“IL MONDO FLUTTUANTE. UKIYOE. VISIONI DAL GIAPPONE”, LA SPETTACOLARE ESPOSIZIONE A PALAZZO BRASCHI IN ROMA.

Nella spettacolare esposizione: “Il mondo fluttuante. Ukiyoe. Visioni dal Giappone”, allestita per svelare i famosi scenari delle stampe di oltre trenta artisti del Paese orientale, avrete l’impressione di tornare indietro nei secoli nell’età dei samurai delle cortigiane, degli aristocratici, degli attori e dei commercianti.

Un percorso esclusivo alla scoperta del mondo fluttuante, un itinerario originato appunto dagli insigni maestri dell’Ukiyoe e impreziosito dalle loro rappresentazioni sul Giappone.

Pertanto, il Museo di Roma Palazzo Braschi accoglie dal 20 febbraio al 23 giugno 2024 tale mostra, un’emozionante viaggio nell’arte giapponese di epoca Edo, tra il Seicento e l’Ottocento, evidenziando quello che fu il movimento artistico più innovativo del periodo a livello mondiale.

Il periodo Edo, è determinato da una lunga fase della storia giapponese il cui potere era della famiglia Tokugawa, che creò pace e stabilità nel Paese orientale. Questa età assunse il nome dalla città di Edo, l’attuale Tokyo, e fu un periodo che ebbe una enorme espansione della cultura popolare. La società Edo, era molto gerarchizzata, all’apice della piramide sociale abbiamo i samurai e la casta dei guerrieri che detenevano il potere, al secondo livello vi erano i contadini, mentre alla fine della scala gli artigiani ed i commercianti.

L’ukiyoe – il mondo fluttuante, indica il mondo terreno in cui tutto è fugace e transitorio. Fino al 1600, questo vocabolo venne adoperato con un significato negativo riferendosi al buddismo, cioè tutto quello che si doveva evitare per trovare l’illuminazione.

“E’ dunque il godimento dell’attimo fuggente, dell’effimero fino a quel momento rifiutato”, ha spiegato la curatrice della rassegna, Rossella Menegazzo, docente di Archeologia, Storia dell’Arte e Filosofie dell’Asia Orientale all’Università degli Studi di Milano.

La parola ukiyoe, che letteralmente vuol dire “immagini del mondo fluttuante” è formata da tre caratteri: uki, fluttuante; yo, mondo terreno; e raffigurazione, immagine.

Questo movimento che ebbe molta influenza nell’arte occidentale, è probabilmente il momento dell’arte giapponese più noto coincidente anche con un periodo appunto di pace e di benessere mediante l’ascesa di nuovi ceti sociali.

L’affermazione dell’attività artistica ukiyoe fu prodotta dalla ricca borghesia di città che voleva composizioni più legate alle antiche tradizioni, ma distintive della società contemporanea e dei suoi costumi. I contenuti, dunque, sono differenti da quelli classici della pittura giapponese il cui repertorio simboleggiava i gusti della classe aristocratica, e durante i svariati anni furono realizzati temi e lavori eleganti e convenzionali di paesaggi, fiori, animali e stagioni.

L’interesse degli artisti dell’ukiyoe è costituita anche dalla rappresentazione dei vari aspetti della vita della popolazione della città e della cultura urbana. Le immagini sono realizzate a grandi tratti, uomini e donne delineati con linee spesse e paesaggi semplificati, e le loro stampe sono in genere monocrome.

Gli usi più frequenti degli ukyoe erano oltre che decorativi anche pubblicitari e sociali: c’è chi utilizzava tali stampe come manifesti e locandine e anche chi le comprava sottoforma di cartoline augurali da mandare ad amici e conoscenti negli avvenimenti rilevanti.

Molte delle stampe sono del tipo shunga, ovvero stampe erotiche, i soggetti, oltre a festività popolari e attività cittadine, sono soprattutto cortigiane e attori di Yoshiwara.

