Nel passaggio dalle vecchie alle nuove regole agli amministratori devono assumere un approccio dinamico nella gestione dell’impresa.
Il Codice della crisi richiede agli imprenditori in generale, agli amministratori in caso di società, specifici obblighi gestori in termini di istituzione di adeguati assetti, nonché di reagire senza indugio alla situazione di crisi. Le nuove regole realizzano un punto di rottura rispetto alla precedente impostazione muovendo da una concezione statica, in base alla quale gli amministratori erano tenuti a conservare il patrimonio sociale, a una concezione dinamica per cui gli amministratori devono adoperarsi per la conservazione della continuità aziendale, attraverso adeguati assetti che consentano di prevedere l’evoluzione della gestione in chiave prospettica.
Le modifiche alle norme sulla crisi di impresa pongono rilevante attenzione alla necessità di intercettare i segnali di crisi sul nascere, earaly worning, in quanto ciò consente di reagire prontamente per risolvere le difficoltà, mantenere i valori nonché la continuità aziendale e tutto l’indotto che ruota intorno all’impresa, inclusi gli stakeholders.
In tale contesto, la strategia legislativa ha introdotto diversi strumenti sia per favorire l’emersione della crisi sia per farvi fronte. Tra gli strumenti introdotti dal codice della crisi e dell’insolvenza (CCII), l’obbligo di istituire adeguati assetti rappresenta il fulcro del nuovo sistema di norme.
L’adeguatezza degli assetti non è un concetto nuovo per l’ordinamento, ma l’entrata in vigore del CCII ha portato rilevanti modifiche che pongono in primo piano, tra gli obblighi gestori di qualsiasi impresa, proprio l’istituzione di assetti adeguati.
Le regole sugli adeguati assetti entrano in vigore il 16 marzo 2019, con l’inserimento del secondo comma nell’art. 2086 cod. civ., da parte dell’art. 375, co. 2 del CCII. Tranne questa modifica operata dal CCII direttamente su una norma del codice civile, le altre modifiche di particolar rilievo per l’ordinamento sono entrate in vigore dal 15 luglio 2022. Le disposizioni del CCII entrate in vigore il 15 luglio 2022, successivamente alla modifica dell’art. 2086 cod. civ., hanno specificato meglio il concetto di adeguatezza degli assetti organizzativi.
Va rilevato che prima del 15 luglio 2022 un altro importante intervento legislativo ha inciso sulle regole in materia di crisi di impresa e relativi obblighi gestori. Trattasi dell’introduzione, operata dal DL 118/2021 e in vigore dal 15 novembre 2021, della composizione negoziata dalla crisi di impresa (CNC). Pensata durante il periodo emergenziale innescato dagli effetti sulle imprese della pandemia la CNC è divenuta centrale nel diritto della crisi con la sua trasposizione nel Codice.
Le norme sulla composizione negoziata (vedi infra) prevedono specifici strumenti di allerta, nonché richiedono l’istituzione di assetti idonei a intercettare una serie di informazioni che permettono agli amministratori, o all’imprenditore negli enti non collettivi, di poter gestire correttamente l’impresa, secondo i nuovi dettami che impongono il monitoraggio dell’andamento evolutivo del business e di agire nella continua consapevolezza degli effetti prospettici delle azioni pianificate.
Le norme entrate in vigore il 15 luglio 2022 hanno ulteriormente precisato i caratteri che un assetto deve avere per considerarsi adeguato, cui hanno fatto seguito commenti e interventi giurisprudenziali.
La normativa sulla crisi di impresa ha allargato il suo raggio di azione, tradizionalmente legato alla situazione patologica dell’impresa insolvente al fine di tutelare i creditori, secondo le regole dalla par condicio creditorum. Tuttavia, per apprezzare il cambio di impostazione, risulta utile una riflessione sulle regole che disciplinano gli obblighi di gestione per gli imprenditori, in particolare per le imprese organizzate in forma societaria.
Il sistema di norme di diritto societario già prevedevano una serie di obblighi per la verifica e il controllo dell’andamento del business, ma le nuove regole impongono di gestire l’impresa anche al fine di preservare la continuità aziendale.
La salvaguardia dell’azienda e della sua continuità trova, quindi, specifiche tutele nel nuovo diritto della crisi in quanto consente di proteggere gli stakeholders, lavoratori in primis, il know how, l’avviamento e tutti gli altri fattori immateriali soggetti a dispersione in caso di liquidazione e che, invece, la continuità riesce a mantenere con beneficio del sistema economico nel suo complesso fatto di imprese. Gli obblighi gestori, prima della riforma del diritto della crisi, non avevano un’ampia definizione nel diritto positivo.
