Ornella Orlandoni, dare più voce alla cultura e all’agenda europea per lo sviluppo umano e civile della società odierna.

orlandoni

Ornella Orlandoni, Referente per le Questioni Culturali Scientifiche Tecnologiche e per la Cooperazione Interuniversitaria presso la Direzione Generale per la Mondializzazione del Ministero Affari Esteri, è una donna in prima linea, impegnata da anni sul fronte della cultura, della scienza, dell’innovazione tecnologia e dell’imprenditoria femminile. Una vita passata tra Bruxelles e Parigi, tra l’Italia e la Germania, per svolgere incarichi istituzionali che l’hanno portata a conoscere e confrontarsi con paesi e culture differenti, sia come docente all’Università, sia come Consigliere Speciale della Commissione Europea, sia come Direttore degli Istituti Italiani di Cultura all’estero. Ha insegnato all’Università di Lovanio e a Roma La Sapienza nella Facoltà di Scienze della comunicazione, affrontando, tra l’altro, la materia della retorica e insegnando ai suoi studenti di osservare il mondo, di sintetizzare i concetti in modo gerarchico e interdinamico tra di loro per poterli esprimere nello scritto e nel parlato in modo semplice, chiaro, preciso ed anche avvincente per far interessare, coinvolgere e convincere chi ci legge o chi ci ascolta. E’ stato un lavoro molto faticoso anche per la grande affluenza degli studenti alle sue lezioni, ma è stata anche un’avventura bellissima, che ha arricchito non solo i discenti ma anche la stessa docente, come ci insegna Platone nel “Convivio”, autore da lei prediletto per le sue lezioni.

Riassumere la sua vita non è impresa facile, visti i diversi compiti istituzionali svolti e le diverse cariche ricoperte in questi anni. Se dovesse trovare una definizione per una vita così intesa e impegnata, quale sceglierebbe?

“La vita è un’avventura e in questo senso va vissuta se si vuole stare in pace con se stessi e se si vogliono cogliere le occasioni e le opportunità che essa ci offre, ovvero la “fortuna” nel senso concepito anche dal nostro grande Macchiavelli. C’è una famosa frase di John Lennon che dice “la vita è quella cosa che accade mentre tu stai facendo altri progetti”, che riprende in modo efficace una definizione che mi è sempre piaciuto dare e cioè che “la vita è tutto quello che mai ti aspetti”. Definizioni che partono da un certo pessimismo, se pensiamo alla visione della vita che Giovanni Verga ci mostra, ad esempio, ne”I Malavoglia”, vinti dal destino e dalla natura nella loro voglia di arricchirsi e di emergere a qualunque costo nella scala sociale.

Ma se invece prendiamo a simbolo il “Siddhartha” di Hermann Hesse, constatiamo che si comincia a vivere proprio quando ci siamo liberati dalle cariche, dagli onori, dai bisogni, e quando “l’essere” vince su “l’avere”, perché la vita è come un fiume che scorre inesorabile e che trascina tutti nello stesso modo. Per cui quello che accade oggi a me, accadrà poi anche a te e, perché tutti stiamo sul bordo del fiume della vita, e anche se è vero che siamo fautori del nostro destino, c’è sempre qualcosa di imprevedibile che viene causato da altri, dalla stessa natura, che circonda questo “fiume”. Ma nel nostro determinismo indeterminato del vivere esiste anche la famosa teoria dei giochi di Nash che dimostra che, sotto diverse condizioni, esiste sempre una situazione di equilibrio che si ottiene quando ciascun individuo che partecipa a un dato gioco (come quello della vita) sceglie la sua mossa strategica in modo da massimizzare il suo playoff, sotto la congettura che il comportamento dei “rivali” non varierà a motivo della sua scelta. Per cui si vince e si perde, e tutto dipende da come siamo noi in quel preciso momento e da come è il nostro avversario. La vita è quindi una partita che si deve giocare con determinazione, con vigore ma anche con filosofia perché ci sarà sempre qualcuno che in quel momento è in grado di vincere e che possiamo non essere noi, soprattutto se i giochi sono truccati e questo purtroppo avviene spesso, come abbiamo potuto constatare nell’Italia odierna. Tutto questo viene felicemente superato se prendiamo ad esempio la famosa frase di Gramsci, “il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà” e questo significa vivere la propria vita con saggezza e soprattutto avere la cultura del vivere che ci proviene dal gusto per la semplicità, per le cose essenziali, per le cose utili ed eticamente corrette, per quelle esteticamente belle.

