Alla scoperta del Museo Etnografico Galluras

È nel pieno della Gallura, specificamente a Luras, che troviamo un palazzetto di fine diciottesimo secolo, custode nel tempo di molteplici storie. L’edificio del quale parliamo, realizzato in granito a vista, è l’attuale sede del Museo Etnografico Galluras, destinazione funzionale dovuta all’iniziativa di Pier Giacomo Pala nel ’96.

Oltre a contenere al suo interno oggetti e manufatti dall’inestimabile valore storico e artistico, e propri della regione nel quale il museo sorge, il medesimo apre ai visitatori le porte di una vera esperienza sensoriale. Un’esperienza, dunque, volta a scoprire tradizioni, cultura, usi del vissuto quotidiano degli abitanti di questo meraviglioso angolo d’Italia. I visitatori del museo, addentrandosi in seno alla mostra e fra i dettagli degli oggetti esposti, hanno modo di percepire la storia pulsante che ogni reperto arreca con sé.

Il fondatore del Museo Etnografico Galluras, Pier Giacomo Pala, classe ’56, è un cultore fervente delle tradizioni popolari del luogo. Ed è stata proprio la sua passione nei riguardi della cultura locale la scintilla che lo ha condotto ad intraprendere la raccolta di materiale etnografico, fin dall’età di 12 anni.

Il ragazzo inizia dunque a raccogliere reperti, ma altresì le informazioni ad essi connesse, sino a che la sua opera si evolve in una ricerca capillare. Una ricerca, nella quale la tappa di svolta è stata contrassegnata da quel primo racconto vertente sul legame tra la vita e la morte. Parliamo, in tal proposito, della figura della “femina agabbadòra”.

Siamo nel 1981, quando Pier Giacomo Pala, intento a passeggiare con l’amico Tiu Ghjuanni Maria, viene a sapere, grazie a quest’ultimo, dell’esistenza di un’estremamente rilevante figura femminile della tradizione. La femina agabbadòra, per l’appunto, s’avvaleva di un martello di legno per aiutare i moribondi nel lasciare la vita terrena. Con l’anzidetta conoscenza aggiunta al proprio bagaglio culturale, Pier Giacomo ha udito riecheggiare un passato ormai dimesso, e, per l’appunto, da riscoprire. Ha inizio quindi un’intensa indagine, condotta fra gli anziani del paese, avente per obiettivo il riappropriarsi di una memoria locale quasi del tutto perduta. Un recupero, quello proposto da Pier Giacomo Pala, che passava dal captare quanto oralmente gli anziani potevano ancora tramandare, a tutto vantaggio della cultura gallurese. Il percorso non si è rivelato agevole da principio, con gli sforzi improntati al recupero della tradizione inizialmente vani, tra informazioni mancanti e altre frammentarie (si parlava, d’altronde, di racconti orali che solo in parte erano arrivati al periodo dell’indagine, e i quali erano già sul punto di essere perduti). Ma, nel suddetto contesto, Pala rimane animato da un’ardente curiosità, e con perseveranza riesce a racimolare e mettere insieme dei dati orali preziosi, che riporta compiutamente per iscritto, inerenti quella pratica nobilmente cruda a collegamento fra la generazione della vita e quella della morte.

La pratica in questione, ben lungi dall’essere limitata ad un racconto mitologico, si svolgeva nella concretezza. E dunque, il mitico martello di legno impiegato dalla femina agabbadòra, doveva esistere realmente. È sempre nell’ambito delle suddette ricerche che, oltre un decennio dopo, nel ’93, lo stesso martello ligneo viene rinvenuto per un caso fortuito. La riscoperta del tanto ricercato oggetto, oltre ad essere un innegabile punto d’arrivo, dà di fatto il via all’avventura culturale trasformatasi poi in museo, tre anni dopo.

Con l’apertura del Museo Galluras si è avuto il primo museo etnografico della regione. La struttura organizzativa, afferente al museo, detiene decisamente fascino ai fini di comprendere la quotidianità gallurese nelle sue varie sfaccettature.

