Harry’s Bar, il mito intramontabile

Mito, leggenda, ritrovo di menti illuminate. Chi è che non vorrebbe provare almeno una volta l’ebrezza di sedersi in questo posto dal sapore magico e sorseggiare uno dei suoi mitici cocktails? Luogo unico al mondo il cui fascino il tempo ha saputo conservare ed incrementare, l’Harry’s Bar è uno storico locale di Venezia, dichiarato nel 2001 patrimonio nazionale dal Ministero dei Beni Culturali, viene fondato nel 1931 da Giuseppe Cipriani. Il nome del bar, come raccontò lo stesso Giuseppe Cipriani, deriva da quello del giovane studente statunitense Harry Pickering che, trasferitosi negli anni Venti a Venezia con una zia per tentare di curarsi da un inizio di alcolismo, venne da questa piantato in asso con pochissimi soldi dopo un litigio. Giuseppe Cipriani, all’epoca barman nell’hotel Europa & Britannia, in cui risiedeva lo statunitense, impietosito dalla vicenda prestò al giovane 10.000 lire, somma considerevole per l’epoca, per consentirgli di rientrare in patria. Due anni dopo, il giovane, guarito dall’alcolismo, tornò a Venezia e, rintracciato Cipriani, in segno di gratitudine gli restituì l’intera somma aggiungendovi 30.000 lire perché potesse aprire una sua attività in proprio. Cipriani decise quindi di chiamare il suo locale “Harry’s Bar” in onore del suo benefattore, inaugurando la sua attività il 13 maggio 1931.Il nucleo originale era un fondo di quarantacinque metri quadrati, situato a ridosso di Piazza San Marco, nella stessa locazione attuale. All’epoca non era stato ancora costruito il ponte che consente il collegamento diretto con la Piazza e quindi il bar era posizionato in una strada senza uscita, cosa che Cipriani giudicò positiva perché così avrebbe avuto una clientela che sarebbe venuta lì apposta invece che clienti casuali. Il locale, che fungeva sia da bar che da ristorante, ebbe un immediato successo, soprattutto da parte di una clientela intellettuale e aristocratica, che all’epoca aveva in Venezia una delle sue mete privilegiate. Il primo (rimasto anche l’unico) libro degli ospiti contiene tra le altre, le firme di Arturo Toscanini, Georges Braque, Charlie Chaplin, Peggy Guggenheim, Barbara Hutton, Orson Welles. Il tipo di clienti che frequentavano il bar procurò anche qualche problema con le autorità fasciste dell’epoca, che lo vedevano con sospetto considerandolo un punto di incontro per omosessuali e ricchi ebrei. Quando il regime emanò le leggi razziali del 1938, Cipriani ricevette l’ordine di esporre il cartello di non ammissione degli ebrei, ordine che in qualche modo aggirò appendendo il cartello non all’ingresso del bar ma sulla porta della cucina. Durante la Seconda guerra mondiale, il bar venne confiscato e trasformato in mensa per i marinai ma alla fine delle ostilità il bar riprese regolarmente la sua attività. Durante l’inverno tra il 1949 e il 1950, lo scrittore statunitense Ernest Hemingway divenne un cliente fisso, al punto da avere un tavolo personale esclusivo, stringendo anche un rapporto di amicizia con Cipriani. All’epoca stava finendo la stesura di un suo romanzo in cui l’Harry’s Bar venne citato numerose volte. La gestione del bar, dopo il ritiro di Giuseppe Cipriani, è passata al figlio Arrigo. Nel 2016 Arrigo Cipriani, per la storia dell’Harry’s Bar, ha ricevuto alla Camera dei deputati il “Premio America” della Fondazione Italia Usa. Un luogo senza tempo a cui il Mondo ha dato il suo tributo di fama e riconoscenza per essere stato fin da subito un agglomerato di cultura, stile e tendenza ed in cui sono nati i più importanti cocktails della tradizione italiana entrati di diritto nel novero delle eccellenze riconducibili al Belpaese. Chi vi entra per la prima volta non può fare a meno di ritornarci, non solo per la sua cucina eccelsa, ma anche perché qui si respira aria di altri tempi ed il calore di un mito intramontabile che rappresenta uno dei tanti tasselli che hanno reso famosa l’Italia nel Mondo.

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