Quindi per vivere bene occorre avere una grande conoscenza di tutto quello che la vita ci può riservare, di tutti i mondi possibili, per poter capire quello che ci sta succedendo e per poter fare le scelte migliori tenendo conto di tutte le variabili indipendenti che la vita stessa ci offre. E questa grande conoscenza ci viene dalle letture delle opere fondamentali della filosofia, della letteratura della poesia, del teatro, dell’economia e della sociologia. Dalla frequentazione dei luoghi e dei musei dove le bellezze e le ricchezze dei paesaggi e delle opere d’arte che vi sono ospitate ci educano al gusto del bello, dell’utile e del buono. Per avere una vita serena, guidata dai grandi valori condivisi dall’umanità, l’etica e l’estetica devono essere le linee guida del nostro percorso su questa terra, nonostante tutti gli imprevisti che la vita ci riserva. È questo modo di concepire il nostro essere e il nostro agire deve essere sentito soprattutto da chi svolge compiti istituzionali, le cui finalità devono sempre essere quelle di perseguire il bene comune, con il massimo dell’efficacia a livello economico ma non il minor costo sociale possibile. Ma questo non è sempre facile, perché spesso non si dispongono nemmeno delle risorse minime necessarie che possono essere utilizzate come start up per poter avviare attività di pubblica utilità a beneficio della società civile e dell’immagine del nostro Paese. Inoltre, il problema non è solo quello delle risorse finanziarie, perché se si fanno bei progetti i fondi alla fine, anche se con molta più fatica, si trovano. Esiste anche il problema che si trova sempre qualcuno che vuole impedire che tu porti avanti delle nuove idee. Umberto Eco lo ha magnificamente raccontato nel suo splendido romanzo “Il nome della rosa” che rappresenta la lotta atavica tra innovazione e tradizione, tra la ricerca della verità e il potere che vuole oscurarla, simboleggiata da William di Baskerville e da Jorge da Burgos, tra la forza rigeneratrice del riso e quella distruttrice del dolore. Per concludere, la mia vita sia privata che professionale è stata sempre una ricerca per raggiungere alcuni valori per me fondamentali e per i quali la vita merita veramente di essere vissuta: il bene comune; il benessere sociale, la felicità di ogni singola persona e dell’intera società; la correttezza nei rapporti interpersonali e il rispetto delle buone regole; l’armonia, la pace e la serenità. Come giustamente ci dice Dante nella celebre terzina “…fatti non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza”. È in sintesi quello che ho cercato molto indegnamente di fare nel servire l’Italia e l’Europa nel corso del mio excursus professionale”

E’ di questi giorni la notizia dell’assegnazione del premio nobel per la pace all’UE. Vista la sua esperienza internazionale e di conoscenza di tanti paesi, lei ha vissuto all’estero molti anni, quale è la sua riflessione su questo premio e quanto ritenga possibile e auspicabile una convergenza politica unitaria dell’Unione Europea?

“Il premio è veramente meritato perché la costruzione europea ci ha permesso di vivere per oltre 65 anni in pace in questo continente, per millenni martoriato da invasioni e da guerre anche fratricide. Inoltre, l’esempio europeo ha costituito da modello per tanti altri paesi, aree geografiche e continenti: per quanto riguarda la libertà, i diritti umani, il diritto della persona e la non egemonia fra poteri politici, civili e religiosi. Lo stesso processo di integrazione sta avvenendo nelle Americhe, soprattutto nell’America Latina con il Mercosur, l’Unasur e ora la Celac, in Africa con l’Unione Africana, in Asia con l’Asean. Mi ricordo che, circa tre anni fa, incontrai ad una regata di vela un emiro dell’Oman, il quale mi chiese con grande interesse come l’Europa – che aveva conosciuto per millenni tante guerre – fosse poi riuscita ad avere la volontà di perseguire quel sogno di pace che rappresenta oggi l’Unione Europea.