Però è senz’altro da ricordare che ukiyoe, nei secoli, ha subito una censura profondissima dalle autorità militari. Soggetti troppo legati al mondo immorale dei quartieri di piacere o del teatro allontanati a più riprese, ho menzionato infatti gli shunga, con contenuti chiaramente pornografici. La censura tuttavia non è stata un fatto negativo: da un lato i soggetti proibiti continuarono a circolare aumentando il mercato del contrabbando, dall’altra gli artisti hanno pensato dei modi sempre nuovi per evitare di imbattersi in essa. Si sono sempre serviti di piccole scappatoie e hanno continuato a rappresentare gli attori di Kabuki attraverso facce di gatti o di pesci, mentre le cortigiane abbandonavano i loro reali nomi per incarnare su carta le eroine di antiche leggende.

Nella rassegna sono ospitate 150 opere.

“Ci sono rotoli illustrati, quindi dipinti a pennello con inchiostro su seta o su carta, rotoli verticali, ma anche orizzontali. E poi per lo più stampe, in foglio singolo, in trittici o anche in polittici che arrivano a dieci fogli, stampate in policromia piena negli ultimi anni. Nella mostra è possibile seguire i primi sviluppi quando ancora si utilizzava l’inchiostro nero e qualche tocco di colore dato a mano di rosso, verde e giallo”….”Le opere ci raccontano quanto quella di Edo fosse una società alfabetizzata e come si usassero le arti come disciplina formativa dell’individuo. Ma ci raccontano anche l’apertura del Giappone e i rapporti speciali che il Paese ebbe con il Regno d’Italia, poiché tutti i pezzi esposti provengono dalle collezioni di artisti o diplomatici italiani, i primi viaggiatori e residenti in Giappone nella seconda metà dell’Ottocento”. Dichiara Rossella Menegazzo.

Esempio dell’ukiyoe sulla cultura occidentale è il collezionismo di due artisti italiani, lo scultore Vincenzo Ragusa e l’incisore Edoardo Chiossone, che hanno composto due nuclei di arte orientale tra i più significativi d’Italia oggi ubicati nel Museo d’Arte Orientale di Genova e nel Museo delle Civiltà a Roma da cui provengono numerosi lavori presenti a Palazzo Braschi.

Raccontiamo di un collezionismo di due interpreti che fanno parte di artisti e professionisti invitati dal governo Meiji alla fine dell’Ottocento, per essere formatori nelle differenti discipline.

E parliamo anche di un’età di apertura del Giappone, lungo cui tanti viaggiatori giunsero nel Paese orientale dall’Italia e si stabilirono lì dando vita ad attività commerciali, instaurando un network tra loro che avrebbe determinato la nascita delle più importanti raccolte della nostra Penisola.

Edoardo Chiossone nel 1875 andò a vivere a Tokyo, dove lavorò e costituì la sua enorme collezione, poco prima di spegnersi dette in eredità tutte le sue opere all’Accademia Linguistica di Belle Arti, sua scuola di formazione, in cui furono esposte dal 1905 al 1940. La sua raccolta andò dopo al Comune di Genova, che realizzò un nuovo museo a lui intitolato, e inaugurato nel 1971.

La collezione Ragusa, custodita nel Museo delle Civiltà a Roma ha nel suo interno circa 4200 oggetti in maggioranza d’uso quotidiano o culturale di epoca Edo, ed è sensazionale nel suo genere specialmente perché regala una visione d’insieme dell’artigianato giapponese, con un fine documentario e didattico che si impone sulla qualità artistica.

La rassegna si articola mediante un itinerario di sette sezioni.

La prima si identifica con la bellezza femminile, soggetto basilare dell’ukiyoe e presenta figure femminili che si dedicano ad attività come la pittura, la calligrafia, il gioco da tavolo di strategia, la poesia e la musica come le donne di Utagawa, Toyonaru e Kitagawa Utamaro.

Utagawa Kuniyoshi è uno degli artisti più poliedrici e anche irriverenti, si specializzò molto nei soggetti erotici shunga. Sono molto famose le sue stampe che hanno infatti per soggetti gatti e pesci rossi mentre Kitagawa Utamaro è l’artista più conosciuto del genere bijinga, ovvero ritratti di bellezze. Utamaro ha dipinto anche splendidi paesaggi e soggetti naturalistici molto dettagliati, ma è passato alla storia per le sue cortigiane, prostitute, ma anche donne comuni, dove i volti ed i corpi hanno saputo catturare alla perfezione l’essenza delle modelle a cui si sono ispirati.

Il tema della musica è analizzato profondamente nella sezione anche attraverso una selezione di strumenti musicali di quel periodo, che sono riprodotti nelle stampe della collezione di Vincenzo Ragusa e Edoardo Chiossone.

