Una città millenaria, un tempo terra di scambi commerciali e raffinate culture, oggi un delicato patrimonio archeologico da difendere. Palmira, situata in un’oasi della steppa desertica siriana a metà strada fra il Mediterraneo e l’Eufrate, è il simbolo per eccellenza dell’incontro tra Oriente ed Occidente, due mondi che spesso trovano difficoltà a comunicare, argomento in questi anni quanto mai attuale e non più rimandabile. La metropoli dell’antichità è tornata agli onori della cronaca a causa delle tremende distruzioni perpetuate dallo Stato Islamico: ingenti danni al Grande Teatro e alle tombe monumentali, oltre alle più note distruzioni del Tempio di Bel e di quello di Balshamin. Una ferita forse inguaribile inferta ad un luogo unico al mondo che può vantare origini antichissime: col nome di Tadmor, il centro abitato è menzionato per la prima volta nel II Millennio a.C., la città raggiunse però il massimo del suo splendore in epoca romana. E’ proprio su questi temi che Maria Teresa Grassi, professoressa di Archeologia delle Province Romane presso l’Università degli Studi di Milano e responsabile per l’Italia del sito di Palmira, si interroga nella sua ultima fatica: “Palmira. Storie straordinarie dell’antica metropoli d’Oriente”; un saggio che ha il merito di esplorare la “Città colonnata” da vari punti di vista, descrivendo monumenti, personaggi, atmosfere e passioni di un luogo mitico.
Il sito Patrimonio Unesco dal 1980, è passato nel 2013 nella lista dei luoghi in pericolo: questo dato indica meglio di mille parole il significato che oggi ha il sito archeologico di Palmira. Teatro drammaticamente perfetto per gli scempi di massa compiuto dai militanti dell’Isis e profondamente colpito dal selvaggio assassinio di Khaled al-As’ad, direttore dell’area archeologica e del museo per quarant’anni. Lo Stato Islamico combatte e distrugge i luoghi simbolo della cultura e della convivenza tra i popoli: la morte del direttore al-As’ad ha colpito, infatti, nel cuore la città e il mondo accademico. E Palmira, come spiegato approfonditamente nel saggio, ha significato nel corso del Novecento più di altri siti extraeuropei, un luogo di collaborazione fruttuosa tra archeologi e ricercatori occidentali e siriani. Un sito dove fino a pochi anni fa regnava la pace, la bellezza e la scienza.
Che ruolo ha avuto Palmira per gli Europei, il Grand Tour e la febbre avventuriera del Settecento? A mio parere tra i passaggi più interessanti ed appassionanti del libro, si colloca la descrizione della riscoperta occidentale di Palmira. Il lettore è trascinato tra le fila degli avventurieri e studiosi del Grand Tour, entrando a far parte dei grandi viaggi-studio del Settecento ed Ottocento: spesso molto più vicini ad avventure (tra vie carovaniere, antiche vestigia e predoni) che a spedizioni scientifiche. Il punto di svolta, definito dall’autrice “una sorta di spartiacque nella conoscenza di Palmira in Occidente”, si colloca nel 1753, anno della pubblicazione di “The Ruins of Palmyra otherwise Tadmor in the Desert”, scritto da Robert Wood (1717-1771) ed illustrato dai disegni dell’architetto piemontese Giovanni Battista Borra (1713-1770). Il racconto di questa spedizione, salpata da Napoli nel 1750, i dettagli dei magnifici disegni dell’architetto italiano (tra vedute perfette, piante e prospetti prodotti in sole due settimane di permanenza) sono trasmessi con passione al lettore, coinvolgendolo senza tralasciare naturalmente l’attenta documentazione storica. Il libro di Wood
ebbe un enorme successo tra gli intellettuali europei e contribuì in modo rilevante alla conoscenza di Palmira. I disegni di Borra, spiega la Grassi, furono all’origine della moda dei soffitti “alla palmirena”: giochi geometrici, cerchi e ottagoni intrecciati, che ispirandosi alle splendide pareti del Tempio di Bel, adornarono grandi palazzi europei, come il soffitto della Drawing Room nella Osterley Park House (Middlesex).
Il saggio passa poi ad analizzare i lasciti romani in questa importante provincia, divenuta, grazie anche alla sua posizione, un florido centro commerciale. Il grande sviluppo di Palmira si data all’età imperiale a cavallo tra il I e III sec. d.C. Le aree sacre, come il Tempio di Bel “la casa degli dei palmireni”, il Tempio di Baalshamin e quello di Nabu, le imponenti tombe funerarie, il Teatro e la Grande via Colonnata, hanno contraddistinto per secoli il profilo di questa metropoli orientale. I viaggiatori europei arrivando a Palmira dopo giorni di viaggio attraverso la steppa desertica siriana, alla vista delle innumerevoli colonne antiche rimanevano stupiti, come di fronte ad un miraggio. Spiega l’autrice: “La grande Via Colonnata è stata costruita tra il II e il III sec. d.C., nel momento in cui Palmira era investita da una vera rivoluzione urbanistica, con l’erezione di nuove strutture, la trasformazione di quelle esistenti, l’occupazione di nuovi quartieri. È il momento di massimo sviluppo e ricchezza della città, che adegua il suo aspetto al ruolo di primo piano nell’Oriente romano”. La professoressa Grassi illustra poi i protagonisti che passarono alla storia in questa città come Odenato, e dopo il suo assassinio, la moglie Zenobia, l’eroica regina, sconfitta dall’imperatore Aureliano e i tanti mercanti che animarono le vie carovaniere.
“Palmira. Storie straordinarie dell’antica metropoli d’Oriente”: un saggio, denso di dettagli e curiosità, da consigliare a chi ha voglia di viaggiare nella storia, conoscere luoghi e personaggi di una meravigliosa metropoli dell’antichità, oggi purtroppo agli onori della cronaca a causa delle devastazioni dello Stato Islamico.
“Palmira. Storie straordinarie dell’antica metropoli d’Oriente”
Autore: Maria Teresa Grassi
Editore: Terra Santa
Uscita: maggio 2017
Francesco Consiglio