Er barcarolo va…

Una splendida iniziativa sta prendendo piede a Roma, un evento che unisce l’emozione di una gita in barca sul Tevere con il piacere di sorseggiare gocce di storia e di arte stando comodamente seduti all’aria aperta che, in tempi di pandemia, è un prerequisito estremamente virtuoso…

Conosciamo Roma”, un’associazione culturale in attività da diversi anni nella capitale per l’organizzazione di visite guidate, ci dà appuntamento alle 10.00 di un domenica mattina presso l’imbarco sull’Isola Tiberina. Siamo pochi, a loro dire, ma solo perché i vincoli stabiliti dai decreti governativi del momento obbligano al distanziamento fisico. Tale distanziamento, però, non vige fortunatamente per la cultura, la storia e l’arte alle quali il brillante eloquio di Maurizio ci avvicina tra un aneddoto e l’altro, alternando argute battute intellettual-popolari con Riccardo, l’altro simpatico e validissimo membro dell’associazione culturale. In realtà siamo un ordinato e ossequioso assembramento…

L’Isola Tiberina, un inizio importante che, già da solo, potrebbe riempire ore di narrazione. Maurizio cattura subito la nostra attenzione e ci narra alcune leggende sull’origine dell’isola dalla particolare forma navale. Tra queste ho preferito la seguente: il serpente della medicina, simbolo del dio greco Esculapio, fuggì nel III secolo a. C. dal santuario di Epidauro e si insediò sull’Isola. La sua venerazione condusse gli antichi abitanti a costruire un tempio dedicato al dio e ciò determinò la fine di una terribile pestilenza. Provo paganamente a invocare il serpente e il suo capo per debellare il Coronavirus, non si sa mai…

A proposito di fiume, interviene Riccardo, una leggenda narra che Roma debba il suo nome proprio al Tevere che trovava la sua radice nel termine arcaico “Rumon”, che a sua volta dipende dal greco “rein”, scorrere. Speriamo non se ne abbia a male il prode Romoletto che, dopo aver pugnalato il fratellino, dopo essersi vantato di aver dato un territorio e un nome alla capitale d’Italia, si illudeva persino di aver fondato una locale compagine calcistica… (ndr.)

Salpato il battello, lasciamo le sponde della terapeutica Isola Tiberina (sulla quale ancora funzionano efficientemente due antichi ospedali) per raggiungere, affrontando la dolce corrente avversa, Ponte s. Angelo. Approdati, sbarchiamo per sgranchirci le gambe sul ponte e raccogliere preziose notizie sul castello.

Fatto costruire dall’Imperatore Adriano nel 134 per collegare Roma al suo Mausoleo (l’attuale Castel s. Angelo), il Ponte s. Angelo attraversò alterni momenti nella storia, da quelli più gloriosi a quelli più decadenti, fino ad arrivare ai nostri giorni nella forma che tutti conosciamo. Più in generale, ci spiega Maurizio, il ponte rappresentava un’opportunità e una ricchezza per Roma fino a quando si trattava di intrattenere scambi commerciali e culturali con gli altri popoli a nord, ma quando, poi, si entrava in guerra, diventava un problema al quale ovviare o fortificandolo o, addirittura, abbattendolo per non essere invasi. Così se dal XVI secolo venivano esposti sul ponte i cadaveri dei condannati a morte (esecuzioni eseguite davanti al vivino Palazzo Altoviti) affinché servissero da monito per i Romani, nel 1669 il Papa Clemente IX fece ricostruire prestigiosamente il parapetto dal Bernini, il quale commissionò ai suoi collaboratori le sovrastanti statue di dieci angeli.

Castel s. Angelo, fatto edificare sempre dall’Imperatore Adriano e ultimato nel 139 da Antonino Pio, si presenta monumentale nella sua possanza e ricorda con i preziosi materiali la ricchezza originaria. Le informazioni di Maurizio penetrano nelle avide orecchie del gruppo al quale spesso si accodano turisti, anche stranieri, che annuiscono simulando la comprensione di parole che scorrono più veloci della corrente del Tevere. Nel 590, durante una processione propiziatoria per scongiurare la fine della pestilenza, Papa Gregorio Magno vede un angelo sul Mausoleo che rinfodera la spada: è il segnale della fine dell’epidemia, effettivamente accaduta. Volgo lo sguardo speranzoso verso la statua dell’Arcangelo Michele sulla torre del Castello ma, a tutt’oggi, la pandemia del Covid19 è refrattaria pure all’intervento cherubino…

Er coridore”: l’esclamazione profferita in corretto dialetto romanesco mi intriga e la corrispondente traduzione italiana aumenta la nostra curiosità. Il Passetto di Borgo, un passaggio sopraelevato, unisce dal 1227 i palazzi papali a Castel s. Angelo. Lo scopo è quello di consentire una fuga in sicurezza del Papa verso un luogo più difendibile, in caso di pericolo. Nonostante tutto, nel 1527, Papa Clemente VII Medici viene scaraventato brutalmente a terra dal Cardinale Ciocchi dal Monte per evitare la fucilata di un lanzichenecco. L’eroico cardinale salirà al soglio pontificio con il nome di Giulio III. Il Marchese del Grillo avrebbe seraficamente commentato: “Embè, morto un Papa se ne fa sempre un altro!”.

Risaliamo un po’ accaldati sul battello e neppure il tempo di assaporare la fresca brezza fluviale che raggiungiamo l’Ara Pacis, altare della Pace (la divinità) edificato da Augusto nel 9 a. C. Originariamente in quel tratto del Tevere c’era il Porto di Ripetta che si presentava curiosamente come una struttura a doppia scala intorno a una balconata centrale, un monumento talmente bello che il suo progetto sarà ripreso per la costruzione della scalinata di Trinità dei Monti. La storia dell’Ara Pacis ci tiene con il fiato sospeso, è densa di accadimenti e di colpi di scena. Ma è ora di girare la prua del battello e tornare, ricchi di arte, storia, aneddoti e leggende al capolinea. Stranamente il peso della cultura non grava sulla velocità di crociera del ritorno e in un baleno le nostre scarpe calpestano di nuovo la sacra terra del dio della Medicina.

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