Francesco dalle Marche all’Amazzonia: lo «stare» di un popolo

In occasione della visita del mese scorso del Papa ai terremotati delle Marche e in vista del sinodo sull’Amazzonia che si terrà in Ottobre, proponiamo una breve riflessione sul legame fra geografia e società, luoghi e popolo.

Francesco ha il pallino del «popolo». Per comprendere appieno l’idea di popolo dell’attuale pontefice sembra opportuno analizzare cosa per Bergoglio caratterizzi e costituisca un popolo, il suo elemento strutturale o causa formale: la cultura. Per lui non esiste uomo che prescinda dalla cultura della «determinata» società nella quale vive e dal suo «stile peculiare» e «concreto» ( Evangelii gaudium). Parafrasando Aristotele, l’uomo è un animale culturale. La sfumatura insieme di analogia e differenza con il filosofo greco risulta sottile ma significativa. Entrambe le concezioni non concepiscono l’uomo senza la comunità in cui egli si trova, ma se per il pensiero greco classico l’uomo è per natura politikòn, politico, per Bergoglio l’uomo è “sempre culturalmente situato”, cioè in ogni caso si trova in un ambiente culturale, abita dentro il “modo peculiare” delle sue relazioni. Ciò suggerisce che non si dia la relazione politica tout court, predefinita e universale, ma tante relazioni politiche, diverse di cultura in cultura. Le culture particolari, con differenti sfumature e colori di situazione in situazione, per Bergoglio sono le varie «totalità della vita di un popolo», non completamente inscrivibili nelle più astratte categorie politiche dello schema della polis classica, universalizzato dal pensiero illuminista europeo nella dottrina dello Stato. Ci si trova in un sistema di pensiero diverso da quello occidentale e radicato nella cultura sudamericana del pueblo. Ciò Bergoglio, per sua stessa ammissione, lo comprende leggendo Rodolfo Kusch, antropologo e filosofo tedesco vissuto in Argentina. Lo studioso rileva nei suoi studi che, se quella occidentale è la cultura dell’essere, razionalista, quella indigena sudamericana è la cultura dello stare, geograficamente connotata. Dunque vi è una «intersección entre lo geográfico y cultural» e una «incidencia del suelo en el pensamiento» (R. Kusch, Esbozo de una antropología filosófica americana, Ediciones Castañeda, Buenos Aires, 1978). La cultura del popolo situa l’uomo, ha a che fare con uno spazio, o meglio un ambiente, una geografia, un paesaggio. È il quartiere, prima concreta esperienza di convivenza, il luogo da riscoprire, in cui aprire gli occhi sulle cose reali che circondano l’uomo e che lo riguardano. I dettagli della vita quotidiana, apparentemente umili sono invece essenziali per la costruzione della cultura. Ciò che il papa apprezza nei movimenti popolari, organizzazioni sorte dal basso di lavoratori e cittadini non integrati al sistema individualista e globale di mercato è questa dimensione territoriale, o meglio terrosa: «Avete piedi nel fango e le mani nella carne. Odorate di quartiere, di popolo, di lotta!» (Francesco, Discorso ai partecipanti al I incontro mondiale dei

movimenti popolari in Francesco, Terra casa lavoro, Adriano Salani, Milano, 2017). La terra, prima delle tre T del titolo degli incontri con i movimenti popolari (tierra, techo, trabajo: terra, casa, lavoro), non è mera coordinata quantitativa di uno spazio da gestire in funzione dei bisogni primari. La cultura rielabora il senso da dare allo spazio, concependo la terra come luogo simbolico, in cui costruire la propria identità. Al contrario, un modello deterritorializzato e globalista non rispetta e uccide le identità, colonizzandole.

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