“Il prezioso lavoro dei tecnici della Sovrintendenza, ha restituito alla città un’area importantissima, consentendo a tutti di ammirare uno spaccato di storia di oltre due millenni dalla Roma repubblicana a quella degli imperatori, dal riutilizzo delle strutture come dimore di famiglie aristocratiche, chiese e monasteri fino alle demolizioni degli anni Venti del 900. Lo splendido risultato che si può ammirare da oggi è stato possibile grazie a una proficua collaborazione tra pubblico e privato per il quale voglio ringraziare il Gruppo Bulgari”. Illustra il Sovrintendente Claudio Parisi Presicce.
Vi è stata la riapertura il 20 giugno dell’Area Sacra di Largo Argentina, che attraverso un percorso nuovo, permette ai visitatori di entrare e di visitare a distanza ravvicinata e in maniera sistematica ogni organismo del sito ricco di storia tramite la descrizione delle molteplici epoche: dalla Repubblica Romana all’età imperiale e medievale fino ad arrivare appunto, nel secolo scorso, alle distruzioni degli anni Venti.
Infatti i lavori, diretti dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, sono stati realizzati in virtù del sostegno finanziario della Maison Bulgari, restituendo finalmente una Roma diversa e splendida.
Nel 1926, gli interventi di demolizione dell’antico rione posto tra via del Teatro Argentina, via Florida, via San Nicola de’ Cesarini e Corso Vittorio Emanuele II, per l’edificazione di nuovi palazzi fu scoperto uno dei più rilevanti complessi archeologici della Capitale.
Inaugurata il 21 aprile 1929 da Benito Mussolini, l’Area Sacra di Largo Argentina ha serbato da quell’epoca la sua immagine di pianta lastricata su cui si ergono quattro templi, convenzionalmente designati con le prime lettere dell’alfabeto in assenza di una identificazione certa.
Il Tempio C, inizi III secolo a.C., rivolto quasi sicuramente a Feronia; il Tempio A, metà III secolo a.C., dedicato a Giuturna; il Tempio D, inizi II secolo a.C., per onorare le Ninfe o ai Lari Permarini; e il Tempio B, fine II secolo a.C., riferito alla Fortuna huiusce diei.
Il più antico dei quattro, il Tempio C, è relativo a Feronia, l’antica Dea italica della natura e delle messi. Il culto, derivante dalla Sabina, sarebbe iniziato nella Città Eterna dopo l’occupazione di tale luogo effettuata da M. Curio Dentato nel 290 a.C.. La datazione è comprovata da molte fonti che menzionano un tempio a Feronia nel Campo Marzio almeno dal 217 a.C., nonché dai frammenti della decorazione architettonica in terracotta ed alcune iscrizioni. Poggia su un podio in tufo di 3,8 metri, con una modanatura arcaica ed è attorniato da colonne tranne sul fondo, chiuso da un muro continuo e le pareti della cella sono in mattoni. Abbiamo i ruderi residui di un altare in peperino collocato tramite un’iscrizione, nel 174 a.C. dal nipote del duoviro Aulo Postumio Albino in virtù di una non accertata Lex Pletoria. Fu pavimentato per tre volte, l’ultima considerevolmente più alta che coprì l’altare, sostituito da un altro in cementizio, con mosaico e tessere bianche e nere all’interno della cella e sei gradini sul fronte. Era il medesimo pavimento della porticus Minucia dell’80, diffuso in tutto l’ambiente dopo un incendio.
