Dopo oltre 70 anni, è mostrata ai visitatori la prima versione di un’opera artistica di Caravaggio mai esposta, dalla storia tormentata ma avvincente. E’ la prima versione del celebre lavoro ritraente la “Presa di Cristo”, quadro che durante molti anni è stato oggetto di innumerevoli polemiche attraverso intrighi internazionali.
Il dipinto determina il cuore di una rassegna nel Palazzo Chigi ad Ariccia, visitabile dal 14 ottobre al 14 gennaio 2024.
L’evento è curato dall’architetto e storico dell’arte, Francesco Petrucci, uno dei più grandi esperti di Gian Lorenzo Bernini e del Barocco romano.
Il quadro è stato l’oggetto anche per tale mostra di indagini diagnostiche, le quali avrebbero comprovato l’autografia, evidenziando pentimenti estesi e modifiche della tela.
Nel momento in cui fu ritrovato da Roberto Longhi nel 1943 in collezione Ruffo di Calabria, la composizione fu ritenuta soltanto la miglior copia di un dipinto perduto, di analogo soggetto, segnalato in collezione Mattei, imputabile alla committenza di Ciriaco Mattei, che lo comprò da Caravaggio nel 1603.
Dopo la sua acquisizione da parte del famoso antiquario romano Mario Bigetti, nel giugno 2003, la cosa da comprendere era se la tela rappresentante la miglior copia dell’opera persa di Caravaggio appunto della Collezione Mattei, o se invece, come sperava il proprietario, consisteva in un originale dell’artista.
Durante la pulitura, realizzata con grande meticolosità e accortezza dalla restauratrice Carla Mariani, riemergevano le parti autentiche offuscate da estese e inadeguate ripuliture, e si rivelava la stupefacente qualità del dipinto, contraddistinto da un passato difficile caratterizzato da verosimili cambiamenti di proprietà e criticabili operazioni conservative.
Pertanto gli studiosi iniziarono a credere che si trattasse del prototipo del Merisi, da cui sarebbe derivata la replica della National Gallery of Ireland di Dublino, ritrovata da Sergio Benedetti nel 1993. Ma anche la storia della copia di Dublino è molto complessa. Una giovane studiosa romana rinvenne in un archivio della Famiglia Mattei, che commissionò il quadro, alcuni documenti sull’opera, la tela scomparsa della “Presa di Cristo”, riproduce Gesù baciato da Giuda e circondato da soldati. Tale composizione fu quindi trovata a Dublino, in una casa di Gesuiti e poi, dopo esser stato autenticata, fu appunto esposta nella National Gallery. Del soggetto sono conosciute anche tantissime copie: quindici quelle documentate.
La storia è all’interno di un libro di successo intitolato: il “Caravaggio perduto”.
L’ultima volta che la “Presa di Cristo” di Caravaggio (Milano, 1571 – Porto Ercole, 1610) fu mostrata al pubblico, era il 1951. In quel periodo fu Roberto Longhi ad essere il curatore di un’esposizione, raccogliendo nel Palazzo Reale di Milano le opere del pittore lombardo e molti lavori dei cosiddetti Caravaggeschi, per riabilitare così il Maestro da una lunga fase di oscurità ed esaltare il suo sviluppo artistico del Seicento. La rassegna di Milano ebbe un enorme consenso di pubblico, presente per contemplare molti dipinti autografi di Caravaggio mai più radunati in un unico spazio.
Il dipinto è un vero corrispettivo a destinazione privata delle bellissime tele della Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, 1599-1600, e della Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo, 1600, che manifestano un
reale cambiamento di carattere espressivo nella produzione di Caravaggio, dopo la predominanza di soggetti di genere e a tema mitologico degli anni passati.
L’olio su tela è databile al periodo dell’attività romana dell’artista, più esattamente è stato focalizzato l’anno 1602. La sua complessità d’impianto, i suoi contenuti iconografici, iconologici e concettuali, paragonabili a quelle delle pale d’altare, deve avere una trattazione monografica, oggetto di questo spazio.
