Eventi ha, da sempre, la possibilità di ospitare sulle sue pagine i protagonisti della scena artistica, con i quali si confronta e scambia opinioni sull’attuale stato della cultura nel nostro Paese.
Proponiamo pertanto ai lettori la “chiacchierata” fatta con Emilia Miscio, regista teatrale di ottima stoffa, in scena in questo momento con Mentre le luci erano spente, una black comedy davvero originale. La Miscio fa un interessante parallelo tra il teatro e l’arte figurativa, paragonando la prima lettura di un copione alla tela bianca o al blocco d’argilla, che il pittore e lo scultore devono affrontare all’inizio del loro percorso creativo che li porterà, attraverso diverse fasi, a raggiungere l’opera finita. Il taglio registico, la scenografia, la scelta del cast o il disegno luci sono perciò alcune delle fasi fondamentali per la riuscita dell’opera-teatro. La messa in scena è, però, anche una forma particolare e privilegiata di comunicazione, un modo per la regista di parlare della propria ispirazione utilizzando la musica o il testo, così da suggerire messaggi diversi al pubblico, anche semplicemente quello di sdrammatizzare il quotidiano. Mentre le luci erano spente è una murder farce, nella quale l’autore Jack Sharkey ha sapientemente mescolato elementi diversi, dal giallo al thriller, dalla commedia alla soap opera, intrecciando anche tematiche differenti, come la descrizione delle idiosincrasie, delle gelosie e delle piccole e grandi falsità, che caratterizzano i rapporti umani. Il “cocktail” è completato dalla capacità dell’autore di creare personaggi alla Agatha Christie, che agiscono sullo sfondo di un paradiso terrestre come le Bermuda, affrontando un delitto, sul quale indaga un detective dalle capacità limitate, circondato da tipi eccentrici. Il testo deve certamente qualcosa alla tradizione della black comedy anglosassone, un genere che, attraverso l’umorismo, fa riflettere il pubblico su tematiche scottanti come l’omicidio. Anche la vittima di Mentre le luci erano spente muore per futili motivi, legati alla gelosia, suscitando il riso amaro dello spettatore. Non potevamo lasciarci sfuggire, poi, l’opportunità di discutere con Emilia la situazione attuale del teatro italiano. Se da una parte si assiste ad un risveglio, sia di pubblico che di autori, nei confronti della scena e di proposte nuove e originali, dall’altra sussiste l’immobilismo della burocrazia, che preclude la strada alle giovani leve, chiude i teatri e costringe quelli che restano in attività a proporre sempre gli stessi spettacoli, per garantirsi affluenza al botteghino e, in tal modo, la sopravvivenza. Sarebbe invece necessario dare l’opportunità ai giovani talenti di sperimentare, osare e, perché no, deludere il pubblico e la critica, nel tentativo di fare qualcosa di nuovo. Nel futuro di Emilia c’è la prosecuzione del suo progetto di far conoscere al pubblico romano testi stranieri, soprattutto inglesi, di grande qualità ma ancora oscuri, mentre il sogno nel cassetto è di portare in scena Pier Paolo Pasolini, non necessariamente quello teatrale, ma ad esempio quello poetico e politico, per consentire anche ai più giovani, che hanno bisogno di credere in loro stessi e nelle loro capacità, di conoscere questo grande maestro.
Patrizio Pitzalis