Il tempio attribuito a Giuturna, la ninfa delle fonti, inizialmente un tempietto con due colonne di fronte alla cella, con un podio e piedistalli di colonne a forma di cuscino. Sul pavimento in tufo poggiava un altare in peperino, conservato soltanto in parte. Sopra si realizzò una seconda pavimentazione in tufo con altare in cementizio, a livello del pavimento della porticus Minucia, e che fu ampliata in tutta l’area, con il bisogno di ricostruire il podio per non interrarlo. Il tempio fu interamente ricreato nel periodo di Silla, con un colonnato che circondava l’antico edificio, che diventò in questo modo la cella di quello nuovo. Le colonne erano nove laterali e sei sui fronti, con basi e capitelli in travertino e fusti in tufo ricoperti di stucco. Le colonne in travertino esistenti sono di un restauro successivo. Il nuovo podio aveva cornici in stile greco. Fu
fatto edificare da Quinto Lutazio Catulo, dopo la vittoria dei romani contro Falerii nel 241 a.C., infatti riferisce Ovidio che il tempio di Giuturna era presso lo sbocco dell’Acqua Vergine, cioè le Terme di Agrippa, a nord dell’area sacra. Su tale tempio venne realizzata la chiesa di San Nicola dei Cesarini, vi sono ancora alcuni resti, come le absidi ed un altare.
Il più grande dei quattro è il Tempio dei Larii Permalini, votato nel 190 a.C. da Lucio Emilio Regillo e dedicato nel 179 a.C. al censore Marco Emilio Lepido. Secondo i Fasti Prenestini il tempio era vicino il Portico Minucia. Solamente una parte di questo tempio è stato ritrovato, rimanendo la maggior parte di esso sotto il piano stradale di via Florida. I suoi resti più antichi sono in opera cementizia, rifacendolo poi in travertino nel I secolo A.c.. Possiede una estesa cella rettangolare preceduta da sei colonne, oggi si vede solo il podio in travertino del I secolo, con una altezza di circa tre metri.
Il Tempio della Fortuna è il più recente e l’unico di pianta circolare. Per l’appunto il tempio Aedes Fortunae Diei, cioè “La Fortuna del Giorno Presente”, fatto costruire dal console Quinto Lutazio Catulo, collega di Gaio Mario, per commemorare la vittoria contro i Cimbri di Vercelli del 101 a.C., che fece terminare il conflitto contro i Cimbri. Ne rimangono il basamento e sei colonne, che originariamente circondavano tutto il tempio. Il podio è modanato, la cella in opera incerta e le colonne in tufo coperte di stucco con le basi e i capitelli in marmo. Dopo l’80 d.C., si distrussero le pareti della cella mettendo al loro posto sottili tramezzi in tufo tra una colonna e l’altra. Si ingrandì il podio e poi si chiuse anche la facciata esterna. La Dea Fortuna era un’enorme statua i cui resti marmorei, la testa di 1,46 metri, le armi e le gambe, attualmente presenti nella Centrale Montemartini, sono stati rinvenuti accanto al tempio stesso. Le restanti parti del corpo, coperte da un abito di bronzo, sono andate perse.
Nella metà del I secolo, nasce il complesso dei Portici di Pompeo, accanto all’area sacra, nella cui Curia in cui è ancora presente il basamento in tufo dietro i templi B e C, si attuò l’assassinio di Giulio Cesare. La Curia di Pompeo, in latino: Curia Pompeia, fu una delle moltissime aule di riunione della Roma repubblicana di ampio valore storico. Essa faceva parte del vasto complesso del Teatro di Pompeo, nel Campo Marzio.
“Appresso a questo (teatro di Pompeo), cioè da quella parte verso la chiesa di S. Andrea della Valle, edificò il medesimo Pompeo la Curia, acciò in tempo delli spettacoli vi si tenesse Senato; ed in questa fu Giulio Cajo Cesare ucciso da’ Congiurati, cadendo a piè della statua di Pompeo. Per lo che fu chiusa e poi per astio abbruciata dal Popolo. Eravi unitamente un magnifico portico sostenuto da 100 colonne, ed ornato di pitture, e fontane con varie fiere fatte in marmo”. Giuseppe Vasi, 1761.
Nella “Vita di Cesare” di Plutarco leggiamo: “Cesare si accasciò contro il piedistallo su cui era la statua di Pompeo. Fu inondato di sangue, sicchè parve che Pompeo stesso guidasse la punizione del rivale disteso ai suoi piedi”. Secondo lo storico Cesare cadde sul pulpito al di sotto la statua, che aveva ai lati – sopra bassi gradini? – i seggi dei senatori….”.
