Un disadattato di qualità. Questa la definizione che si è affacciata nella mia mente al primo ascolto dei primi brani girati nei canali paralleli, su cui oramai si affacciano le novità più interessanti dei giovani compositori.
Addirittura parodiato e copiato in cover e finti originali.
Così Edoardo d’Erme, da Latina, in meno di 4 anni si è imposto all’attenzione di molti, scalando classifiche, riempiendo palazzetti dello sport, diventando un riferimento nel pop italiano.
Schivo, apparentemente disinteressato, quasi goffo, calca il palco quasi come si trovasse lì per caso, eppure i suoi testi senza senso, con manciate di parole buttate sullo spartito, poi restano in mente e nel canticchiarle ecco lì che il senso si rivela. Testi che più che una storia raccontano di storie, una serie di fotogrammi che si sovrappongono, immagini quotidiane in cui rispecchiarsi e specchiare i propri ricordi.
Come i suoi album, la serata vola via, fanno sorridere i suoi dialoghi strampalati col pubblico, ma la genuinità traspare e il senso di imperscrutabile inconsistenza dell’essere che ci avvolge fa la differenza. E ti fa stupore che la voce si perda nel coro di parole che sgorgano spontanee, memorizzate in modo involontario…we deficiente! negli occhi ho una botte che perde e lo sai perché mi sono innamorato mi ero addormentato di te (pesto) Ma non mi importa se non mi ami più E non mi importa se non mi vuoi bene Dovrò soltanto reimparare a camminare Se non ci sei tu (cosa mi manchi a fare) Canto di gabbiano dentro la mia mano Se siamo in metro o in treno non mi importa Io sento il Mar Mediterraneo dentro questa radio Ti prego vacci piano che se mi stringi così Io sento il cuore a mille (paracetamolo) Mangio la pizza e sono il solo sveglio in tutta la città bevo un bicchiere per pensare al meglio per rivivere lo stesso sbaglio a mezzanotte ne ho commessi un paio che ridere che fa (Frosinone) E così la musica srotola i nostri sentimenti buoni.
Bravo Edo, ops! Calcutta, come hai mantenuto il nome degli esordi…continua a raccontarci il nostro quotidiano, continua a restare nel nostro miserevole umano