SI E’ SPENTO PAOLO PORTOGHESI, ESPONENTE DEL POSTMODERNISMO ITALIANO, TEORICO STORICO E DOCENTE UNIVERSITARIO, PROTAGONISTA DELLA CULTURA ARCHITETTONICA DEGLI ULTIMI SESSANTA ANNI.

SI E’ SPENTO PAOLO PORTOGHESI, ESPONENTE DEL POSTMODERNISMO ITALIANO, TEORICO STORICO E

DOCENTE UNIVERSITARIO, PROTAGONISTA DELLA CULTURA ARCHITETTONICA

DEGLI ULTIMI SESSANTA ANNI.

“L’architettura non è solo ciò che si vede, ma è anche l’allusione a qualcosa che non si vede ma che ha un valore, in gran parte nascosto”. Lo spiegava soltanto appena un anno fa agli studenti del Politecnico di Bari Paolo Portoghesi, in una delle sue ultime lectio magistralis.

Si è spento il 30 maggio a 92 anni, nella sua casa di Calcata, in provincia di Viterbo dove viveva e lavorava da molti anni, un protagonista massimo della cultura architettonica italiana e internazionale. I funerali sono avvenuti infatti a Calcata nella chiesa dei Santi Cornelio e Cipriano, progettata dall’eminente architetto.

Paolo Portoghesi è stato un rappresentante del postmoderno, un teorico, storico, docente universitario; lucido fino all’ultimo attimo della sua esistenza, stava scrivendo un libro sulla bellezza.

L’attività di Paolo Portoghesi, si è attuata contemporaneamente in rapporto alla ricerca storica e alla progettazione architettonica, rivolgendosi alla reintegrazione della memoria collettiva nella tradizione dell’architettura moderna.

“La smania del nuovo ha prodotto mode effimere che si susseguono ininterrottamente. Le forme collaudate della tradizione, e già presenti nella mente degli osservatori, sottrae l’architetto dalla superbia del soliloquio e dall’obbligo di produrre frastuono per essere inteso”.

Lascia all’architettura italiana come basilare eredità la sua inclinazione al dialogo: tra le persone e tra le culture.

Nell’ultimo trentennio, Paolo Portoghesi abbandonata la corrente postmoderna è stato anche uno dei principali teorici della Geoarchitettura, una disciplina per l’architetto che “cerca di correggere il rapporto architettura-natura sulla base di una nuova alleanza: l’uomo deve smettere di costruire secondo una logica puramente economica che produce spreco di energia, inquinamento e sfruttare il patrimonio degli antichi borghi invece di abbandonarli alla distruzione”.

Egli la presentò come un’architettura “umanistica” caratterizzata da sette criteri fondamentali: imparare dalla natura, confrontarsi con il luogo, imparare dalla storia, impegnarsi nell’innovazione, attingere alla coralità, tutelare gli equilibri naturali e contribuire alla riduzione dei consumi.

Sull’argomento pubblicò nel 2005 il saggio Geoarchitettura. Verso un’architettura della responsabilità” e fondò la rivista Abitare la terra. Nel 2007, nella Facoltà di Architettura della Sapienza fu creato il corso di Geoarchitettura da lui condotto in qualità di professore emerito.

Paolo Portoghesi è nato a Roma, si è laureato a Roma e ha vissuto la maggior parte della sua vita a Roma, infatti la città eterna, assoluta per le sue ricchezze di un passato eccezionale, per le opere edificate e per i progetti odierni è riconoscibile nelle sue parole e ambienti da lui realizzati, dalle grandi strutture pubbliche alle abitazioni private.

La carriera di Paolo Portoghesi, nato nel 1931, inizia dopo la laurea in Architettura avuta presso l’Università la Sapienza di Roma, nel 1957. Una carriera composita che ha sempre abbinato alla professione di architetto libero professionista quella di docente universitario e di saggista.

Il prodotto delle sue ricerche è, negli anni Ottanta, la partecipazione al postmodernismo in cui in Italia era il maggior rappresentate. Con il nome di postmoderno Portoghesi vuole avvallare un modo di progettazione che “propone la fine del proibizionismo, l’opposizione al funzionalismo, la riconsiderazione dell’architettura quale processo estetico, non esclusivamente utilitario, il ritorno all’ornamento”.

L’architettura postmoderna intende allontanarsi dal puro funzionalismo, recuperare la memoria del passato non in chiave eclettica, come nella seconda metà dell’Ottocento, ma per far nascere nuove forme, composizioni che vadano al di là dell’idea positivista di progresso e modernità.

La consacrazione internazionale del movimento postmoderno fu determinata proprio dall’architetto, che nel 1979 fu nominato direttore della Biennale di Venezia per l’Architettura. L’anno seguente inizia infatti la prima Biennale di Architettura con la mostra “Presenza del Passato” in cui le istanze postmoderniste vengono enunciate da architetti che abbracciano tale tendenza, come per esempio Aldo Rossi.