Se l’Europa conosce ora una crisi, questo è dovuto anzitutto ad una crisi di sistema del mondo capitalistico, ad un predominio della finanza rispetto all’economia reale; alla sopravvivenza, sia sul piano sociale che su quello territoriale; di pregiudizi e di egoismi personali e nazionali rispetto ai principi della solidarietà e dell’equità nell’ambito dell’Unione Europea, a una carente e squilibrata distribuzione delle risorse finanziarie e degli investimenti, che non hanno privilegiato settori che possono promuovere la crescita economia, ma hanno salvaguardato le rendite patrimoniali, il che non ha favorito una redistribuzione del reddito, come invece era avvenuto dal dopoguerra fino agli anni Ottanta in tutte le economie del mondo occidentale. Insomma dal tradimento di parte della politica e della classe dirigente che, invece di perseguire il bene comune, ha privilegiato i propri fini personali o quello dei grandi poteri occulti oppure è stata disattenta ed inerte per paura di perdere posizioni di privilegio. Molti premi Nobel dell’economia di quest’ultimo quindicennio da Amartya Sen a Joseph Stiglitz a Paul Krugman fino ad Alvin Roth hanno evidenziato gli aspetti deleteri del vecchio capitalismo sfrenato, volgendo l’attenzione verso una nuova economia più umana, che pone l’uomo al centro del processo economico e sociale, evidenziando che la sua formazione, la sua cultura e il suo benessere sociale e psicofisico costituiscono valori fondanti dello sviluppo economico e del progresso umano e civile. Occorre superare il persistente dualismo tra capitale finanziario e capitale umano, che rappresenta una concezione vecchia del capitalismo. I recenti successi di imprese come quelle dei social network lo hanno dimostrato. Sotto questo punto di vista, l’Europa ha accumulato gravi ritardi rispetto agli USA. Nell’economia sociale e di mercato la Cina, l’India e il Brasile ci stanno dando esempi interessanti. Anche Benedetto XVI ci ha fornito indicazioni preziose sulla via da seguire in questo ambito per arrivare a un vero progresso umano e civile. Inoltre, l’Europa ha pagato un prezzo assai alto per la sua ancora incompiuta integrazione sia politica, che economico-finanziaria e sociale; per un mercato unico ancora incompiuto dal punto di vista del lavoro, delle politiche energetiche e di quelle industriali; per la brusca interruzione del processo di costituzionalizzazione, avviato verso la metà degli anni Novanta, che avrebbe dovuto concludersi con il nuovo Trattato di Roma, ma che è stato poi bloccato dal voto negativo in Francia e in Olanda. Occorre ora riproporre una carta costituzionale post-Trattato di Lisbona, dove vengono formulati in modo chiaro e semplice i valori fondanti della Nuova Europa, o meglio degli Stati Uniti d’Europa, che dovrà essere un’entità politica “comunitaria” e non più “intergovernativa”, dove si preveda una nuova riorganizzazione delle istituzioni europee, a cominciare dalla BCE, che dovrà svolgere il compito di vera Banca federale, per finire con la riforma della Commissione, del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo, affinché si possa instaurare un dialogo e un collegamento fluido ed operativo con i Parlamenti nazionali e con le entità regionali e locali sulla base del principio di sussidiarietà, affinché le istanze della società civile europea e dei suoi territori possano partecipare al processo decisionale e legislativo al fine di favorire un trattamento equilibrato ed armonioso, condiviso e solidale delle classi sociali e dei territori per permettere all’Europa di competere e dialogare con le altre aree del mondo che si stanno, come ho già ricordato, integrando tra di loro per rispondere meglio alle sfide della globalizzazione e della competitività internazionale. Le nuove tecnologie della comunicazione possono favorire questo processo circolare di dialogo e di democratizzazione fra popolo sovrano, eletti e assetti burocratici, quello che oggi definiamo con il concetto di open governement. Un processo che va condotto sia a livello regionale e nazionale, sia sul piano comunitario ed europeo. L’Italia è stata molto carente in Europa in questi ultimi decenni, per un complesso di ragioni che è qui difficile riassumere e ora ne paghiamo il prezzo. Se pensate che su un contributo del valore di 14, ne riceviamo di ritorno solo 8 circa, il conto è presto fatto. L’Italia ha finora pagato per lo sviluppo degli altri partner europei, senza ricevere la necessaria contropartita. Occorre quindi cambiare il nostro atteggiamento nei confronti dell’Europa. Essere meno disattenti e pressappochisti, e svolgere invece un ruolo attivo per il reperimento delle risorse comunitarie da utilizzare per lo sviluppo del nostro Paese e per il cambiamento che l’Europa stessa deve fare, al fine di favorire lo sviluppo equo, equilibrato, solidale ed ecosostenibile all’interno del nostro continente e una maggiore competitività a livello internazionale, incrementando quel modello sociale, definito come acquis communautaire, che ha portato negli scorsi decenni il resto del mondo a seguire l’esempio dell’Europa. Il Nobel all’Unione Europea è stato dato per questo, per quello che l’Europa ha rappresentato e per quello che dovrà rappresentare in futuro per promuovere la pace e il progresso morale e civile dei nostri popoli.”

