docente che facesse un utilizzo intelligente della LIM, invece, sarebbe al contrario un gestore/mediatore di una conoscenza enormemente più vasta che l’insieme degli ipertesti veicolerebbe in modo decisamente più incisivo, veloce, stimolante e attraente. Tutto ciò, ovviamente, non dovrebbe delegittimare la cultura dell’insegnante, che resta pur sempre il mediatore principale dei processi formativi (“La tecnologia può rafforzare un insegnamento di alto livello, ma un alto livello di tecnologia non può compensare un insegnamento di basso livello”. OECD, 2015, p. 4.). Sta cambiando oggi anche la struttura dell’essere umano, il suo rapporto col mondo. Nel nostro tempo la multimedialità si presenta come modalità dello stare al mondo. È una ricchezza e una risorsa di inestimabile valore relazionale, espressivo-comunicativo e apprenditivo con la quale ogni insegnante coscienzioso deve fare seriamente i conti. C’è, dunque, una nuova triade ontologica che ha profondamente ristrutturato la natura umana ed è quella formata da device-multimedialità-web. Il device è, nella quasi totalità dei casi, l’elemento protesico che costituisce il luogo della relazionalità, dell’espressività e degli apprendimenti. Lo smartphone (ma lo stesso potrebbe dirsi di tablet e pc) è il luogo in cui il soggetto umano struttura le relazioni, crea contenuti e apprende continuamente nuove informazioni (tutto ciò potrebbe avere anche profonde e drammatiche ricadute psicopatologiche, delle quali parlerò sicuramente in un altro articolo dedicato a questo tema). Una didattica che oggi ignorasse questa ristrutturazione dell’essere umano, restando anacronisticamente ancorata ad una visione antropologica oggi obsoleta, rischierebbe di fallire miserabilmente la sua missione formativa. È stato giustamente notato che «l’utilizzo di computer o altra strumentazione o altra strumentazione è stato, infatti, lungamente associato a un luogo fisico ben preciso, il laboratorio: un ambiente diverso dall’aula, nel quale svolgere attività “speciali”» (Antonio Fini, Perché utilizzare la tecnologia a scuola?, 2019, p. 43). Questa giusta osservazione riconferma in fondo quanto prima ho scritto riguardo la multimedialità (con o senza l’estensione della rete internet), e cioè che fino a qualche tempo fa essa era appunto una scelta. Il laboratorio non è l’aula, ma è un ambiente di apprendimento diverso nel quale effettivamente si svolgono attività didattiche e formative alternative che integrano e ampliano i contenuti trattati in classe nelle lezioni ordinarie. Ebbene, ad oggi la multimedialità (con il necessario e simbiotico supporto della rete) non è più una scelta ma una modalità di esistenza dei nostri giovani allievi, secondo un nuovo tipo di esistenza che il filosofo Luciano Floridi ha chiamato curiosamente «onlife». Nel nostro tempo, ritiene il filosofo di Oxford, sta diventando sempre più insensato domandarsi se si è online o offline e anzi si avvicina il giorno in cui sarà impossibile discernere la differenza tra offline e online (rimando il lettore all’approfondimento del concetto di società delle mangrovie). Onlife è una parola che molto forte e radicale che unisce due parole, online e life (vita) veicolando l’idea di una nuova sintesi epocale e rivoluzionaria. In questo nuovo scenario antropologico diventa davvero arduo pensare al laboratorio come ad un ambiente diverso dalla classe e diventa superfluo, oltre che anacronistico, continuare a porre quesiti come quello relativo all’utilità o meno della tecnologia a scuola. Superato, dunque, l’approccio proibitivo dell’uso dei device a scuola (approccio che, contro ogni ragionevole dubbio, sarebbe apparso oggi piuttosto incredibile agli occhi stessi degli studenti, tagliando fuori la scuola da ogni reale possibilità di incidere sensibilmente sulla vita degli studenti) si tratterà di pensare all’utilizzo migliore possibile di un oggetto, lo smartphone, che non è più soltanto uno strumento ma un elemento bionico che realizza continuamente la nascita e la strutturazione di relazioni, scambi di informazioni, apprendimenti e creazioni che caratterizzano, de facto, il nuovo modo di essere al mondo dell’uomo. Alla luce di tutto ciò la didattica multimediale nell’orizzonte dell’onlife (vale a dire della nuova sintesi antropologica di vita e connessione) diventa oggi una tappa imprescindibile del processo educativo, che ogni insegnante – che non voglia adottare per incompetenza o capriccio modalità didattiche anacronistiche – deve saper percorrere nella sua complessa professione quotidiana nell’ambiente ‘salmastro’ della classe.