Memoria e ricordo sono gli argomenti che determinano la mostra: “ZAKHOR/RICORDA. I musei civici di Roma e la memoria attraverso l’arte”, il progetto espositivo a cura di Giorgia Calò che fino al 12 febbraio, offre una riflessione sul dramma della Shoah mediante sei istallazione video di artisti israeliani contemporanei in sei Musei Capitolini, per evidenziare l’importanza di ricordare.
ZAKHOR, che in ebraico vuol dire Ricorda, ha origine da una riflessione sul passato e sul suo sviluppo nel presente.
Tramite l’evanescenza e l’inconsistenza delle opere presenti soltanto in video, si cerca di far comprendere al visitatore quanto il nazismo sia stato il male peggiore per il mondo intero. Il mezzo diviene messaggio, il lavoro esposto potrebbe non esistere, se solo fosse stato portato a totale compimento il piano della “soluzione finale”. Il pubblico è in questo modo indotto a porsi una domanda allarmante: quanta cultura è stata sottratta all’umanità?
Gli artisti selezionati si sono rapportati con il passato in modo differente, rappresentandolo sotto vari profili.
Il progetto espositivo è promosso da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, dall’Ambasciata d’Israele in Italia e dalla Comunità Ebraica di Roma in collaborazione con la Fondazione Italia-Israele per la cultura e le arti. Sponsor tecnico Easylight. Supporto organizzativo di Zètema Progetto Cultura. Il progetto espositivo fa parte di Memoria genera Futuro, il programma di appuntamenti promosso dall’Assessorato alla cultura di Roma Capitale nell’ambito del Giorno della Memoria 2023.
Sei prodotti di artisti israeliani di seconda generazione, cioè nati dopo la Seconda Guerra Mondiale da genitori che vissero in Europa durante la dittatura nazista e ne patirono le atrocità, scappando da un luogo all’altro fino ad arrivare nella Terra di Israele. Provenienti da famiglie sottoposte alla tragedia della Shoah, hanno ereditato la percezione di vuoto e di privazione che contraddistingue la loro esistenza e la loro arte.
Gli artisti scelti sono tra i più famosi dello scenario contemporaneo israeliano. I lavori sono stati attuati in passato per altri ambiti e musei, affinchè la decontestualizzazione in relazione allo spazio che li accoglie sia ragione di riflessione.
“Questa mostra vuole essere un’incursione nel percorso museale canonico: il pubblico deve essere quasi consapevole, come si trattasse di una “pietra d’inciampo video”, illustra la curatrice.
Esattamente come il raffronto con il video che fa da amplificazione alle composizioni, sottolineando la fugacità della creatività, i momenti della storia più oscuri, Shoah innanzitutto, hanno annullato la divulgazione della cultura.
“Il mezzo video diventa un messaggio: la fugacità dell’opera, presentata in questa forma mediata, ci invita a pensare che non sarebbe esistita se i genitori degli artisti non si fossero salvati. Quanta
cultura abbiamo perso? Non lo sapremo mai ed è giusto avere memoria anche di quel vuoto”, spiega ancora Giorgia Calò.
Il progetto espositivo, vuole anche facilitare un dialogo con le nuove generazioni, fornendo a loro una visuale alternativa e innovativa. Per tale motivo, le videoinstallazioni sono accompagnate da un QR Code da cui si può scaricare la piantina dei sei musei, in aggiunta ad un testo critico per agevolare la comprensione della rassegna nella sua totalità, descrivendo la storia degli artisti, le loro biografie e i loro lavori.
Il Museo dell’Ara Pacis esibisce l’immagine guida della mostra, la foto Three Sisters, presentata in video realizzata da Vardi Kahana fotografa di fama internazionale, (Tel Aviv, 1959) nel 1992, parte del ciclo One Family: uno scatto in bianco e nero in cui immortala la figura di sua madre, Rivka Kahana con le sue sorelle Leah e Esther. I numeri consecutivi marchiati a fuoco sugli avambracci manifestano l’ordine con cui furono tatuate ad Auschwitz nel 1944.
Boaz Arad, Tel Aviv 1959, è stato pittore scultore fotografo e video artista. Le sue opere si legano ai temi di memoria e identità, e sono distinte da una parte di ironia e irriverenza, che facilita lo spettatore all’analisi della tragicità dei contenuti presenti. La Centrale Montemartini ospita infatti dell’artista una slide show della rassegna che si ebbe a Center for Contemporary Art di Tel Aviv nel 2007, in cui presentò The Nazi Hunters Room.
Nel Museo di Roma, Palazzo Braschi, il video di Dani Karavan (Tel Aviv, 1930-2021) Man walking on railways, creato durante l’istallazione eseguita per l’esposizione a Dusseldolrf nel 1989, è un monitoraggio di sequenze in cui vi è l’immagine di un uomo che percorre delle rotaie finquando non scompare in lontananza. I binari finiscono contro un muro, sul quale si rivela il numero dell’ultimo detenuto liberato ad Auschwitz. L’artista vuole comunicare una memoria dolorosa e collettiva, rivolta al presente.
Simcha Shirman (Germania, 1947), è nato da genitori sopravvissuti alla Shoah, il fotografo israeliano è celebre per collegare la rappresentazione del visibile ad una astrazione mentale dell’interpretazione della realtà. All’interno del Museo di Roma in Trastevere, vi è la sua opera Whose Spoon Is It? (2011), in cui l’oggetto fotografato è traslato in una dimensione soggettiva che non può essere escluso dal contenuto iconologico che ognuno gli conferisce.