La cultura e l’educazione rappresentano, citando una frase di Nelson Mandela, la porta per la libertà.

L’Italia purtroppo sembra avere scelto altre priorità trascurando invece il settore della cultura investendo molto poco sulla ricerca e sulla formazione. Lei ha avuto modo di confrontarsi, nel corso degli anni, con altri modelli europei, che invece puntano moltissimo sulla cultura e la formazione dei giovani. Quali sono le sue considerazioni sulla situazione italiana.

“Da qualche anno si realizza a Roma un’interessante fiera della piccola e media editoria il cui titolo è: “Più libri, più liberi”. È uno slogan che desidero ricordare perché rende bene l’idea e cioè, che quando l’essere umano dispone di conoscenza, esso è più libero perché in grado di difendersi meglio da soprusi, barbarie, ignoranze e preconcetti, che impediscono di stabilire un dialogo pacifico e costruttivo con gli altri essere umani, che è la base per costruire pace e sviluppo a livello locale, nazionale, bi regionale e internazionale.

L’Italia, che è stata per secoli la culla della cultura occidentale, sembra essersi assopita in questi ultimi decenni. Uno dei problemi cruciali è rappresentato sia dalla scuola che dai mass media, che non hanno saputo adeguarsi alla globalizzazione e all’evoluzione filosofica, sociale e tecnologica, che tale processo richiede”. Non vorrei illudermi, ma da tanti eventi di questi ultimi mesi, mi sembra che ora l’Italia, come canta anche il nostro amato Inno, s’è desta. Avverto un risveglio della società civile, che è ormai pronta a cambiare questo stato di cose, prendendo parte attiva nell’attività politica, che viene ora intesa non più come “intrallazzo” o “inciuccio” ma nel senso più alto e nobile del termine. Ho apprezzato molto in queste ultime settimane l’intervento di autorevoli politici e imprenditori italiani che, guardandosi bene dall’assumere ideologie o partitocrazie, desiderano contribuire ad individuare le soluzioni più idonee per far uscire l’Italia dalla crisi. In fondo, la parola crisi significa anche opportunità, e forse il nostro Paese doveva conoscere tante difficoltà e tanto dolore umano e sociale per scuotersi e mettere all’angolo chi finora ha vissuto di ignavia e di privilegi immeritati, affinché si sentisse la necessità del cambiamento, di una rivoluzione che possiamo definire “culturale” e di mentalità, che facesse capire che la grande ricchezza racchiusa in poche mani (il 10% degli italiani detiene ora oltre il 40% della ricchezza nazionale) porta necessariamente un paese verso la povertà. Senza un mercato interno che funziona, nessuna impresa nazionale potrà sopravvivere. Senza i consumi interni anche le imprese che possono e vogliono internazionalizzarsi, di fronte alla crescente concorrenza e competitività internazionale, non riusciranno a sopravvivere a lungo. Occorre quindi più solidarietà, più equità e una migliore ridistribuzione del reddito per favorire anche la crescita economica. Confucio diceva di non temere la povertà ma le disuguaglianze. Per Albert Einstein: La crisi è la migliore cosa che possa accadere a persone e a interi paesi perché è proprio la crisi a portare il progresso. Per cui, benvenuta la crisi che ha fatto aprire gli occhi a tante persone che si sono adagiate sui propri e sugli altrui allori. Ma, in questo momento, il mio pensiero commosso va pure a quegli imprenditori che si sono uccisi perché sono stati lasciati da soli ad affrontare le numerose difficoltà che la crisi dal 2008 ci ha colpiti. L’atteggiamento inerte di chi avrebbe potuto aiutarli va moralmente sanzionato. E’ ora di svegliarsi dal grande torpore, di reagire e di risorgere. Gli italiani, che sono sempre stati un popolo di santi, di eroi, di navigatori e di scopritori, oltre che di grandi letterati e di pensatori, devono ritrovare quel coraggio, quella forza e quella saggezza che li ha portati ad essere benvoluti ed amati nel mondo intero, occorre quindi che si ricrei un nuovo Rinascimento, diverso da quello precedente che era soprattutto elitario. Lo definirei piuttosto un nuovo Umanesimo o Risorgimento, dovendo essere un movimento di riforme che provengono dal basso, dal popolo, per rendere questo mondo più solidale, equo e in armonia tra generi, classi sociali e di età, razze, religioni e culture diverse, dove comprensione, tolleranza, dialogo e interesse verso il prossimo predominino su ogni forma di pigrizia, ignoranza e pregiudizio. Grazie alla globalizzazione e alle nuove tecnologie,che hanno favorito le reti d comunicazione con tutte le parti anche più recondite del mondo; tutto questo non può che essere favorito.”

