Già Massimo d’Azeglio, nelle prime decadi del 1800, registrava la discrepanza sensibile tra il sostantivo ’ciociaro’ riferito alle ‘belle villanelle’ che incontrava in giro per Roma e il senso al contrario dispregiativo associato all’aggettivo, già alla sua epoca. E oggi, pur a prescindere dai vari ‘fiorito’ e dai vari ‘vaccari di castelliri’, la situazione parrebbe essere sostanzialmente la medesima, come ricorda la rivista DOVE nel numero di marzo 2015: “Burino, anzi cafone. L’immagine del ciociaro villano è da tempo consegnata alla storia”. Ma se si prende atto che secondo questa rivista la Ciociaria sarebbe quel territorio racchiuso perfettamente tra Acuto Fumone Ferentino ed Anagni, quindi grossolana cantonata, quale l’altra affermazione che la Ciociaria sarebbe la provincia di Frosinone, allora non solo le affermazioni di cui sopra si confermano bagaglio del pregiudizio e del tabù, quanto si ritorna sempre alle origini: la Ciociaria non si conosce, eppure la si critica.
‘Ciociaria’ non è un concetto geografico o politico o amministrativo o di altra natura: è, per ripetere le parole di un cultore, una entità ‘spirituale’ perfino poetica e sentimentale, direi. “La carta geografica della Ciociaria è una fantasiosa mappa letteraria dai confini vagamente sfumati. Questa vaghezza desta contrasti e polemiche. Per fortuna la terra nostra sta sempre sotto il segno di Circe, maga burliera… “ così si espresse Anton Giulio Bragaglia in uno dei suoi numerosi e caldi interventi. Infatti la Ciociaria è una rappresentazione folklorica, non è stata individuata con squadra e riga…La sua origine è intimamente legata al territorio e ai suoi abitanti: e in particolare ad un certo tipo di calzatura così primitiva e primordiale che la si incontra ai piedi della umanità derelitta sin dagli inizi della storia e ancora oggi in certe località: un pezzo di pelle o qualcosa del genere adagiato alla pianta del piede e fissato con legacci al calcagno, con delle pezze o qualcosa di analogo avvolte attorno al piede per mitigare il contatto con le asperità. Si immagini tali pezze o altro, dopo breve tempo di uso! Ed ecco perché un certo alone di dispregio e di intolleranza, a Roma, nei confronti di queste creature ivi convenute: rustico, zotico, ’cafone’, ‘burino’, ‘guitto’, ‘regnicolo’, napoletano, ecc. erano i normali appellativi.
Come è stato allora possibile che tale umanità così dileggiata e primitiva abbia potuto dare il nome ad un territorio così esteso e, in aggiunta, diventare, essa umanità, così nota e così famosa? Certe contingenze imponderabili della Grande Storia registrano l’incontro tra questa umanità affamata con l’artista straniero, da sempre presente a Roma, a centinaia, e ne evidenzia l’amore che ne sboccia: le calzature primitive e sudice si ingentiliscono a poco a poco in una nuova forma, addirittura ‘classica ed elegante’, gli stracci variopinti indossati diventano un costume, il costume ciociaro, il costume di Roma, il costume d’Italia: il più illustrato e più conosciuto: tutti gli artisti europei, a partire dai massimi, hanno dipinto il ciociaro tanto che nei musei e gallerie del pianeta è arduo non rinvenirvi appeso un quadro ciociaro! Una relazione invero durata centocinquantanni che registra una seconda pagina speciale e meravigliosa: la nascita della modella e del modello in posa davanti a lui, inventandone il mestiere e la professione prima a Roma e poi, con sommo successo, a Parigi e poi a Londra, e confermandone e decretandone il ruolo assolutamente primario nell’ambito dell’Arte Occidentale, ecco perché dicevamo prima ‘nota e famosa’. A questo artista innamorato si deve anche la scoperta, agli inizi del 1800, del brigante di Sonnino, che a seguito del successo europeo conseguito, divenne perfino un topos, il brigante per antonomasia d’Italia. Tutto è stato perciò comprensibile e quasi logico: cioce, ciociaro, Ciociaria.
Prima di tali fatti tipici ed unici, venticinque secoli or sono il territorio fino ad oltre il Garigliano era abitato dai Volsci, dagli Ernici, dai Sanniti, dagli Equi… Poi dai Romani. Poi passò in massima parte sotto il dominio della Chiesa fino al fiume Liri-Terracina e nel corso di questo lungo periodo durato fino al non veramente fausto 20 settembre 1870, ebbe differenti denominazioni, a seconda dei governanti: in epoca romana faceva parte della Regio prima Campania, poi Latium adjectum o Novum, poi Campagna di Roma, poi Marittima e Campagna, poi: lo smembramento in tre province in epoca mussoliniana. E tutta l’antica regione già dalla fine del 1700, partendo dal tracciato scandito da : Velletri, Palestrina, Tivoli, Valle dell’Aniene, cominciò ad essere identificata anche come Ciociaria che occupava dunque due stati poiché il territorio tra i fiumi Garigliano-Minturno e Liri-Terracina e cioè Alta Terra di Lavoro, era provincia del Regno di Napoli.
E tutto iniziò proprio qui, in un angolo sperduto dell’Alta Terra di Lavoro borbonica, in una valle appartata che nessuno conosceva e di cui si ignorava perfino il nome tanto che tutto si chiamava Abruzzi, al plurale, pur non essendo Abruzzi: da alcune località e frazioni appollaiate sulle cosiddette Mainarde principalmente o sulle sue pendici: S.Biagio Saracinisco, San Giuseppe, Immoglie, Serre, San Gennaro, Cerasuolo, Cardito, Vallegrande…, nomi che ancora fanno storia, suscitano incanto nostalgia, più di prima, in Scozia, in Irlanda, a Parigi, a Londra, in Canada, in America…la fame, la miseria, l’incremento demografico, i soprusi e le violenze del potere, la coscrizione obbligatoria ma anche, più tardi, la palingenesi napoleonica, furono all’origine di un lento e costante e sempre più folto esodo in gran parte di giovani: artisti girovaghi quali ammaestratori di cani, con la scimmietta, con il pappagallo nella gabbia e la fortuna, anche qualche povero orso, i suonatori di organetto e di zampogna, e poi mestieranti: riparatore di piatti, l’arrotino, l’intrecciatore di vimini, e poi e poi… E iniziò dunque la emigrazione, dapprima una disseminazione capillare al di là dei Monti Aurunci, Ausoni e Lepini, in tutte le località, anche nella infida Palude Pontina: Terracina, Sezze, Anzio, Nettuno, Velletri, Fondi e allo stesso tempo a Roma, sempre di più, lasciando tracce e documenti e testimonianze oggi ancora più evidenti e visibili in tutta la regione; alcuni avamposti vanno oltre, al di là delle Alpi, a Parigi, a Londra, in Iscozia: viaggi estenuanti, a piedi, che duravano mesi…tutto a partire dalle ultime decadi del 1700. Nasce la emigrazione, quella vera, in Italia.
Questa è dunque la Ciociaria: oggi la fine e la dissoluzione delle province rende aperta la strada alla riaggregazione e ricompattazione dell’antico glorioso territorio, se i reggitori della cosa pubblica….
Michele Santulli