Il primo riferimento è all’art. 2381 co. 3 cod. civ., riferito alle società per azioni, in base al quale il consiglio di amministrazione delle SPA è tenuto a valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, a esaminare, quando elaborati, i piani strategici, industriali e finanziari della società; a valutare, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione.
Riferimenti agli adeguati assetti si ritrovano anche nella disposizione generale sugli obblighi del collegio sindacale, di cui all’art. 2403 co. 1 cod. civ., in base alla quale l’organo di controllo deve vigilare sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento.
Tuttavia, alle richiamate disposizioni mancava un esplicito riferimento circa l’esigenza di individuare tempestivamente i segnali di crisi e la perdita di continuità aziendale, aspetti oggi centrali nel nuovo assetto normativo. Si noti che l’esigenza di istituire assetti organizzativi viene tutelata anche da altre normative, come per esempio il D.lgs. 231/2001 che disciplina gli assetti e i presidi organizzativi per prevenire i reati presupposto.
Le disposizioni normative, quindi, prima dell’entrata in vigore della modifica all’art. 2086 cod. civ. non avevano una specifica attenzione al tema organizzativo ai fini della prevenzione della crisi, ma si focalizzavano nella fase di decozione, pertanto le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori hanno riguardato soprattutto il procrastinare l’attività di impresa, ormai decotta, depauperando il patrimonio aziendale a danno dei creditori.
Il CCII traccia una importante linea di demarcazione rispetto alle regole previgenti, avendo posto gli adeguati assetti organizzativi e la prevenzione della crisi tra gli imprescindibili obblighi gestori. La conseguenza della mancata istituzione o del funzionamento degli assetti è data dall’azione di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci, nel caso gli assetti organizzativi si rivelino inadeguati alla prevenzione della crisi con conseguente danno ai creditori e alla società.
Il cambio di impostazione è evidente nel nuovo testo dell’art. 2086, rubricato “Gestione dell’impresa”, in vigore dal 16 marzo 2019. La modifica intervenuta direttamente sul codice civile impone un dovere generale di condotta per gli amministratori, ossia quello di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi di impresa e della perdita di continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale. Il diverso approccio si ricava anche nelle norme che disciplinano la composizione negoziata della crisi, entrata in vigore il 15 novembre 2021, nonché nelle nuove regole contenute nel CCII entrate in vigore dal 15 luglio 2022.
Il presupposto per l’accesso alla composizione negoziata (CNC) è dato dalle condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza, purché risulti ragionevolmente perseguibile il risanamento. L’accesso alla CNC è ammesso, dunque, in condizioni di
squilibrio che rendono anche solo probabile la crisi, situazione antecedente alla crisi definita di sovente dalla dottrina come pre-crisi.
La CNC è uno strumento del tutto volontario, tuttavia va individuato il momento in cui si realizzano i presupposti per farvi accesso, ossia il verificarsi della pre-crisi, crisi, insolvenza. Ciò alla luce degli specifici obblighi posti in capo all’organo di controllo tenuto a segnalare la sussistenza dei presupposti per l’accesso alla composizione negoziata (art. 25-octies CCII), la cui effettuazione tempestiva (art. 25-octies co. 2 CCII), attraverso comunicazione tracciata e motivata, assume valore ai fini della valutazione della responsabilità dell’organo di controllo prevista dall’articolo 2407 del cod. civ.
Nel nuovo contesto normativo, l’adozione degli assetti risulta imprescindibile per monitorare l’evoluzione del business. La loro mancanza o inadeguatezza determina, invece, profili di responsabilità per mala gestio sugli amministratori e per negligenza nella vigilanza sui sindaci o in generale sull’organo di controllo.
Nella fattispecie lo stadio di pre-crisi si manifesta in caso di squilibrio economico-finanziario o patrimoniale che rende probabile la crisi. La Crisi nel momento in cui lo stato del debitore rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi. L’Insolvenza quando lo stato del debitore si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
Le modifiche apportate dal CCII all’art. 2086 cod. civ. impongono specifici obblighi per le imprese che operano in forma societaria. La disposizione ha un’applicazione generale, non limitata alle imprese in crisi, pertanto, ogni società dovrà istituire assetti in grado di produrre flussi informativi adeguati per intercettare la crisi e la pre-crisi, situazioni che assumono rilevanza nel nuovo diritto della crisi.
