Fulminacci: errore, ricerca, attrito, resistenza

Scrivere un articolo sulla nostra scena musicale attuale è un’impresa. Non tanto per la quantità di nuovi artisti emergenti e per la più o meno profonda diversità che li contraddistingue. Il problema di fondo che si pone a qualsiasi critica generale della musica leggera italiana odierna non è inquadrabile da una statistica complessiva di temi e forme ricorrenti, ma richiede invece un approfondimento specifico sul senso profondo delle nuove forme che vengono proposte. Infatti si potrebbero analizzare nei dettagli i testi, le sonorità, i riferimenti, le mode, a partire dal revival anni ’80-’90, e dare un quadro complessivo degli sviluppi del mondo della musica italiana, ma si perderebbe in focalizzazione di quella che si può chiamare la “questione di fondo”. Per attuare questa focalizzazione, ci concentreremo su un video di recente pubblicazione, “Reistenza”, di Fulminacci, giovane cantautore romano dell’etichetta Maciste dischi (casa discografica di Cavova, Gazzelle, Galeffi, Mox). Un singolo esempio non avrà pretesa di esaustività, ma sarà occasione per approfondire qualche elemento fondamentale.

Nel video di “Resistenza” si assiste a un prologo dialogato in cui Fulminacci dà indicazioni sul video che stiamo per vedere. È un dialogo comico, probabilmente improvvisato, volutamente pressappochista, in cui il cantante si dice convinto della forza della “semplicità”. I video “estetici”, con idee strane e montaggi strampalati non gli piacciono, vuole restare semplice e scarno: un video di lui che canta. La gag però consiste nel fatto che il cameraman a cui impartisce indicazioni è evidentemente un inetto: si lascia quasi supporre che sia un amico coetaneo o un conoscente raccattato per arrangiare il video, insomma un aiutante del tutto improvvisato. E infatti il risultato è subito evidentemente “sbagliato”, maldestro, sgangherato. Le riprese “deviano” dal cantante e riprendono i passanti, il contorno dettagli esterni. Si assiste insomma a un vero e proprio fallimento. Un fallimento a più livelli, che lascia spiazzati e interdetti.

Innanzitutto l’“errore” è interno, per cui le riprese vengono proprio male, non raggiungono gli obbiettivi annunciati; ma, a un livello più profondo, il divagare delle riprese è anche un “errare”, un indicare altro rispetto al soggetto, insomma una improvvisa e accidentale fuoriuscita dalla centralità dell’autore e dalla struttura del progetto. Inoltre si assiste a una discrepanza fra video e testo della canzone: la comicità prodotta dal fallimento del cameraman cozza con un testo intimo, in cui ad esempio Fulminacci si dice “vittima di una paura, di una resistenza alle cose che vivo”.

A una riflessione attenta, da queste diverse discrepanze estranianti emerge in filigrana la questione di fondo, esplicitata nel testo: la ricerca (“cerco una risposta o magari un nome”). Una ricerca consapevole di sé, innanzitutto della propria ambiguità. Infatti, a ben vedere, la canzone è davvero intima e sofferente? Il video sembra negarlo, e alle volte anche il testo cont ratti vagamente ironici. Il problema resta aperto, e qui sta il punto.

Ciò che viene alla luce, a voler ascoltare in profondità, è un suggerimento sulla situazione della musica, manche dell’immaginario complessivo italiano di questi ani. Il tono di fondo della musica italiana emerge in questo giovane del ’97 con un sottile stridore, forse quello con cui si apre il pezzo (un raschiare, forse un fiatone di qualcuno in preda all’ansia). Uno stridore di attrito fra una ricerca e una resistenza, fra forma e contenuto, superficialità e interiorità, gag e riflessione, cliché e originalità. Sembra insomma sempre di più che si provi a mantenere insieme poli inconciliabili, a tenere attiva la tensione e in movimento la ricerca. Si è oggi in una ricerca continua, alle volte estenuante, che non porta per sua natura a nessun risultato definitivo, ma, si spera, sia continuamente rilanciata, riproposta, in termini sempre ulteriori e sempre più aderenti alle contraddizioni che contraddistinguono “la vita veramente” (titolo dell’album): “non dico che sono maturo, ma solo più immerso dentro quello che vivo”.

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