Nella Galleria d’Arte Moderna a Roma, la scultura ambientale di Micha Ullman (Tel Aviv , 1939): Seconda Casa (Gerusalemme-Roma), è un monumento di dimensioni ridotte ubicato su un marciapiede di Piazza di Monte Savello. La composizione eseguita in virtù del Giorno della Memoria, come riproduce la targa vicina ”Micha Ullman “Seconda Casa Gerusalemme-Roma”, raffigura due case stilizzate in una specie di clessidra scavata sul marciapiede. La Seconda Casa rappresenta, nella cultura ebraica, il Secondo Tempio di Gerusalemme demolito nel 710 d.C. dall’Imperatore Tito, cosa che rilevò l’enorme espatrio della popolazione ebraica, cominciando in questo modo la più antica diaspora occidentale. La piccola scultura vuole così sottolineare mediante due forme antitetiche ma speculari, la simultaneità di due culture connesse.
Counterlight, 2016, dell’artista Maya Zack (Tel Aviv 1976), regista e docente alla Bezaled of Arts and Design di Gerusalemme, nel Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco, fa parte di una trilogia con Mother Economy, 2007, e con Black and White Rule, 2011, riguardante la Shoah e il concetto filosofico di memoria. Tale video narrativo ed espressivo dell’opera, è l’immagine del poeta ebreo Paul Celan, che riuscì a liberarsi dalle deportazioni ma restò privo dei genitori a causa appunto dei nazisti. La sua esistenza terminò con il suicidio a Parigi nell’aprile del 1970, all’età di cinquant’anni. Celan, del quale si avverte anche la voce, è il fil rouge del percorso nella memoria che riaffiora dai ricordi e dalla storia. Maya Zack, celebra la condizione del poeta rumeno e della sua famiglia, per sottolineare come la follia nazi-fascista si sia riversata su famiglie, sentimenti e amori, per annullare il concetto medesimo di umanità.
Il 27 gennaio di ogni anno, in Italia, si commemora il Giorno della Memoria, rivolto al ricordo delle vittime dell’Olocausto. Questa data è stata decretata tramite la risoluzione 60/7 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del primo novembre 2005, il 27 gennaio del 1945 ha infatti un profondo significato simbolico. Nella ricorrenza, vengono appunto celebrate cinque milioni di vittime dell’Olocausto, imprigionate, confinate e uccise nei campi di sterminio nazisti prima e durante la Seconda Guerra Mondiale. Sei milioni di esse provenivano dal popolo ebraico: il loro genocidio è infatti denominato Shoah.
Gli Ebrei deportati ad Auschwitz venivano ammassati in vagoni merci senza finestre e senza posti a sedere. Il lungo tragitto per i campi di concentramento era un vero tormento, e i più fragili morivano ancor prima di arrivare a destinazione. Gli Ebrei dovevano avere una stella di David sui vestiti per poter essere distinguibili, ciò rappresentava un orribile marchio che li faceva risultare diversi e inavvicinabili.
Il 27 gennaio 1945, è il giorno in cui, alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale, i cancelli di Auschwitz vengono distrutti dalla 60esima armata dell’esercito sovietico. Il complesso dei campi di concentramento non era eccessivamente lontano da Cracovia, in Polonia, ed era situato nei pressi di quelli che in quel periodo erano i confini tra la Germania e la Polonia. Con l’avvicinamento dell’Armata Rossa, intorno alla metà di gennaio, le SS cominciarono a sgomberare il complesso: circa 60000 reclusi vennero fatti marciare prima dell’arrivo dei russi. Di tali prigionieri, si considera che fra 9000 e 15000 sarebbero periti lungo il viaggio, nella maggior parte uccisi dalle SS, poiché non sostenevano la marcia ininterrotta. Altri detenuti, intorno ai 9000, erano stati lasciati nei campi di Auschwitz perché malati o sfiniti: le SS volevano sopprimerli però non trovarono il tempo per effettuare ciò, prima dell’arrivo dei sovietici. Le SS riuscirono invece ad eliminare quante più prove dei crimini che avevano attuato facendo esplodere molteplici strutture, in alcune di esse erano posti i forni crematori industriali in cui venivano bruciati i cadaveri delle persone morte e gli averi delle vittime dello sterminio. Quando la 60esima armata dell’esercito sovietico giunse al campo principale di Auschwitz vide una scena sconfortante: circa 900 prigionieri, i più fragili e ammalati, si trovavano indietro, 600 di essi erano già privi di vita.
Secondo gli storici contemporanei, i defunti furono almeno un milione di persone, tanti dei quali nelle camere a gas. I deceduti furono specialmente ebrei, ma anche, come già citato, rom, sinti,
polacchi, prigionieri di guerra, testimoni di Geova ed altri nemici politici della Germania nazista di Hitler.
Il Giorno della Memoria non è un omaggio alle vittime, bensì un riconoscimento pubblico e collettivo di un’azione molto pesante che l’Europa ha realizzato, e a cui l’Italia ha partecipato.
Nel 2011, il teorico e saggista Tzvetan Todorov, ha scritto un libro, Memoria del bene, tentazione del male che “la singolarità del fatto non impedisce l’universalità della lezione che ne trae”: vale a dire la memoria storica della Shoah non si rivolge solo alla popolazione ebraica ma alla totale umanità, perché da tali vicende si possono ottenere insegnamenti.
La paura che l’antisemitismo possa attualmente ripresentarsi e che lo sterminio di massa degli ebrei, di cui Auschwitz rimane il drammatico idioma, non può far scordare la “Shoah”, ne consentire di sminuire il significato.
Scrive lo scrittore Primo Levi: “Ogni uomo civile è tenuto a sapere che Auschwitz è esistito e che cosa vi è stato perpetrato: se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”.
Ciò perchè la Shoah non sia dimenticata e si rilevi un avvertimento per le nuove generazioni contro l’odio razziale, etnico e religioso che ancora adesso riguarda tanti Paesi del mondo.