“Vecchia Roma, sotto la luna, non canti più li stornelli, le serenate de gioventù”, così recita una vecchia canzone del 1947, scritta da Martelli e Ruccione e portata al successo da Claudio Villa. Il testo è un malinconico racconto di una Roma cambiata radicalmente dal “modernismo der novecentismo”, dove “più nun vanno li innamorati pe’ Lungotevere, a scambiasse li baci a mille là sotto l’arberi” e “li sogni, sognati all’ombra d’un cielo blu, so’ ricordi der tempo bello che nun c’è più”. Oggi, tutto è smart, è fancy, è cute, non c’è tempo per la nostalgia, che è un sentimento antico, anzi, vecchio, è la “dolorosa ansia del ritorno”, quella che prova Odisseo sulla spiaggia di Ogigia, dove la ninfa Calipso gli ha promesso la vita eterna, fatta di un’infinita serie di notti d’amore con una donna bellissima – la ninfa stessa. Eppure l’eroe, che più di tutti incarna l’essere umano, sente irresistibile il richiamo della terra natìa, la pietrosa Itaca, uno scoglio sul quale, probabilmente, c’erano più ovini che uomini. Dall’uomo greco a quello romano, si sa, il passo è stato sempre piuttosto breve, ma nemmeno per gli abitanti della cosiddetta Città Eterna c’è spazio per la nostalgia. Non ci si può fermare a rimpiangere – o anche solo a ricordare – quando Trastevere, il più iconico tra tutti i quartieri della capitale, era un luogo in cui dimorava ogni sorta di ladro e imbroglione dal cuore d’oro, l’incarnazione stessa del romano, l’uomo che, come dice Trilussa, se ne va in giro con il coltello in una tasca dei pantaloni e il rosario nell’altra. È roba da boomer ricordare la Roma della Dolce Vita, quella di Federico Fellini, di Alberto Sordi, di Vittorio Gassman e di Marcello Mastroianni, nella quale attori e registi, insieme ad intellettuali di ogni provenienza li potevi trovare nei bar e nei ristoranti di Via Veneto, a prendere il caffè o l’aperitivo o al Caffè Rosati a Piazza del Popolo. Ciò accade perché oggi gli “intellettuali” sono tutti impegnati e delusi mentre presenziano a qualche trasmissione televisiva su canali remoti e vogliono insegnarci quello che corretto e quello che non lo è. Quanto manca Ennio Flaiano, che con il suo Un marziano a Roma, ironicamente gioca su quella che sembra la caratteristica particolare di ogni romano: la noncuranza, il romano ha visto tutto, sa già come va finire tutto, anche se non è vero. Eppure tutto è cambiato: oggi si vende al turista una Roma di plastica, mentre non conoscerà mai il Ponentino, il riflesso dorato del Tempio di Esculapio tra le papere del laghetto artificiale di Villa Borghese, il tramonto gelido che si può ammirare dalla terrazza del Pincio nei pomeriggi d’inverno. La nostalgia, però, conserverà ogni cosa negli occhi di chi saprà custodirla.