La satira non fa(ceva) ridere

Sentiamo spesso parlare di satira, sui giornali, in televisione e, per i pochi che ancora leggono, anche sui libri. Ma, sappiamo veramente che cos’è la satira? La identifichiamo con i giullari televisivi, che riempiono trasmissioni pensate per suscitare il riso ma spesso sono anche ospiti in serissime (si fa per dire) tribune politiche, oppure con le truci vignette di riviste come Charlie Hebdo, che proprio in nome del “diritto di satira” difendono la loro discutibile comicità. Magari ci sfugge, però, che la satira è innanzitutto un genere letterario, con una tradizione antichissima, forse l’unica vera creazione latina in materia di letteratura. Le sue tematiche spaziavano dalla critica letteraria al racconto di viaggio, dall’amore ai piaceri quotidiani e la politica era solo una parte del suo panorama contenutistico. Soprattutto, però, la satira (o satura, per dirla alla latina) era un esercizio artistico incentrato sulla morale, che veniva affrontato con gli strumenti della diatriba (la tradizionale cultura popolare del mondo antico) confrontando questo modello con quello, più istituzionale, delle scuole filosofiche di derivazione ellenica. Lo scopo era stigmatizzare i vizi con il sorriso (o con feroce amarezza) allo scopo di instaurare con il lettore un rapporto di complicità, che avrebbe condotto ad un modello etico sostenibile, anche in tempi di profonda crisi morale. La satira poteva essere anche il grido disperato e sconvolto dell’intellettuale di provincia, incapace di accettare lo spettacolo degradato dei costumi a lui contemporanei, come nel caso di Giovenale, che Luca Canali definì il “più tragico e grande poeta dei vizi umani”. Altro che cabaret, la satira era (ma forse è) una cosa serissima, che riguarda l’intimità e le proprie direttive morali. Per questo, il concetto stesso di “diritto di satira” è privo di significato: sarebbe come dire “diritto di pensare”. Il suo nome deriva dall’espressione satura lanx, che era un piatto ricolmo di primizie che veniva offerto alla divinità. Da questa espressione giunse, nel diritto latino, il concetto di lex per saturam, un provvedimento che trattava stralci di argomenti differenti. L’anima della satira, dunque, è la varietà (più che la verità) e il racconto dell’io, affiancati certamente ad uno stile aggressivo, il quale sapeva però travalicare il confine semplicistico della canzonella, più o meno raffinata, al potente di turno. Ogni epoca ha i suoi satirici: i Romani ebbero Lucilio e Orazio e noi, oggi, abbiamo Zelig e Crozza. A voi trarre le conseguenti conclusioni.

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