Racconta Svetonio che dopo l’assassinio di Cesare, Augusto (63 a.C. – 14 d.C.) tolse la grande statua di Pompeo e fece murare la sala come ”locus sceleratus” (luogo maledetto), la quale successivamente venne tramutata in latrina, come descritto anche da Cassio Dione. (155 – 235).
L’incendio dell’80 d.C. che devastò gran parte del Campo Marzio, creò una intensa trasformazione del sito durante il regno dell’imperatore Domiziano, con l’esecuzione di una nuova pavimentazione in lastre di travertino, ancora visibile, e la riedificazione degli alzati dei templi.
Nel V secolo ha origine l’abbandono e la trasformazione dei fabbricati. Si crede che nel luogo venne eretta una struttura monastica, mentre in seguito, tra l’VIII e il IX secolo, vennero costruiti complessi probabilmente inerenti ad abitazioni aristocratiche.
Sempre nel IX secolo abbiamo anche le prime documentazioni di una chiesa all’interno del Tempio A, come già citato, che nel 1132 fu rivolta a San Nicola, chiamata con il nome prima de Calcarario e poi dei Cesarini.
In epoca barocca sulla chiesa medievale si impiantò un nuovo edificio sacro, distrutto totalmente durante le demolizioni del Governatorato.
Da via di San Nicola de’ Cesarini, pertanto il pubblico può adesso vedere e visitare l’area archeologica grazie ad un itinerario totalmente esente da barriere architettoniche. Una piattaforma elevatrice consente, infatti, l’ingresso anche alle persone con mobilità ridotta, mentre all’interno sono stati rimossi tutti i dislivelli ed i salti di quota, rendendo fruibile la visita anche in sedie a rotelle o con i passeggini.
Per le persone ipovedenti e non vedenti sono stati creati anche due grandi pannelli tattili, in italiano, inglese e braille con le informazioni concernenti l’interno della struttura e le specifiche opere architettoniche e resti archeologici.
Una nuova illuminazione attraversa l’intera passerella e gli espositori ubicati nell’ambiente museale, mentre a livello della strada è stato illuminato il portico della Torre del Papito.
Tre sono gli elementi principali del progetto: la Torre del Papito che accoglie i sevizi di biglietteria e uno spazio espositivo nel portico medievale; un insieme di percorsi verticali e orizzontali interni all’area archeologica, con una pedana elevatrice a cabina aperta che favorisce l’accesso al sito agli utenti diversamente abili, e due aree espositive coperte, allestite nel portico orientale dell’area sacra, ora corrispondente alla parte collocata al di sotto del piano stradale di via San Nicolò de’ Cesarini.
Per narrare la storia dell’area archeologica e dei mutamenti nel corso dei secoli, il percorso totale di visita è caratterizzato da vari pannelli illustrativi con testi in italiano e in inglese e di un ricco corredo fotografico.
Ricordiamo che le Torre del Papito, famosa anche come Torre del Boccamazza, è una delle poche edificazioni romane dell’età medievale arrivata nella sua completezza. Alla base, presso via San Nicola de’ Cesarini, Antonio Munoz, direttore della X Ripartizione del Governatorato, fece attuare ex novo il portichetto, in cui vengono rimpiegate le colonne giunte da un palazzo abbattuto nello spazio circostante. La torre quadrangolare, ha un’altezza nel punto più elevato di metri 19,25, presenta un paramento murario in laterizi di seconda scelta e un tetto con copertura a coppi e tegole alla romana.
Mediante l’operazione di recupero protratta per due anni, si può al momento visitare il significativo sito chiuso da sempre. Dalla Torre del Papito, a livello della strada si scende al piano originario e si può giungere al museo creato sulla Curia di Pompeo.