Insieme a protagonisti del livello di Rem Koolhaas, Frank O. Gehry, Charles Moore, Hans Hollein, Arata Isozaki, il gruppo Grau e molti altri, Paolo Portoghesi realizza la Via Novissima, una strada provvisoria in cui i numerosi prospetti delle case sono progettati da molteplici architetti. Lo stupefacente successo di questa esposizione fa sì che la via Novissima venga trasferita e ricostruita varie volte, prima a Parigi e poi ancora a San Francisco.

La relazione dell’architetto con la Biennale di Venezia è stata lunga e costruttiva: fu nominato Presidente nel 1983, conservando tale carica fino al 1992.

Ricordiamo l’estesa e rilevante carriera universitaria, cominciata sempre a Roma presso la facoltà di Architettura, con l’insegnamento di Storia della Critica dal 1962 al 1966. Dal 1967 al 1979, la cattedra di Storia dell’Architettura nell’insigne Politecnico di Milano, di cui è stato anche Preside di facoltà nei complessi anni della contestazione giovanile. Negli anni Ottanta Paolo Portoghesi torna ad insegnare a Roma, come Professore Ordinario di Storia dell’Architettura Contemporanea dal 1982, (fra l’altro fu il mio insegnante), e poi Professore emerito di Geoarchitettura, come già citato.

Prestigioso studioso della “Roma Barocca”, questo è il titolo di un suo libro fondamentale del 1966, in cui descrive le peripezie della città tra il 1600 e il 1750, fu esperto degli architetti Guarino Guarini e Francesco Borromini.

Portoghesi era incantato da Francesco Borromini, fin da bambino. Per giungere nella scuola elementare passava tutti i giorni di fronte alla chiesa di Sant’Ivo, uno degli edifici più splendidi della Capitale, edificio costruito dal celebre architetto barocco tra il 1642 e il 1660. La stravagante cupola di Sant’Ivo, che si erge nel cielo con la sua lanterna con cuspide a spirale, destava l’attenzione del piccolo Paolo per la sua diversità. Oltre a ciò, ogni volta che andava nell’abitazione dei nonni che risiedevano vicino alla piazza della Chiesa Nuova, l’architettura della facciata dell’Oratorio dei Filippini di Borromini catturava la sua fantasia.

La passione per Francesco Borromini aveva tali origini, ne riconosceva la genialità, l’intelligenza e specialmente lo amava per la sua mancata riconosciuta grandezza rispetto a Gian Lorenzo Bernini, non ammettendo come la sua tomba a Sant’Andrea dei Fiorentini potesse essere una specie di semplice lapide sul pavimento, quasi anonima.

Paolo Portoghesi è stato il maggior storiografo dell’importante architetto barocco, sul quale ha pubblicato svariati volumi e saggi, menzioniamo infatti anche: Borromini, architettura come linguaggio, 1967, e

Francesco Borromini. La vita e le opere, 2020, riscrittura completa della sua monumentale monografia del 1967 sull’artista.

Tra i numerosissimi riconoscimenti avuti egli risulta essere: Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana nel 2002, socio nazionale dei Lincei, 2020, socio dell’Accademia delle Arti di Firenze, dal 1977, e già Presidente del’Accademia di San Luca.

Portoghesi ha inoltre fondato e diretto riviste come: Controspazio nel 1966, di cui fu direttore per diciassette anni, poi il Dizionario Enciclopedico di Architettura e Urbanistica, 1968, e le riviste Itaca, 1977, Eupalino, 1985-1990, Materia dal 1990.

Per esser stato uno storico, un teorico e critico, abbiamo testi come: Guarino Guarini, 1956; Roma nel Rinascimento, 1970; Album del Liberty, 1975; L’angelo della storia. Teorie e linguaggi dell’architettura, 1982; Postmodern. L’architettura della società postindustriale, 1982; La piazza come luogo degli sguardi, 1990; I grandi architetti del Novecento, 1998; Architettura e natura, 1999.

Molto nota è la sua produzione in ambito sacro fra cui: la chiesa della Sacra Famiglia di Salerno, 1974, edificata con Vittorio Gigliotti, probabilmente il suo capolavoro, in cui le superfici in cemento a vista sembrano vibrare.

La chiesa di Santa Maria della Pace a Terni, 2003, si estende su una pianta a stella; come la chiesa di SS. Cornelio e Cipriano di Calcata nuova, 2009, però differentemente la stella ha un numero maggiore di punte ed è più elevata anche l’altezza del tiburio che canalizza all’interno una luce intima e spirituale, mentre la chiesa dei S.S. Francesco e Chiara a Castellaneta del 2013, ha due campanili ai lati del portone.