Non si può far a meno di notare l’armonia dei lineamenti, a decoro dell’architettura del palazzo che ospita il museo. La stessa armonia si rinviene all’interno, per dettagli architettonici ma anche per la disposizione degli artefatti, la quale si connota in qualità di racconto che si svela al pubblico fra spazi e oggetti conservati.

Il contesto museale riproduce fedelmente quelle che sono le ambientazioni tipiche della civiltà gallurese. È nelle stesse ambientazioni che emergono peculiari dettagli, evocativi di un passato la cui memoria sarebbe stata perduta nel tempo (se non fosse stato per le indagini condotte, in termini di conoscenza e d’oggettistica). Entrando maggiormente nei dettagli, il percorso si articola su tre livelli, dove i visitatori attraversano una sequenza di stanze, ciascuna rappresentativa di determinati aspetti delle tradizioni da riscoprire. Si giunge perfino a percepire le sfumature più intime delle tradizioni presentate, ormai sul punto di perdersi. Accingiamoci dunque alla scoperta di ogni singola ambientazione museale.

La cantina presenta un affascinante spaccato inerente alla viticoltura della Gallura. Nel momento stesso in cui si varca l’ingresso, si viene trasportati subito in un mondo dove gli utensili per la lavorazione dell’uva si rivelano forieri di storie di fatica e tradizione.

Fra le irroratrici, i torchi e le botti, la visita ha luogo con questi oggetti emblema delle usanze tradizionali tramandate nel corso del tempo. Una testimonianza autentica del lavoro, storicamente compiuto dagli agricoltori del luogo, fino ai giorni nostri, come delle vendemmie festose e di tutte le tradizioni strettamente legate al vino. Una cultura vitivinicola che, di fatto, si è formata legandosi ad ogni chicco d’uva.

Il “magazzino”, del Museo Etnografico Galluras, è celebrativo del complesso d’attività agricole e pastorizie che fin da tempi immemori hanno fatto da sostentamento all’intera comunità gallurese. Ognuno degli attrezzi esposti, dalla sapiente e tradizionale fattura artigianale, ci parlano di mani laboriose.

Le stesse che, proprio per mezzo del lavoro, hanno generato un indissolubile legame con la terra. Ed è così che gli oggetti divengono testimonianza viva della vita dedicata a coltivare, raccogliere e lavorare quelli che sono i prodotti locali, altro emblema della cultura del posto.

Nell’ambito del percorso afferente al magazzino, quindi, non si può non percepire un intenso richiamo alla vita rurale, tra falci, forche ed arnesi di vario genere. Al detto proposito, la testimonianza è quella di una cultura formatasi nel pieno rispetto della natura. Tutti gli strumenti agricoli esposti, un tempo strettamente essenziali, raccontano le storie di famiglie che sono state custodi di una preziosa eredità culturale, e che l’hanno tramandata.

Veniamo ora al cortile, dedicato alla figura dei carrulàntes. Qui si ha un’altra figura che esplica appieno i valori tradizionali di epoche passate. I carrulàntes sono i conducenti dei carri trainati da buoi.

In questa sezione del museo, i visitatori hanno modo di vedere i carrettini e gli strumenti per addestrare i buoi. Oggetti che fanno da vestigia ad un’epoca passata, nella quale il trasporto riportava quel legame essenziale con la forza animale. Da qui riemerge quella stessa emozione che un tempo avvolgeva quei momenti, e li fa rinascere a vita nuova nella memoria collettiva. Un altro determinante contributo affinché niente, della cultura tradizionale gallurese, vada perduto.

Il cibo, oltre che essenziale nutrimento, è anche incontro e condivisione. Non poteva dunque mancare una sala del percorso adibita alla rappresentazione della camera da pranzo, per come impostata dalla tradizione della Gallura.