La Corte di cassazione con la relazione del Massimario 15 settembre 2022 n. 87 fornisce utili spunti sull’interpretazione delle nuove disposizioni relativamente all’attenzione agli stadi di crisi e pre-crisi. Le nuove regole, si legge nella richiamata relazione, realizzano il passaggio dalla precedente concezione statica con tutela esclusiva della par condicio creditorum e di massimizzazione del soddisfacimento dei creditori, ad una concezione dinamica, nella quale la conservazione dell’impresa in attività – pur se eventualmente in capo ad un soggetto terzo – costituisce un valore tutelato, che deve coordinarsi con i diritti dei creditori e che, anzi, può ove necessario comportare una loro ragionevole compressione, purché lo strumento o la procedura con la quale si realizza la ristrutturazione non risulti dannosa per i creditori rispetto ad una ipotetica alternativa liquidatoria.
L’attenzione, pertanto, alla crisi e al monitoraggio dell’evoluzione della gestione, attraverso gli adeguati assetti, prima di giungere alla pre-crisi o alla crisi ha un ruolo primario in tale contesto, perché consente di tutelare la continuità aziendale, nuovo valore riconosciuto dall’ordinamento come meritevole di tutela. Il concetto di crisi, per come inteso nel nuovo CCII, si distingue dallo stato di crisi, presupposto oggettivo per accedere agli strumenti di soluzione diversi dalla liquidazione giudiziale, come il piano attestato, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo e nuovo piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione. La crisi, infatti, viene definita nel nuovo Codice in funzione prospettica, come probabilità di futura insolvenza.
L’articolo 2 lettera a) CCII dopo le modifiche del D.lgs. 147/2020 definiva la crisi come: “lo stato di squilibrio economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”.
L’articolo 2 lettera a) CCII dopo le modifiche del D.lgs. 83/2022 definisce la crisi come: “lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi”.
La definizione di crisi ha abbandonato il riferimento, contenuto nella precedente formulazione dell’art. 2 co. 1 lett. a), allo squilibrio economico-finanziario, per incentrare la definizione sull’impossibilità di far fronte alle obbligazioni nei successivi 12 mesi. Rispetto alla precedente nozione di crisi viene meno, altresì, il riferimento alle obbligazioni “pianificate”, ciò consente secondo la Corte di cassazione di ritenere rilevante l’impossibilità di far fronte a qualsiasi tipo di obbligazione, anche se inizialmente non pianificata e dovuta all’insorgenza sopravvenuta di eventi di carattere straordinario (si pensi alle tante tensioni finanziarie dovute alle emergenze di questi ultimi anni, prima di carattere pandemico-sanitario, poi dovute ad eventi bellici o al rincaro non previsto di materie prime ed energetiche).
La soppressione nella nuova formulazione del concetto di crisi dell’aggettivo “regolarmente” fa comunque assumere rilevanza a forme di adempimento irregolari, o caratterizzate da modalità pregiudizievoli (si pensi a casi di datio o cessio in solutum fortemente squilibrate), in quanto denotano se non occasionali il presupposto oggettivo della crisi, come pure dell’insolvenza.
Infine l’orizzonte temporale di 12 mesi vale a rimarcare, da un lato, l’esigenza di pianificazione che l’imprenditore deve porre a base della gestione della sua attività economica, come pure l’idea di budget e l’esigenza di predisporre piani di tesoreria, secondo quella regola fondamentale di organizzazione mediante “adeguati assetti”.
Il quadro fornito individua il fil rouge che collega l’attenzione al monitoraggio della gestione, alla pianificazione, al budget, al piano di tesoreria, quindi, in un’unica parola ai flussi informativi che un adeguato assetto deve fornire; con la situazione di crisi e pre-crisi, che devono essere prontamente individuate, impongono di guardare in maniera prospettica alle probabilità che lo squilibrio economico-finanziario o patrimoniale possa degenerare in crisi.
Gli assetti organizzativi devono mettere gli amministratori in grado di intervenire molto prima della fase di insolvenza, intercettando i segnali di pre-crisi e di crisi per intervenire con la dovuta gradualità di azione.
Intercettare i segnali di crisi non significa verificare un momento puntuale in cui si manifesta l’evento crisi, ma avere capacità nell’assetto organizzativo di prevedere e, pertanto, disporre di strumenti prospettici che mettono in grado di cogliere eventuali squilibri. Ciò impone di aggiornare periodicamente le proiezioni nonché di correggere il tiro, se necessario, assumendo le appropriate azioni. Il concetto di continuità aziendale diviene un concetto mobile e non deve fuorviare il fatto che al momento della predisposizione del bilancio si faccia la verifica sulle prospettive a 12 mesi dalla data di bilancio, in quanto sarebbe già troppo tardi.
