In relazione alle Celebrazioni Nazionali di Antonio Canova del 2022, è stato presentato nella Sala delle Colonne di Palazzo Patrizi Clementi a Roma, il volume a cura di Anna Imponente e Giovanna Grumo: “Sulle tracce dell’Accademia di Antonio Canova e di un bunker. Artisti contemporanei a Roma”, Gangemi Editore International.
Il libro tratta i progetti innovativi e di ricerca creati tra il 2020 e il 2014, in concomitanza con il centenario dell’Accademia del Regno Italico nel suo splendore, diretta dal grande scultore veneto.
Il testo fa da appendice al volume della Direzione Generale per il paesaggio, le belle arti, l’architettura e l’arte contemporanea sui beni mobili arrivati nelle collezioni statali del 2001 al 2011, arricchendo i musei italiani di 256 acquisizioni e 207 donazioni dal medioevo al XXI secolo.
La Sovrintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Lazio, fu realizzata nel febbraio del 2004 all’interno di una riorganizzazione degli istituti periferici del Ministero. Infatti, in un periodo di dieci anni, tra il 2000 e il 2010, fu attuata la creazione di molti nuovi istituti quali i Poli museali e le Direzioni Regionali, variazioni che resero inevitabile fornire anche una più adeguata dislocazione delle rispettive nuove sedi.
Per la nuova Sovrintendenza il Palazzo di Venezia si mostrava come la sede più adatta, e per tale causa furono scelti, insieme alla grande sala ubicata nel braccio meridionale della struttura, distinta come “Sala Canova”, alcuni ambienti al piano terra e altri al primo e al secondo piano del medesimo braccio dell’edificio.
Riordinando quindi la nuova sede nel “Palazzetto di Venezia”, Anna Imponente ha individuato nel suo raffinato e luminoso ufficio e negli spazi sottostanti al piano terra, i luoghi in passato utilizzati dall’Accademia Canoviana.
Le grandi vetrate che danno sul bellissimo giardino dell’edificio ed il loro stesso orientamento sono caratteristiche specifiche di un atelier d’artista, così come l’alto plinto posto sotto la finestra che doveva essere impiegato dallo scultore per collocare i suoi modelli.
Durante i restauri degli uffici della Sovrintendenza, in un’ala di Palazzo Venezia, un’iscrizione rivolta all’insigne Maestro e la sala con il medesimo nome, hanno stimolato Anna Imponente, all’epoca sovrintendente, ad invitare alcuni famosi artisti del panorama contemporaneo ad eseguire composizioni d’uso o d’arredo secondo una rinnovata creatività.
Nel cortile principale: Jacopo Cascella, nella Sala Canova Stefano Di Stasio, Maria Dompè, Cloti Ricciardi, Eloisa Gobbo, Paolo Hermanin, Claudio Palmieri, cui si sono state annesse le donazioni dei dipinti di Claudio Verna e di Ilia Peikov, e l’acquisizione di una scultura di Pietro Consagra.
La scultura di Jacopo Cascella: “Andando e Stando” dell’anno 2010 in travertino (cm 150 x 75 x 33), è ideata come una panchina da giardino con una struttura essenziale: due blocchi rettangolari cui si inseriscono le volumetrie tonde delle ruote. L’artista tramuta in questo modo un oggetto statico come la panca in un carro ideale, ricordiamo che i viaggi più significativi sono quelli della fantasia.
Nel chiostro del Palazzetto sono state sistemate una colonna segnaletica dell’Archivio Fotografico in terracotta di Lucilla Catania e un’altra in dono, e “In cammino” di Lorenzo Guerrini, 1955, deposito temporaneo degli arredi.
Ricorre appunto e si celebra l’anniversario della morte di Antonio Canova, 200 anni dopo il fatidico 13 ottobre 1822. Per commemorare la vita, citiamo la celebre biografia pubblicata nel 1824 dall’abate Melchiorre Missirini, segretario di fiducia dello scultore e prosegretario dell’Accademia di San Luca.
Al ricordo agiografico di “un uomo nato in umile fortuna, in loco oscuro e riposto che quasi per ispirazione vede la vera strada, quell’arte in cima d’ogni perfezione…un animo devoto alla beneficenza che acquista tal benevolenza che si fa venerare in vita e piangere nella morte, come per pubblica calamità”, aveva anche l’encomio universale.
Sempre per l’eminente rappresentante del movimento neoclassico vi è la targa commemorativa nel cortile grande dell’edificio, murata presso il vano scala su cui si legge: “CANOVAE HIG LATIO GRAIAS FELICIBUS ORSIS / AEMULA PHIDIACAE DEXTRA REDVXIT OPES”.
La sala è determinata da due finestre molto grandi, fuori misura riguardo l’ampiezza standard delle abitazioni civili, e con le dimensioni caratteristiche degli studi di artista: la stanza ha anche la luminosità propria di un atelier: intensa ed uniforme, dovuta all’assenza di un irraggiamento diretto del sole in virtù dell’esposizione a nord.
La sua probabile originaria funzione di studio d’artista è comprovata dall’esistenza in essa, come detto, di un podio in muratura situato sotto una delle due finestre, che richiama quello usualmente utilizzato dai modelli in posa per la costituzione dei nudi accademici.