Dove si vede tra 10 anni?

Tra qualche mese vado in pensione, ma in realtà non lascerò il mondo del lavoro. Il mio impegno sarà sempre più attivo sul fronte sociale e civile, dato che non avrò più l’obbligo di essere ogni giorno presente in un ufficio, come avviene finora per chi lavora nella Pubblica Amministrazione. La società civile è oggigiorno molto attiva, soprattutto nel sociale e nel culturale; se pensiamo a quanto sta realizzando la Comunità di Sant’Egidio, al Fai, a Civita,  ma anche a grandi imprenditori come Ferrero, Della Valle, Luca di Montezemolo. Nella società civile e nel privato ora si può fare molto di più che nel pubblico, settore fino ad oggi troppo dominato da una pesante burocrazia e da un groviglio di leggi e di regole spesso in contrasto anche tra loro. Occorre una semplificazione normativa e regolamentare fondata su valori condivisi, in armonia con i principi della nostra costituzione, e con quelli della carta di Nizza che ora costituiscono parte integrante del Trattato di Lisbona, rimasto purtroppo sotto molti aspetti inapplicato. Ma anche il Trattato di Lisbona dovrà essere presto cambiato per ridisegnare l’assetto istituzionale europeo e scrivere la nuova costituzione degli Stati Uniti d’Europa. Speriamo vivamente che l’Italia stessa porterà avanti questo progetto, in occasione del Semestre italiano di Presidenza dell’Unione Europea nella seconda metà del 2014, perché avere un’Europa più forte, più unita, più solidale e più condivisa sarà l’unica soluzione per uscire dalla crisi dell’attuale sistema mondiale. Il mio impegno per i prossimi anni sarà quindi quello di contribuire a questo processo di costituzionalizzazione, portando avanti, come ho d’altronde sempre fatto nei decenni passati, alcune idee condivise da chi ha sempre lavorato su questo fronte, come ad esempio Emma Bonino, il gruppo dei federalisti europei e ora tutti quelli che sostengono con sincera convinzione l’agenda europea del Presidente Monti, che costituisce un buon punto di partenza per il rilancio dell’Italia a livello nazionale, europeo e internazionale.

Ma il mio impegno futuro non riguarderà solo l’Europa, esso sarà rivolto anche alle donne e ai giovani affinché possano trovare tutte le facilitazioni per creare impresa e lavoro, e ai bambini che abitano nei paesi più poveri. Il mio sogno è quello di poter vedere il loro sorriso quando potranno dire di essere usciti dalla povertà. Se vuoi fare un dono a qualcuno, non regalare il pesce ma insegna a come pescarlo. Quello che conta nella vita non è tanto quello che si possiede in beni materiali, bensì in materia grigia. L’immateriale ora è più importante ed utile del materiale. E noi dovremo sempre di più essere capaci di liberarci del superfluo, recuperare l’essenziale e dedicarsi a chi è meno fortunati di noi. Solo così vivremo più liberi e più felici, facendo dono del nostro sapere, della nostra esperienza agli altri, a coloro che vogliono apprendere e a loro volta sperimentate, come feci anch’io quando ho iniziato il mio percorso di apprendimento professionale ed umano, cercando di dotarmi di contenuti validi, di metodo di lavoro e di credibilità di intenti. Non so se ci sia riuscita, ma non smetterò di farlo e di imparare a mia volta per tutto il resto della vita.”

.

Come sosteneva Marcel Proust “ La saggezza è un punto di vista sulle cose”. Ornella Orlandoni rappresenta oggi questo punto di vista, ovvero la saggezza e la cultura al servizio della società civile, dell’Italia e dell’Europa. Burrhus Frederic Skinner, psicologo americano, affermava che la “cultura è ciò che resta nella memoria quando si è dimenticato tutto.” Cioè tutto quello che si è appreso dai libri, che viene assimilato e sedimentato per creare una “persona” nuova, libera da dogmi e preconcetti, come volle fortissimamente anche Vittorio Alfieri ne “La vita scritta da esso” uno dei diari preferiti da Ornella Orlandoni.

Manuela Pacelli

Related Posts

di
Previous Post Next Post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

0 shares