La luna galileiana del Cigoli nella cappella Paolina di Santa Maria Maggiore

C’è un affresco, a Roma, che registra quasi in presa diretta le scoperte rilevate dal telescopio di Galileo. Del pittore Ludovico Cardi, detto il Cigoli, le fonti coeve lodavano l’originalità e il colore (che aveva avuto modo di studiare a Venezia, dove era stato colpito soprattutto dalle cromie vaporose di Tintoretto) non senza, però, una capacità compositiva di matrice tutta toscana.

Nel 1610 il pontefice Paolo V Borghese commissiona al Cigoli la decorazione della sua cappella nella basilica di Santa Maria Maggiore, uno dei cantieri pittorici stilisticamente eclettici attivi in quel momento nel quale era in atto un generale rinnovamento dell’arte al servizio della Chiesa (sempre più dorata, trionfante e benevola, sempre più mirante a far colpo sull’osservatore), rinnovamento che si inseriva a sua volta in un più generale retelling della storia e dei miti di Santa Romana Chiesa.

Non era insolito per un artista della sua epoca (Ludovico Cardi nasce nel 1559 e muore nel 1613) avere una formazione parzialmente scientifica, specialmente per un fiorentino: lo studio della notomia (l’anatomia umana dissezionata e disegnata per afferrare le consistenze e i moti dei muscoli e della pelle, le arterie e gli organi, tutti abitualmente nascosti dalla pelle, e dare così l’impressione che la figura dipinta vivesse sotto le vesti, camminasse e si muovesse come un corpo in carne e ossa) era poi, secondo il comune discorso artistico coevo, una specialità toscana, un vanto distintivo degli artisti fiorentini rispetto ai romani, i quali se intendevano studiare un corpo nudo tendevano a rivolgere il loro sguardo alle statue antiche più che agli uomini, e dai veneziani, che invece erano maggiormente interessati allo strato più immediatamente sottopelle, quello nel quale scorre il sangue e che nasconde in sé i colori e le sfumature della carne viva.

Oltre all’anatomia, però, il Cigoli si era interessato – come il suo amico e quasi concittadino Galileo Galilei – anche alla scienza astronomica, come testimoniato sia dal carteggio – risalente proprio a quegli anni – tra i due, che, come da titolo, dall’affresco che raffigura Maria come donna dell’Apocalisse che il Cigoli realizza per Paolo V in Santa Maria Maggiore.

Infatti nello stesso 1610 in cui al pittore veniva chiesto di raffigurare la Vergine con gli attributi con i quali viene descritta la donna del dodicesimo capitolo dell’Apocalisse, trionfante sul serpente alla fine dei tempi, Galileo dava alle stampe il suo Sidereus Nuncius, nel quale avevano trovato posto anche le sue scoperte sulle macchie lunari, che andavano a distruggere l’immagine consolidata di una Luna perfettamente sferica e liscia, che in quanto tale ben si addiceva al parallelismo dell’astro con la Vergine Madre di Dio, incorrotta e incorruttibile, priva della macchia del peccato originale e bianca di purezza. Proprio alla descrizione della donna dell’Apocalisse si lega infatti la tradizionale iconografia dell’Immacolata Concezione, titolo alternativo col quale è infatti anche nota quest’opera del Cigoli.

Nell’affresco che decora la cupola della cappella Paolina, però, accanto alle dodici stelle che coronano il suo capo – significanti sia le tribù d’Israele che gli altrettanti apostoli – la Vergine poggia i piedi su una Luna che compare, per la prima volta, con le sue neo-scoperte imperfezioni: la “divisione merlata e le sue isolette”, ossia l’ombra irregolare che separa la parte in luce da quella non illuminata e i crateri, osservati e registrati da Galileo anche in disegni risalenti a quel giro di anni e prontamente incorporati dal piglio scientifico del pennello del Cigoli.

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