La Sala Canova, è un nome risalente ad un’età recente perché tale istanza con questa denominazione è menzionata nelle fonti otto/novecentesche.
Si ebbe dividendo orizzontalmente un solaio il grande fienile posto al piano terra, tra la stanza e la rimessa delle carrozze che si estendeva in altezza utilizzando anche il volume del piano superiore.
Guardando il prospetto di Barvitius è realmente della stessa età di tale planimetria datato 1856-1858, non essendoci la grande finestra che sovrasta la porta dell’ex studio degli scultori così come è al momento, ma aveva già un’apertura molto vasta che si sviluppava oltre il solaio dell’ambiente al piano superiore.
Ciò convalida che in quegli anni la vela era già stata realizzata e con essa anche la pedana in muratura, e per la sua ampia dimensione vi è un’illuminazione diffusa.
Il riferimento del luogo allo scultore di Possagno potrebbe collegarsi agli anni del suo soggiorno giovanile nel Palazzo, quando fu ospite dell’Ambasciatore della Repubblica Veneta Girolamo Zulian, o al periodo seguente quando tornò nella struttura come Direttore dell’Accademia di Belle Arti nel periodo Napoleonico.
I lavori promossi dalla Sovrintendenza, su progetto dell’architetto Carlo Serafini, hanno avuto come scopo basilare il recupero della sala nella sua totalità, in passato danneggiata per alcuni interventi attuati con molta fretta nel 2004 per necessità di funzionamento di essa.
Per avere una divisione funzionale degli ambienti, per le esigenze degli uffici, sono state realizzate delle pareti trasparenti nelle quali si inseriscono degli ampi armadi a muro.
I numerosi vani conseguiti sono stati muniti di un impianto di climatizzazione, di un sistema di rilevamento dei fumi collegato ad un centralino di allarme e di una nuova funzionale illuminazione.
Palazzo Venezia è uno dei complessi più rappresentativi della Capitale, “Un palazzo inconfondibile nella sua forma lineare e compatta, dispiegata sotto la torre a lato, nella grande mole merlata e turrita”, scrive Anna Imponente.
Antonio Canova scolpì l’opera il Teseo e il Minotauro che ora è all’interno del Victoria and Albert Museum di Londra, 1781-1783, commissionato dall’ambasciatore Grolamo Zulian, che lo ospitava nell’edificio.
Teseo è il simbolo della ragione che ha sconfitto l’irrazionalità rappresentata dal Minotauro, essere metà uomo e metà animale. La sua esistenza secondo il mito greco si deve infatti all’insana passione per la regina Pasifae che si fece ingravidare dal toro sacrificale.
Il ritrovamento di un bunker nei sotterranei di Palazzo Venezia si è verificato per svariati lavori di ristrutturazione per gli uffici appunto dell’allora Soprintendenza.
Si ebbe infatti l’individuazione di una struttura sotterranea con i requisiti di rifugio antiaereo risalente ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, e per le sue peculiari caratteristiche dimensionali, essa è stata considerata come plausibile bunker personale di Benito Mussolini.
Della botola in ferro erano a conoscenza solo alcuni operai anziani che adoperavano il luogo come deposito di attrezzi da lavoro, essa aveva una stretta scala in mattoni che arrivava ad una struttura in cemento armato sotterranea divisa in più stanze.
Ogni vano ha dimensioni molto simili, di circa 3 x 3 m, e sono comunicanti tra loro con un moto circolare, orario e antiorario, che si sviluppa intorno ad un massiccio nucleo centrale.
Verosimilmente il rifugio antiaereo non è stato terminato e la fine di Mussolini e del suo regime ne ha impedito il completamento, non vi sono tracce di impianti idrici o elettrici.
L’ex sindaco Walter Veltroni in riferimento al bunker ritrovato illustra: “Non ne sapevo niente e la notizia mi ha colpito. Soprattutto perché racconta di una fragilità italiana, che è la fatica di fare i conti col passato. Come è che possibile che quel bunker sia rimasto per quasi settant’anni nascosto? Lo è perché abbiamo girato la pagina del fascismo senza averla metabolizzata e compresa. E quindi continuiamo a occultare le tracce fisiche del ventennio… Per condannare bisogna conoscere, storicizzare e razionalizzare, non rimuovere. Altrimenti gli orrori ritornano”.
Sappiamo anche che in seguito ai bombardamenti aerei di Torino, Milano, Genova dell’ottobre 1942, iniziò la creazione di un bunker nella residenza privata di Villa Torlonia per la protezione di Mussolini e la sua famiglia. In realtà il Duce utilizzò Palazzo Venezia come una seconda abitazione privata: alcune stanze dell’appartamento Cybo collocate nell’ala limitrofa a via del Plebiscito erano di utilizzo riservato ai suoi incontri segreti con Claretta Petacci. Infatti nel tempo, tutte le parti del palazzo più vicine a via degli Astalli erano di natura privata essendo state rimosse tutte le preesistenze di sedi o uffici.
All’interno dell’edificio dove era ubicata la Sovrintendenza, il passato si identifica con il nostro presente, attraverso immagini artistiche che non rispecchiano l’antico ma che esprimono valori universali.