Street art o reato?

Se esiste ancora qualche dubbio per distinguere la Street art (arte di strada) dal fenomeno dei writers (graffittari, persone che eseguono scritte, disegni e incisioni su mezzi, edifici e strutture pubbliche o private), pochi ne lascia l’interpretazione del combinato disposto degli artt. 635 e 639 del Codice penale, laddove prevede che per il deturpamento di beni mobili o immobili, privati o pubblici, possano essere irrogate dal giudice sanzioni fino a 10.000€ e pene fino a tre anni di reclusione.

Illustri artisti, spesso anonimi, si sono cimentati in opere che arredavano spazi metropolitani, impegnandosi in disegni e scritte che evidenziassero o riducessero il senso di vuoto, solitudine e inadeguatezza, tipico del nostro tempo. Mi sovvengono, a tal proposito, gli Espressionisti che colsero bene questi ultimi stati d’animo, seppur a inizio ‘900 e con strumenti diversi, ma anche lo stesso, attualissimo, Banksy che, molto argutamente, interpreta le contraddizioni della nostra società in tempo reale.

Monumenti storici, muri di edifici, esterni di mezzi di trasporto, manti stradali, strutture urbane varie, indifferentemente del settore pubblico o privato, hanno subito nel corso degli ultimi decenni segni che rappresentano ferite insanabili. Insanabili non solo perché certe vernici (in particolare quelle spray) sono difficili da rimuovere ma, anche, perché fungono da esempio per le future generazioni, alle quali sembrerà naturale il degrado urbano, la violazione della legge, la deficienza generalizzata di responsabilità, la mancanza del rispetto dei beni della collettività.

Non interessa, in questa sede, la distinzione tra le finalità delle due interpretazioni, e cioè tra aggiungere valore artistico accarezzando il nobile concetto di arte, o ridurre il valore estetico/morale dei nostri beni pubblici e privati. Ciò che rileva è invece la natura del diritto dell’artista, inteso asetticamente come colui che opera con le mani, a disporre di uno spazio non di sua proprietà.

Una soluzione, spesso attuata dalle Amministrazioni comunali più evolute, è quella di adibire spazi pubblici ad hoc per le rappresentazioni degli artisti di strada inscritti in un albo apposito. Quindi si sostanzia, in questa iniziativa, una forma illuminata di controllo sociale che ottimizza e legalizza un’azione potenzialmente illegale. Parimenti, un graffito commissionato da un privato sulla sua proprietà non incontrerebbe ostacoli. Ovviamente dalla trattazione è avulsa la natura del messaggio trasmesso dall’artista, del quale ne risponde nelle corrispondenti sedi giudiziarie.

Qualcuno potrebbe obiettare: se nottetempo Banksy “imbrattasse” con una sua opera il muro esterno della mia abitazione, avrei il coraggio di denunciarlo? Via delle Torri Vecchie 197…

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