AL TEATRO DELLE MUSE DI ROMA UN GRANDE RITORNO: ”L’AMICO DI PAPA’”
FINO AL 17 NOVEMBRE 2024
DI E. SCARPETTA IN VERSIONE G. DI STASIO
CON WANDA PIROL, RINO SANTORO, GEPPI DI STASIO
E LA COMPAGNIA DEL TEATRO DELLE MUSE
Un grande classico, un grande atteso ritorno. Al Teatro delle Muse fino al 17 novembre in scena “L’amico di papà” di E. Scarpetta nella versione di G. Di Stasio. Una commedia corale che vedrà sul palco i protagonisti Wanda Pirol, Rino Santoro, Geppi Di Stasio, per la regia dello stesso Di Stasio con Gabriele Marconi e Roberta Sanzò e una compagnia di bravissimi attori, Maria Carluccio, Manuela Atturo, Flora Gannattasio, Carlo Badolato, Manuela Atturo, Luca Materazzo. Prodotta dalla Compagnia del Teatro delle Muse lo spettacolo promette momenti esilaranti ed è per questo che Rino Santoro, direttore artistico dello storico teatro di via Forlì, ha deciso di riproporla su richiesta del pubblico più affezionato. Come Cechov ne “I danni del tabacco” faceva finta di prendersela con le conseguenze del fumo, si può dire che Scarpetta se la prenda con gli effetti collaterali di un’amicizia morbosa.
Proprio in quanto morboso, qualsiasi sentimento può provocare degli effetti indesiderati. E’ il caso del forte legame di amicizia che unisce don Liborio Paposcia e don Felice Sciosciammocca, maschera ormai senza più maschera di Eduardo Scarpetta.
Com’è mio costume, “L’Amico di papà” è stata completamente riscritta per cercare di attualizzare soprattutto il linguaggio adattandolo alla recitazione dei nostri tempi che prevede soluzioni linguistiche meno leziose e ritmi più sostenuti. Ma occupiamoci dell’argomento.
Quante volte ci è capitato di desiderare ardentemente di rivedere una persona cara e dopo poco questa ci infastidisce invadendoci il campo con eccessive effusioni non richieste? E’ proprio questo che genera il riavvicinamento dei due amici per la pelle. Ma sono già arrivato all’effetto finale. Questa farsa diverte perché in tutto il suo svolgimento mostra gli equivoci dei quali Felice cade vittima e male informa Liborio che, dal canto suo, riceve dai travisati racconti dell’amico una serie di danni che rischiano di compromettere finanche la sua incolumità.
Ma la buona fede di Felice è davvero al di sopra di ogni sospetto? Questo Scarpetta non ce lo dice, figuriamoci se sarò io a farlo. Ci piace, però, insinuare un dubbio che aggiunge un pizzico di sale all’azione. E’ un po’ questa la piccola variante che ho cercato di inserire nel personaggio di Felice che ho affidato a me stesso giocando sul confine mai definito fra consapevolezza e ingenuità, una figura a metà strada fra un santo e un demonio.
Sul testo di Scarpetta ho operato una suddivisione in due tempi dai tre atti originari. Ma non è che abbia tagliato, anzi. Ho provato a dare più spessore ad alcuni personaggi che ritenevo ne avessero poco, questo naturalmente non per demerito di don Eduardo, ma solo, forse, perché il padre dei De Filippo conosceva in partenza le potenzialità dei componenti la sua compagnia. Proprio come me (mi scuso per l’accostamento).
Questa la commedia è permeata, per mia libera scelta, di quei pruriti che sono alla base dei nostri sensi. La chiave, però, non vuole essere mai pesante, mai troppo scollacciata, né troppo salace, forse solo un po’ ridicolizzatrice della condizione dell’essere umano di fronte al suo più forte istinto.