Malala Yousufzay.Un esempio per i giovani di tutte le nazioni

Sono ormai trascorsi alcuni anni da quando la sua storia impressionò profondamente l’opinione pubblica mondiale, ponendo sotto la lente di ingrandimento dei media un problema che si trascina ormai da diversi decenni, in quei Paesi del Medio Oriente in cui i diritti del donne vengono vergognosamente calpestati. Malala Yousufzay è una ragazzina, o almeno così potrebbe parere agli occhi di noi Occidentali, ma la diciassettenne pakistana è una studentessa e un’attivista per i diritti delle donne nel suo Paese da anni. In particolare si è battuta e si batte ancora oggi per il diritto all’istruzione per le donne che nella sua regione, lo Swat, viene negato agli individui di sesso femminile dal regime dei talebani. Fece molto scalpore il blog da lei gestito per la BBC, nel quale documentava la repressione e l’occupazione militare perpetrate dai talebani. Per questo fu nominata per l’International Children’s Peace Prize. Nell’ottobre del 2012, all’età di soli 15 anni, rimase vittima di un attentato nel quale fu ferita alla testa e al collo da uomini saliti sul pullman nel quale viaggiava di ritorno da scuola. Sopravvissuta al vile attentato, fu ricoverata e curata in un ospedale di Birmingham. Il portavoce dei talebani, Ihsanullah Ihsan, dichiarò che la giovane rappresentava “il simbolo degli infedeli e dell’oscenità” minacciando che, qualora fosse sopravvissuta all’attentato sarebbe stata vittima di un immediato nuovo tentativo. Nel febbraio del 2013 il partito laburista norvegese ha promosso la candidatura di Malala al Premio Nobel per la Pace (fa una certa impressione pensare che allo stesso premio sia stato candidato Vladimir Putin). Nel luglio dello stesso anno ha parlato alle Nazioni Unite in favore dell’istruzione dei bambini di tutto il mondo, indossando lo scialle appartenuto a Benazir Bhutto, la donna che fu per due volte Primo Ministro del Pakistan, trovando la morte nel dicembre 2007 in un attentato suicida da parte dei terroristi talebani. Nell’ottobre del 2013 ha vinto il Premio Sakharov per la libertà di pensiero, consegnatogli nella Sessione Plenaria del novembre di quell’anno, dopo il discorso pronunciato dal presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, che la definì una ragazza eroica. Famosa la sua frase: “Non mi importa di dovermi sedere sul pavimento a scuola. Tutto ciò che voglio è istruzione. E non ho paura di nessuno”. In Occidente e anche nel nostro Paese, il diritto allo studio è garantito ancora a tutti e allo stesso modo tutti i diritti fondamentali dell’uomo, per fortuna. Però, pensando ai giovani che passano le giornate al cellulare e al computer, raccontando ogni istante della loro vita sui social network, sarebbe bello che dimostrassero un po’ della determinazione, del coraggio e della generosità di Malala. Il nostro Paese vive un momento di difficoltà profonda, ma commiserarsi e sognare di diventare velina o calciatore, potrebbe sinceramente offendere chi non ha diritto di esprimersi, chi non ha accesso a nessun Facebook o Twitter e la sua vita non vale niente e nessuno lo sa. Potrebbe risultare fastidioso lamentarsi dei compiti o della scuola, per chi non ha il permesso di andarci ed è costretto all’ignoranza solo perché è donna o perché appartiene ad una minoranza. Le sofferenze di Malala non sono augurabili per nessuno ma la sua forza e il suo cuore devono essere un monito, un esempio per tutti i giovani del mondo.

 

Patrizio Pitzalisz2

 

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