PROCEDURE CONCORSUALI: VARIAZIONE IVA IN DIMINUZIONE

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta all’interpello n. 126 del 3 giugno 2024, ha chiarito che la conversione di una procedura di concordato preventivo aperta prima del 26 maggio 2021 in un successivo fallimento non dà luogo all’avvio di una nuova procedura concorsuale, ma alla continuazione della precedente. Di conseguenza, per l’emissione della nota di variazione in diminuzione, occorre attendere l’esito infruttuoso del fallimento.

Prima della modifica normativa operata dall’art. 18 del D.L. n. 73/2021 (decreto “Sostegni-bis”), applicabile alle procedure concorsuali avviate dal 26 maggio 2021, l’art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 prevedeva la facoltà, in capo al cedente/prestatore, di rettificare in diminuzione l’imposta applicata quando l’operazione viene meno o se ne riduce l’ammontare imponibile in conseguenza del mancato pagamento del corrispettivo comprovato da procedure esecutive individuali o procedure concorsuali rimaste infruttuose, nonché da accordi di ristrutturazione dei debiti omologati ai sensi dell’art. 182-bis del R.D. n. 267/1942 (Legge Fallimentare) o piani attestati ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. d), della citata Legge fallimentare. I princìpi affermati dalla giurisprudenza comunitaria hanno indotto il legislatore ad intervenire sulla disciplina delle note di variazione in diminuzione al fine di adeguare la normativa interna a quella comunitaria.

L’art. 90 della Direttiva n. 2006/112/CE, dal quale discende il citato art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, stabilisce, al par. 1, che, in caso di non pagamento totale o parziale dopo il momento di effettuazione dell’operazione, la base imponibile è debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri. Il successivo par. 2 dispone, tuttavia, che, in caso di non pagamento totale o parziale, gli Stati membri possono derogare alla previsione del par. 1.

Il legislatore nazionale aveva scelto di usufruire della deroga prevista dal par. 2 dell’art. 90 della Direttiva n. 2006/112/CE, subordinando l’emissione della nota di variazione alla conclamata infruttuosità della procedura concorsuale o esecutiva, posticipando a tempi molto lunghi il recupero dell’IVA già versata e non incassata.

La previgente normativa italiana sulla procedura di variazione in diminuzione dell’imponibile o dell’imposta è stata censurata dalla Corte di giustizia in considerazione dell’eccessiva durata delle procedure concorsuali, al cui esito infruttuoso era subordinato il diritto alla detrazione dell’imposta non incassata (sent. 23 novembre 2017, causa C-246/16).

Ad avviso della Corte, la finalità del citato art. 90 della Direttiva n. 2006/112/CE è quella di consentire agli Stati membri di individuare, in considerazione del sistema giuridico nazionale esistente, le situazioni concrete in cui il mancato pagamento può dirsi ragionevolmente verificato e in quale misura. Tale disposizione deve essere interpretata nel senso che uno Stato membro non può subordinare la riduzione della base imponibile dell’IVA all’infruttuosità di una procedura concorsuale qualora la stessa possa avere una durata molta lunga, anche superiore a dieci anni.

I giudici comunitari, ritornati sulla questione, hanno ammesso la variazione in diminuzione anche in presenza di una ragionevole probabilità che il debito non sia saldato, rinviando alle Autorità nazionali il compito di stabilire, nel rispetto del principio di proporzionalità e sotto il controllo del giudice, quali siano le prove di una probabile durata prolungata del non pagamento che il soggetto passivo deve fornire in funzione delle specificità del diritto nazionale applicabile (sent. 11 giugno 2020, causa C-146/19).

Sul piano nazionale, la Corte di cassazione, alla luce delle indicazioni fornite dalla Corte di giustizia, ha affermato che la facoltà degli Stati di ricorrere al meccanismo previsto dall’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, si fonda sull’assunto che, in presenza di talune circostanze ed in ragione della situazione giuridica esistente nello Stato membro interessato, il mancato pagamento del corrispettivo può essere difficile da accertare o essere solamente provvisorio (sent. 16 novembre 2020, n. 2589).

Per i giudici di legittimità deve, quindi, ritenersi possibile attivare la procedura di variazione in diminuzione dell’imposta qualora sia ragionevolmente probabile che il debito non sia saldato, superando il precedente orientamento in materia (Cass., 16 dicembre 2011, n. 27136).

A seguito della modifica operata dall’art. 18 del D.L. n. 73/2021, applicabile alle procedure concorsuali avviate dal 26 maggio 2021, dal comma 2 dell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 – che prevede le ipotesi in relazione alle quali il cedente/prestatore può effettuare variazioni in diminuzione della base imponibile e dell’imposta senza specifici limiti di tempo, con riferimento alle operazioni per le quali abbia già emesso fattura con addebito dell’IVA – sono state stralciate le ipotesi in cui il mancato pagamento del corrispettivo sia dovuto all’assoggettamento del cessionario/committente ad una procedura concorsuale o esecutiva rimasta infruttuosa, oppure ad un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182-bis della Legge Fallimentare o ad un piano attestato ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. d), della stessa Legge fallimentare.

Tali ipotesi sono contemplate dal nuovo comma 3-bis dell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, in base al quale la facoltà di riduzione della base imponibile e dell’imposta, prevista dal comma 2 del medesimo art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 si applica anche in caso di mancato pagamento del corrispettivo, in tutto o in parte, ad opera del cessionario/committente per le procedure concorsuali, gli accordi di ristrutturazione dei debiti e i piani attestati; per le procedure esecutive individuali rimaste infruttuose.