Le demolizioni delle abitazioni moderne e gli scavi compiuti lungo gli anni del Governatorato, per dare all’area un nuovo assetto urbanistico, hanno riconsegnato migliaia di reperti dalla prima età repubblicana al XX secolo.
La qualità e il pregio storico-artistico dei manufatti sono in genere di grande rilevanza, ma specialmente spiegano con eccezionale efficacia la vita di tale zona di Roma per più di 2300 anni. Le norme di scavo ed i sistemi di raccolta e di documentazione sono determinati purtroppo dalla urgenza di allestire lo spazio per
l’inaugurazione del 1929, ma non stabiliscono realmente se i materiali scoperti sono dei monumenti del sito.
Nel medioevo tale luogo era denominato: “Carcerario”, per la presenza di un notevole numero di forni (calcare) in cui i marmi antichi, giunti da altri posti e qui accumulati, erano cotti per essere trasformati in calce. Non si può negare che alcuni degli oggetti di Largo Argentina arrivavano dalle cataste di materiali pronte per essere calcinate e che siano elusi da tale destino.
L’individuazione di un sistema scientificamente valido per la selezione dei reperti presenti nei due spazi espositivi, tra cui oltre 2000 contenuti nei depositi, è stato un intervento molto articolato.
Per le poche notizie che si hanno sul loro ritrovamento e sulla reale attinenza ai monumenti del sito, è stato deciso di allestirli considerando le condizioni microclimatiche dell’ambiente espositivo.
Il prodotto è stato la realizzazione di un percorso museale che ha favorito il rapporto tra i reperti ed il posto dove sono stati ritrovati.
All’inizio dell’itinerario è situata la testa gigantesca in marmo di una divinità femminile, probabilmente Feronia, inizio II secolo d.C..
I marmi selezionati di epoca romana sono stati ripartiti per gruppi in riferimento alla loro categoria di appartenenza.
I primi cinque pannelli espositivi sono caratterizzati da frammenti di statue, di decorazioni architettoniche, di epigrafi, di rilievi e di sarcofagi. Gli altri tre sono rivolti alla scultura di età medievale, al riutilizzo di materiale antico in epoca moderna e alle lapidi tombali della chiesa di San Nicola de’ Cesarini, attualmente non più esistente.
Termina il percorso due teste femminili di vaste dimensioni inerenti a statue di divinità venerate nell’area, una forse di Giuturna, un capitello di colonna e anche antefisse marmoree, decorazioni conclusive delle falde dei tetti.
E’ poi ancora ben mantenuta la pavimentazione originale in lastre di travertino con la canaletta di scolo, che convogliava le acque piovane nelle fogne ubicate subito al di sotto del piano di calpestio.
Gli interventi per la riapertura ai visitatori hanno concesso anche il recupero e la valorizzazione di tale ambiente, prima adoperato come deposito.
Jean – Christophe Babin, Amministratore Delegato del Gruppo Bulgari ha commentato: “Siamo orgogliosi di aver contribuito a rendere finalmente fruibile ai cittadini e ai turisti questo gioiello architettonico, preziosa testimonianza dell’affascinante sovrapposizione di epoche e stili che rende la Città Eterna unica al mondo. Un progetto che ci ha consentito di onorare, ancora una volta, il profondo legame che abbiamo con Roma, da sempre inesauribile fonte di ispirazione e crocevia millenario di arti, culture e tradizioni. Nell’Area Sacra si percepisce il respiro della Storia. Queste maestose vestigia, che da oggi potremmo ammirare da vicino, raccontano la grandezza di un impero che ha forgiato la nostra civiltà”.
La maestosità dei resti dei templi dell’Area Sacra di Largo Argentina, può ora dunque essere contemplata da vicino.
Il pubblico potrà vivere la storia, analizzando i resti , comprendendo i particolari, le fasi costruttive ed i materiali e camminare allo stesso livello delle strutture che per moltissimi anni cittadini e turisti hanno potuto guardare solo dalla strada; ora infatti il sito è un museo a cielo aperto, accessibile a tutti, nel cuore dell’Urbe.