Il fulcro della seconda sezione è la danza con il teatro, mentre nella terza sezione sono presenti i quartieri di piacere che si erano diffusi fuori città e in cui valevano solamente le regole della seduzione e della moda. Gli interni delle case da tè, lo struscio lungo la via centrale del quartiere di Yoshiwara a Edo, ma anche la quotidianità della vita di queste donne sono i temi di autorevoli maestri come appunto: Kitagawa Utamaro, Utagawa Toyokuni, Katsushika Hokusai, Chobunsai Eishi, Keisai Eisen, e altri ancora.

Mostrati due pezzi di elevato pregio presenti per la prima volta, uno è un koto, uno strumento a corde di proprietà di Cristoforo Robecchi, il primo console italiano in Giappone, l’altro è un soprakimono imbottito completamente decorato con fili d’oro, d’argento e colorati, arrivato nel nostro Paese tramite Enrico di Borbone conte di Bardi che fu il fondatore della collezione del Museo d’Arte Orientale di Venezia.

Ancora in rassegna alcuni ventagli decoratissimi e lo specchio da toletta provenienti sempre dal Museo delle Civiltà di Roma.

L’intrattenimento, i giochi ed i passatempi sono il cuore della sezione seguente. Presenti opere come quelle di Utagawa Toyohiro, di Utamaro, ma anche di Kuniyoshi, che creò intere serie di stampe sul divertimento, come ritratti in forma di graffiti, caricature e composizioni arcimboldesche, scene di giocoleria e acrobazia.

Le ultime due sezioni si rivolgono alla rappresentazione di località famose dentro la città e di vedute naturali e architettoniche di tutte le province del Paese orientale.

Negli anni Trenta dell’Ottocento si ebbe il blu di Prussia, che non vi era prima, esso fu importato dall’Europa e venne denominato Berlin Blu o il blu di Berlino, facendo iniziare così tutta la produzione dei paesaggi di Hokusai come le 36 vedute del monte Fuji (in realtà 46), di cui la Grande Onda ne è la dimostrazione più manifesta.

Il celebre capolavoro è stato mostrato in una rassegna monografica al Museo dell’Ara Pacis a Roma nel 2018, esso (1830-1831), è l’idioma di tutto il Giappone e spicca sulla locandina della mostra. La xilografia è uno dei diversi esemplari disseminati in tutto il mondo, (25,7×37,9 cm.), e il Maestro che attinge dalla tradizione cinese, giapponese e occidentale, descrive la forza del flutto con la spuma bianca. Inoltre evidenziamo il segno armonioso e modernissimo dell’onda grande nello spazio della cornice, ed il dinamismo e la vivacità dei suoi tratti.

Il lavoro è allestito su una parete isolata su fondo blu ed è di enorme effetto scenografico.

Katsushika Hokusai è considerato il più grande artista di tutti i tempi. Egli è divenuto popolare in occidente anche grazie ai suoi manga, taccuini che il pittore ha riempito di figure umane in varie posizioni, schizzi di paesaggi e anche fantasmi e mostri yokai.

Dichiara Miguel Gotor, assessore alla Cultura di Roma Capitale: “Sono felice che il Museo di Roma ospiti una così prestigiosa e rappresentativa selezione di un genere pittorico che ha attraversato i secoli, rappresentando un punto di svolta nella storia dell’arte giapponese e influenzando non solo la cultura nipponica ma anche quella di tutto il mondo. L’ukiyoe ha influenzato infatti numerosi artisti occidentali, da Van Gogh a Monet; fino agli odierni manga, diventando un ponte culturale tra Oriente e Occidente e Roma, che nella sua lunga storia è stata sempre aperta alle altre culture, e rappresenta il luogo ideale per accogliere queste opere straordinarie”.

L’esposizione è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, e coprodotta e organizzata dalla Sovrintendenza Capitolina e da MondoMostre, con il supporto di Zètema Progetto Cultura.

“Il mondo fllutuante. Unikoe. Visioni del Giappone”, si prefigge di descrivere una storia di connessione culturale che ha attraversato i secoli, unendo l’Italia ed il Giappone mediante l’arte e la magnificenza, condizionando ancora adesso il nostro vivere contemporaneo.

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