La proiezione deve essere, compatibilmente con la dimensione e la natura dell’impresa, aggiornata periodicamente (rolling), specie quando si manifestano eventi inizialmente non previsti e che generano significativi scostamenti.
L’istituzione degli assetti organizzativi rappresenta una condizione necessaria, ma non sufficiente, per garantire la conduzione aziendale secondo i principi di corretta amministrazione, essendo necessaria anche l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale. La mancanza di assetti, ossia di un flusso di informazioni sulla situazione attuale e sulle prospettive, non consente di assumere decisioni secondo canoni di corretta amministrazione.
In un sistema che pone molta attenzione alla previsione dell’andamento prospettico, gli amministratori devono formalizzare gli assetti nonché tenere traccia, attraverso la conservazione di idonea documentazione, circa la base informativa su cui sono state assumere le decisioni.
La scelta dell’assetto organizzativo rimane, ovviamente, libera per gli amministratori che dovranno istituirlo secondo il loro metro di giudizio professionale e, quindi, in base alla Business Judgement Rule.
L’applicazione della Business Judgement Rule tuttavia dovrà attenersi a una logica di prudenza e rispettare i canoni che il dettato normativo pone, in quanto uscire dal perimetro individuato dalla normativa porterebbe, in caso di crisi, gli amministratori a rispondere personalmente nei confronti dei creditori e, anche, dei soci.
Pertanto, l’istituzione dell’assetto, secondo la nuova formulazione dell’art. 2086 in vigore dal 16 marzo 2019, diviene un dovere generale di condotta da adempiere secondo la libera scelta professionale degli amministratori in base a principi di proporzionalità che tengano conto della dimensione complessiva dell’impresa; della natura di attività; dei profili di rischiosità.
La flessibilità offerta dal legislatore nell’istituzione degli assetti organizzativi non può prescindere dall’esigenza centrale e prioritaria, inserita in maniera positiva e dettagliata nelle norme, ossia quella di consentire la tempestiva emersione e gestione della crisi e della perdita di continuità aziendale; l’adozione e l’attuazione senza indugio di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi.
Ciò richiede, ai fini dell’istituzione degli adeguati assetti, l’individuazione dei profili di rischio della società, nonché l’impostazione di un sistema di controllo interno per il monitoraggio della gestione, aspetto altrettanto rilevante quanto l’istituzione degli assetti.
L’obiettivo degli adeguati assetti si ritiene essere quello di consentire l’assunzione di decisioni consapevoli e tempestive, per prevenire e intervenire prontamente ai primi segnali di crisi. L’informazione, dunque, assume un ruolo primario così come la trasparenza dell’azione da parte degli amministratori.
Le richiamate esigenze si ritrovano testualmente nell’art. 2381 cod. civ. che oggi va letto alla luce del nuovo assetto normativo, in maniera quindi sistematica.
In base all’art. 2381 cod. civ. si dispone che, salvo diversa previsione dello statuto, il presidente convoca il consiglio di amministrazione, ne fissa l’ordine del giorno, ne coordina i lavori e provvede affinché adeguate informazioni sulle materie iscritte all’ordine del giorno vengano fornite a tutti i consiglieri.
Se lo statuto o l’assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione può delegare proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti, o ad uno o più dei suoi componenti.
Il consiglio di amministrazione determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega; può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega. Sulla base delle informazioni ricevute valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; quando elaborati, esamina i piani strategici, industriali e finanziari della società; valuta, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione. […] Gli organi delegati curano che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa e riferiscono al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale, con la periodicità fissata dallo statuto e in ogni caso almeno ogni sei mesi, sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le loro dimensioni o caratteristiche, effettuate dalla società e dalle sue controllate.
La richiamata disposizione dell’art. 2381 cod. civ. richiede al consiglio di amministrazione di valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; esaminare i piani strategici, industriali e finanziari aziendali, se predisposti; delegare, se lo ritiene, le proprie attribuzioni ad alcuni suoi componenti, stabilendone i relativi limiti.
L’organo delegato (amministratori con delega) deve curare che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa; riferire al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale, con la periodicità fissata dallo statuto e in ogni caso almeno ogni sei mesi sul generale
andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo per le loro dimensioni o caratteristiche, effettuate dalla società e dalle proprie controllate.
Le regole appena richiamate trovano applicazione sia per il consiglio di amministrazione delle società per azioni (SPA), sia per le società a responsabilità limitata (SRL), visto il rimando dell’ultimo comma dell’art. 2475 cod. civ. all’art. 2381 cod. civ. che si applica alle SRL in quanto compatibile.