Il comma 3-bis dell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 individua, altresì, con riferimento alle procedure concorsuali, la data a partire dalla quale la variazione può essere operata dal cedente/prestatore, stabilendo che, qualora il mancato pagamento sia dovuto all’assoggettamento del debitore a procedure concorsuali, la variazione conseguente può essere operata a partire dalla data di apertura della procedura concorsuale, che coincide con la data della sentenza dichiarativa del fallimento; del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa; del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo; del decreto che

dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

In adesione alle indicazioni rese dalla Corte europea nella causa C-146/19, secondo cui la riduzione della base imponibile dell’IVA è ammessa nell’ipotesi in cui il cedente/prestatore possa dimostrare che il credito non sarebbe stato riscosso anche in caso di preventiva insinuazione del credito stesso al passivo, la circolare n. 20/E/2021 ha chiarito che l’emissione della nota di variazione in diminuzione non risulta preclusa al cedente/prestatore che non abbia effettuato l’insinuazione al passivo del credito corrispondente.

Deve, quindi, intendersi superata la posizione assunta in proposito dall’Amministrazione finanziaria, secondo cui la nota di variazione in diminuzione è emessa in subordine alla necessaria partecipazione del creditore al concorso (C.M. 17 aprile 2000, n. 77/E, nonché risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate n. 155 del 12 ottobre 2001, n. 89 del 18 marzo 2002 e n. 195 del 16 maggio 2008).

Nulla cambia, invece, sempre ai sensi del comma 3-bis dell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, per gli accordi di ristrutturazione dei debiti e i piani attestati, essendo confermato che il diritto alla variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta è esercitabile dalla data del decreto che omologa l’accordo di ristrutturazione dei debiti; di pubblicazione nel Registro delle imprese del piano attestato.

Nulla cambia neppure per le procedure esecutive individuali, siccome la variazione in diminuzione resta ancora subordinata al loro esito infruttuoso, come previsto dal comma 3-bis dell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972.

In tali ipotesi, il comma 12 dello stesso art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 – che non ha subito modifiche – stabilisce che la procedura esecutiva individuale si considera infruttuosa nell’ipotesi di pignoramento presso terzi, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti che presso il terzo pignorato non vi sono beni o crediti da pignorare; nell’ipotesi di pignoramento di beni mobili, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti: la mancanza di beni da pignorare, ovvero l’impossibilità di accesso al domicilio del debitore, ovvero la sua irreperibilità; nell’ipotesi in cui, dopo che per tre volte l’asta per la vendita del bene pignorato sia andata deserta, si decida di interrompere la procedura esecutiva per eccessiva onerosità.

L’art. 3-bis del D.L. n. 228/2021 (decreto “Milleproroghe”) ha anticipato la data di decorrenza della nuova disciplina, applicabile alle procedure concorsuali avviate dal 26 maggio 2021, anziché dal 27 maggio 2021, come invece prevede l’art. 18 del D.L. n. 73/2021. È il caso di osservare che la circolare n. 20/E/2021 aveva già chiarito che le novità si applicano alle procedure concorsuali avviate dal 26 maggio 2021.

Nella risposta n. 126/2024, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che non è possibile ravvisare, al momento della dichiarazione di fallimento, l’avvio di una nuova procedura concorsuale.

Dalla Legge fallimentare e dall’attuale Codice della crisi d’impresa, di cui al DLgs. n. 14/2019, si desume, infatti, l’intenzione di sancire il principio secondo cui sussiste un collegamento temporale fra le diverse procedure concorsuali destinate a regolare una situazione di dissesto dell’impresa.

Il medesimo principio di continuità è stato ribadito dalla Corte di cassazione (ord. n. 24056 del 6 settembre 2021), secondo cui, se il concordato preventivo può essere proposto dall’imprenditore in stato di crisi, ove al concordato segua il fallimento, la sequenza dà luogo ad una procedura unitaria, che ha inizio con la prima, assunta come base cronologica di riferimento per individuare la disciplina delle azioni revocatorie.

Nel caso oggetto della risposta n. 126/E/2024, tenuto conto che il concordato preventivo, di cui è parte l’istante in qualità di creditore, è stato avviato prima del 26 maggio 2021, si applica il previgente art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, con la conseguenza che, ai fini dell’emissione della nota di variazione, l’istante deve attendere l’infruttuosità della procedura concorsuale.

Infine, in merito all’ulteriore questione sollevata dall’istante, volta a sapere se la variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’IVA conseguente al mancato pagamento da parte del debitore ammesso alla procedura del concordato preventivo possa essere operata non solo per la parte del credito falcidiata in base al decreto di omologa del piano concordatario, ma anche per l’ulteriore quota oggetto dell’accordo successivo sottoscritto nella fase esecutiva del concordato l’Agenzia delle Entrate ha privilegiato tale ultima opzione.

Pertanto, la nota di variazione in diminuzione può essere emessa per l’importo comprensivo non soltanto del credito falcidiato in sede di omologa del piano, ma anche della quota del credito oggetto di falcidia nell’accordo successivo. A fondamento di queta indicazione, l’Agenzia ha osservato che l’atto di transazione, a composizione di una documentata controversia, non costituisce un sopravvenuto accordo tra le parti, ex art. 26, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972, che comporta il venire meno dell’operazione, ma rientra nell’ambito degli accordi formalizzati nel corso della procedura concorsuale.

Related Posts

di
Previous Post Next Post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

0 shares