Un artista autodidatta nelle tecniche che, dopo un attento e amorevole studio dei grandi del passato, si è aperto ad un continuo dialogo e scambio con i suoi contemporanei, anche attraverso il ruolo di operatore culturale e non soltanto di pittore. Massimo Bigioni nasce a Rieti nel ’59 e continua oggi a vivere nella provincia, a Leonessa, che ama profondamente e che spesso trova spazio nei suoi lavori e tempo per il suo affetto. Attratto dall’arte fin da bambino, decide però di provare a tenere sopita questa passione per concretizzare il desiderio di una famiglia e, perciò, di una garanzia economica e lavorativa diversa. Ma un amore grande come il suo non riesce a restare soffocato a lungo e comincia a venire fuori prepotente in un Massimo ormai adulto, che mette a frutto gli anni di studi autonomi sull’arte affrontati nel tempo per lenire un po’ la mancanza. Bigioni impara tutto sui grandi maestri del ‘500 e del ‘600; in particolar modo Caravaggio diventa per lui un esempio e un’ispirazione, che lo spinge verso uno stile verista, di testimonianza di vita, mentre personalizza le sue tecniche. Comincia a sperimentare gli accostamenti cromatici come strumento per veicolare le emozioni, dipinge anche con le mani, quasi a voler imprimere segni ancora più marcati e vividi nella superficie della tela. Ha un impulso istintivo a voler comunicare la semplicità, a ritrarre scene quasi disarmanti nella loro realtà e nel loro significato più puro. Arriva, quindi la necessità di voler filtrare la contemporaneità attraverso il suo punto di vista. La vita nella natura, trascorsa sulle montagne ad ascoltare il richiamo delle aquile, gli ha fornito un’idea diversa della società contemporanea, delle angosce collettive e dei drammi personali. Inizia a farsi largo in lui l’idea che, attraverso l’arte, si possa diffondere un messaggio di tolleranza contro ogni violenza e radicalismo, i grandi mali del nostro tempo. Dipinge per dare alla cultura del dialogo, alla comprensione costruttiva tra le religioni, nuovi strumenti. Fonde in sè i valori di un’esistenza costruita con un’educazione tradizionale e arricchita dalla natura, e attraverso il suo talento e la sua intraprendenza li diffonde con le tele. L’arte di Massimo Bigioni si struttura, quindi, negli anni, in due filoni principali. C’è quello dell’arte “contadina”, in cui l’artista ama ritrarre personaggi semplici, comuni, figure emerse dal buio che vengono illuminate, per sottolineare la dignità che ogni individuo possiede. Esempi possono essere “Amore per la terra”, dedicato al padre, oppure “Compari all’osteria”. Scene di vita vissuta, non lontane da noi, familiari anche a chi conduca un’esistenza in frenetiche città e ancora rintracciabili in angoli preservati da un certo tipo di progresso. E poi c’è il filone dell’arte “sacra”, in cui Bigioni si misura con opere di grandi dimensioni, di espressione di sentimenti ultraterreni, di grande impatto emozionale e visivo. Come il suo “San Giuseppe da Leonessa” ritratto nel momento della liberazione dalla prigionia a Costantinopoli, e donato alla Confraternita dei Frati Cappuccini della sua città. La luce sul volto del Santo ne scopre contemporaneamente la paura, il sollievo allo scampato pericolo, l’incredulità del momento e l’onore d’essere stato scelto per ricevere l’aiuto divino. Devozione, sì, ma soprattutto comunicazione, messaggio, necessità. L’umanità in Bigioni è sempre protagonista, anche quando il tema è sacro e irraggiungibile. Tanti i premi ricevuti negli anni a conferma del valore della sua arte. Il premio della critica al I concorso città di Rieti, per “Cuori piccanti”; il 2° premio a Greccio per “Il sentiero degli artisti”; la menzione come “Artista rivelazione dell’anno 2011” al I Premio Nazionale Arte Seraphicum,, la Medaglia d’Oro al premio di Spa, in Belgio, nel 2012, e molti altri ancora. Numerose le mostre, personali e collettive, che hanno girato l’Italia e l’Europa e sono state ospitate in luoghi di grande prestigio, come la Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini” o l’ambasciata irachena presso la Santa Sede, per il “Festival internazionale dell’arte per il dialogo e la pace tra i popoli e le religioni”, evento del quale Bigioni è stato anche curatore e che maggiormente ha permesso la diffusione della sua idea di arte e spiritualità. «Non importa se un uomo vive in nazioni diverse, appartiene a diverse tradizioni, ha la pelle di colore diverso e diverse sono le religioni ; dopotutto le religioni, portano tutte verso un grande messaggio d’Amore e di Pace. Tutti, quando ci svegliamo la mattina, abbiamo sopra di noi lo stesso sole, che ci riscalda… tutti abbiamo un unico Dio». Questa è la filosofia che Massimo Bigioni prende in prestito da Ichu, capo della tribù indiana dei Cheyenne, e applica alla sua arte e alla sua vita. Non si accontenta di essere un fedele in contemplazione dei misteri, e preferisce essere un “missionario artistico” che, attraverso le sue tele, mostra preziosi insegnamenti a cui ispirarsi oppure una realtà migliore di quella effettiva, e tuttavia possibile.