Il “giminèa”, ossia il camino, è posto al centro della vita domestica, dove la convivialità assume forma per mezzo dell’intreccio tra storie, racconti e aneddoti vari. Tutto ciò mentre la famiglia si raccoglie attorno alla tavola.

Gli oggetti, nella camera da pranzo, sono disposti a raffigurazione di una realtà domestica semplice quanto dal peculiare fascino, laddove riemerge la bellezza dell’ordinario nella vita quotidiana.

Dalla camera da pranzo, non si può non passare alla cucina. L’anima della casa, che vede il lavoro delle massaie dedite alla preparazione del cibo. È in quest’ambiente che possiamo ammirare le antiche teglie e padelle, oltre ai rustici contenitori per il pane.

Utensili che esprimono il percorso evolutivo della gastronomia gallurese, compiuto dalle mani esperte di donne che, di generazione in generazione, hanno alimentato la tradizione culinaria locale. Il viaggio culinario proposto è un’esperienza sensoriale completa, che si esplica nei sapori dei dolci tipici del borgo di Luras. Un richiamo a pietanze preparate affettuosamente in un contesto familiare, e che si tramandano nella storia.

Una volta entrati nella camera da letto, i visitatori si ritroveranno davanti degli oggetti semplici, ma altrettanto ricchi di significato. Si noterà come perfino un luogo riservato, quale la camera da letto, conserva delle storie di vita che non si possono fare a meno di tramandare.

Ed anche nella camera da letto tradizionale gallurese, appunto, si ritrova un’oggettistica avvolta da esperienze vissute e memorie condivise, delle lavorazioni artigianali compiute magistralmente in un’atmosfera dall’intimissima quotidianità.

Dalla visione del telaio si entra a contatto con la creatività, del lavoro e della cultura femminile. Un vero laboratorio d’artigianato dove le tecniche e le tradizioni sono state finemente tramandate.

La mostra dei telai e degli altri strumenti attinenti alla lavorazione nella tessitura, aprono di conseguenza ad uno spaccato sulla manualità che ha contraddistinto la vita delle donne di Luras, una storia d’ingegno e pazienza artigianale. Un’apposita stanza è dedicata alla lavorazione del sughero, vero caposaldo delle tradizioni locali, oltre a sancire una tangibile connessione tra uomo e natura nel territorio locale. Il sughero è un materiale che, nell’ambito delle pratiche artigianali galluresi, viene particolarmente in risalto.

In questo locale, il visitatore si aggira fra il racconto delle fasi di lavorazione, nella sequenza ordinata e compiutamente illustrata di queste ultime. La lavorazione del sughero è un’opera dalla quale si rende nota la resilienza e lo spirito d’adattamento della comunità della Gallura.

Il Museo Etnografico della Gallura è un luogo senza del quale la memoria delle antiche tradizioni verrebbe in gran parte perduta, come già ribadito. Esso si presenta quale copioso serbatoio esperienziale, invitante il visitatore a respirare, visualizzare ed ascoltare la cultura d’altri tempi, fondamento di una comunità, la quale può così ritrovare tutte le proprie radici.

Da ciascun reperto del percorso, con i dettagli che riporta, si può evincere la cura, la passione e la dedizione con i quali Pier Giacomo Pala si è applicato nell’allestimento del museo. La Gallura si fa più viva che mai, congiuntamente con le sue storie e le sue tradizioni, un vero e proprio abbraccio culturale che parte da epoca remota per arrivare alla nostra contemporanea.

Il museo ha pertanto una missione ben chiara e definita, che si concretizza nella custodia e nella trasmissione di quello che è stato, e che sarà in divenire, il patrimonio etnografico della Gallura. Nella sostanza, un contributo inestimabile nel mantenere in vita un tessuto culturale che, nel mondo contemporaneo, tenderebbe a dissolversi. Possiamo allora interpretare, l’istituzione medesima del Museo Etnografico Galluras, quale atto di resistenza e rinnovamento. In maniera tale che, l’identità culturale della Gallura, pur evolvendosi, non dimentichi le proprie radici.

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