E’ stato ricostruito idealmente sull’altana di Palazzo Chigi l’atelier di Caravaggio, ubicando l’opera a fondo nero, con luce proveniente diagonalmente dall’alto a sinistra, come confermano le fonti storiche (Bellori, Mancini). L’altana infatti in precedenza era stata adibita anche a laboratorio di restauro di quadri, come spesso accadeva sulle altane dei palazzi romani.
Nella medesima sala sono presenti pannelli a luce retro-riflessa con la radiografia della composizione, la sua riflettografia e una riproduzione della versione di Dublino.
Pannelli didattici documentano le quindici copie dell’opera, precedentemente citati, e la sua storia e sono esposte anche la “Presa di Cristo” del Cavalier d’Arpino, un dipinto rinascimentale ambito di Giorgione, raffigurante lo stesso soggetto e una versione della “Baruffa di Bruttobuono” di Francesco Villamena, riferimenti per la tela di Caravaggio.
Nella sala quadrata, situata sotto l’altana, sono esposte copie contemporanee determinate dalle opere note del pittore eseguite dagli artisti: Nicola Ancona, Giancarlo Pignataro, Guido Venanzoni.
La rassegna ha il patrocinio del Ministero della Cultura, è stata organizzata con il Sostegno della Fondazione Meeting del Mare (C.R.E.A., Cultura, Religioni, Arte), dell’Associazione Culturale Comitato di San Floriano di Illegio. La società Global Project ha curato l’organizzazione dell’evento.
Il catalogo è stampato da De Luca Editori d’Arte e finanziato con il contributo della Fondazione BCC dei Castelli Romani e del Tuscolo. L’allestimento è a cura di Global Project Consulting, che promuove mostre d’arte in molti Paesi del mondo.
Il Palazzo Ducale a Palazzo Chigi ad Ariccia è un classico modello di abitazione barocca progettato da Gian Lorenzo Bernini e dal suo giovane allievo Carlo Fontana. Rimasto integro nel suo contesto ambientale e nel suo arredamento originario, conferma la grandezza di una delle più importanti famiglie papali italiane, i Chigi, già proprietari dell’omonimo palazzo romano, ora sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Cominciato nella seconda metà del 1500 dalla Famiglia Savelli, l’edificio fu tramutato per volere dei Chigi in una sontuosa residenza barocca tra il 1664 e il 1672. All’interno del palazzo vi è una rilevante collezione di dipinti, sculture ed arredi, risalenti per la maggior parte al XVII secolo, e provenienti anche da altre abitazioni di famiglia, tra cui lo stesso edificio romano, acquistato dallo Stato nel 1918.
Probabilmente per le sue caratteristiche spagnoleggianti, Luchino Visconti ambientò nel palazzo gran parte del suo film capolavoro: “il Gattopardo”, 1962.
Venduto dal principe Agostino Chigi della Rovere al Comune di Ariccia il 29 dicembre 1988, la struttura è divenuta un museo e centro di svariate attività culturali (mostre, concerti, visite guidate, convegni). Le zone visitabili del complesso sono le stanze del cardinal Flavio Chigi al pian terreno, il Piano Nobile, il Museo del Barocco Romano al piano mezzanino sinistro e, nei periodi in cui sono allestite le mostre temporanee, le aree espositive al piano mezzanino destro.
Nel 2007 è stato infatti inaugurato il Museo del Barocco Romano, che ospita insigni opere del Seicento e del Settecento acquisite da varie donazioni.
Limitrofo all’edificio un ampio parco, resto del Nemus aricinum sacro a Diana, prezioso ricordo del passato in termini paesaggistici, con la vegetazione originaria dei Castelli Romani. Composto da un bosco misto di latifoglie, con varietà di querce, aceri, carpini, e atre specie, ospita numerosi “patriarchi”, contenente alcune sequoie californiane tra le più antiche d’Europa.
La storia del dipinto e la figura di Caravaggio manifestano l’altissimo livello della mostra, evidenziando come l’originale analisi artistica del Maestro ed i suoi risultati pittorici siano esclusivi, irripetibili e innovativi.