Una delle sue ultime opere che risale al 2019, è la Cattedrale di Lamezia Terme, progetto vincitore del concorso avutosi nel 2014, eseguendo uno spazio collettivo a forma di esedra che mette in comunicazione la chiesa con il Municipio secondo una passata usanza europea. Su di esso è presente il sagrato semicircolare tra due porticati, idiomi di accoglienza, replica l’oggetto dei due campanili e accresce il prospetto con un doppio colonnato sinuoso.

Progettò Casa Papanice, nel quartiere Nomentano a Roma, ritenuto uno dei manifesti del modernismo italiano. L’edificio fu un set cinematografico di alcuni film, tra cui “Dramma della gelosia”, 1970, di Ettore Scola con Monica Vitti, Marcello Mastroianni e Giancarlo Giannini. Oggi è la sede dell’Ambasciata di Giordania.

Amareggiato dalla condizione di incuria dell’abitazione, l’architetto con dispiacere così dichiarava: “Resta un tabù. Casa Papanice era un ritorno alla natura e alla bellezza, voleva differenziarsi in modo netto dalle architetture che la circondavano. Voleva essere una profezia della città nuova. Ecco, questa è l’innovazione che, forse, è la cosa che meno è stata compresa”.

Paolo Portoghesi e la moglie nel 1974 comprarono un fienile, tramutandolo lentamente nella loro residenza di elezione, andandovi a vivere stabilmente negli anni Novanta. Calcata sorge su uno sperone di roccia tufacea e tale materiale è divenuto la base per il progetto più idilliaco e suggestivo dell’architetto riferendosi non soltanto alla dimora, ma soprattutto al giardino in cui le molteplici visuali risultano essere nel contempo allegoria e concretizzazione dei suoi ideali e architettura.

Paolo Portoghesi era anche un esperto e studioso della cultura araba, egli edifica diverse strutture, tra cui: il Palazzo dei reali di Giordania ad Amman; l’aeroporto e il piano regolatore di Khartoum; le moschee di Roma, in collaborazione con Vittorio Gigliotti e l’architetto Sami Mousawi; e di Strasburgo.

Il progetto della grande moschea di Roma e Centro Culturale Islamico: “è nato da una lettura attenta del Corano e da uno studio della tradizione culturale islamica. Io mi ero già occupato di architettura islamica progettando la reggia di Re Hussein di Giordania in cui c’era anche una piccola moschea. Una moschea è un edificio molto diverso da una chiesa. Ho cercato di progettarne uno che appartenesse sia alla tradizione islamica sia a quella romana e quindi mi sono ispirato a quelle architetture italiane che risentono maggiormente dell’influenza islamica come la Cappella dei Re Magi del Borromini a Roma e la chiesa di San Lorenzo del Guarini a Torino. Ho ripreso lo schema ad archi intrecciati già adottato dal Guarini, già in passato quindi c’era stato un elemento di scambio dialettico tra le culture tradizionali italiana e islamica”. Scrive l’architetto.

La grande moschea di Roma del 1995, è determinata da arcate incrociate reggenti le cupole che scendono come nastri diventando agili colonne formanti un ambiente articolato e chiaro.

La moschea di Strasburgo del 2012 è la più grande d’Europa con la sua enorme e maestosa cupola centrale, contornata da contrafforti a mezzaluna.

“Con Paolo Portoghesi l’Italia perde un impareggiabile Maestro dell’architettura postmoderna. La sua arte, le sue intuizioni, il suo genio, rimarranno per sempre nel patrimonio di un’arte come l’architettura, vissuta e praticata non solo per creare il bello, ma anche per realizzare opere dalle caratteristiche peculiari ed uniche”. Afferma il Presidente del Veneto Luca Zaia. comunicando il dispiacere per la morte dell’illustre architetto.

Paolo Portoghesi è stato un architetto particolare nell’entourage culturale italiano: un conservatore, restio a rinnovamenti tangibili, nel tempo sviluppando tematiche classiche ma semplificandole in virtù dell’utilizzo di tecnologie innovative.

Il Maestro era giudicato un sostenitore dell’arte e del costruire, dell’armonia che identifica il rapporto fra uomo e natura, della cultura come esplorazione continua del significato delle cose.

Con lui viene meno l’ultimo reale e grande intellettuale, storico e architetto insieme, ancora conscio del potere della parola, del linguaggio, della forma del pensiero, tutto ciò esplicito nella sua architettura.

“Il metodo storico di Portoghesi non consiste nella operazione relativamente facile di trovare Palladio in Aalto o Borromini in Wright, ma nella operazione inversa e più difficile di trovare Aalto in Palladio e Wright in Borromini. Si entra così in un ordine di necessità, lo stesso per cui lo storico non può non essere un politico: la poetica non è la premessa, ma la necessità etica dell’impegno sul piano operativo dell’arte”. Giulio Carlo Argan, critico d’arte e politico italiano.

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