Io sono Muhammad Ali

Un uomo imperfetto ma dal carisma fortissimo, soprattutto un uomo disposto a migliorarsi. Così Massimo Cecchini, autore del libro “Muhammad Ali. Il guerriero che sapeva volare” edito da Diarkos, definisce in poche e semplici parole uno degli sportivi più importanti di tutti i tempi.

Imperfetto non per sua colpa, ma perché agli albori della sua carriera non aveva gli strumenti culturali né l’istruzione scolastica per gestire, per capire cosa stesse succedendo nella sua vita. Sarà forse anche questa sua imperfezione che lo porta ad aderire alla setta Nation of Islam, che promuoveva il separatismo nero e la supremazia delle persone di colore. Ma è anche grazie a questo passaggio, dal quale poi il pugile si distaccherà più avanti, che Cassius Marcellus Clay Jr. diventa Muhammad Ali. Anche questa è stata una tappa fondamentale del percorso che lo ha reso la legenda che è stato è che rimane tutt’ora.

Fondamentale come il suo carisma, chiave di volta del suo impatto mediatico: tante riviste dell’epoca, ma soprattutto successive, lo hanno definito una della dieci personalità più influenti del XX secolo. Un secolo in cui la comunicazione passava per radio e televisione e non aveva quindi la velocità odierna. Inoltre gli sportivi non si schieravano sui temi di attualità e non si esponevano pubblicamente su temi delicati, spesso perché mancava proprio il background culturale e formativo. Per di più non si esponeva di certo un atleta afroamericano.

Ma Ali si schiera, eccome se si schiera. Ed è proprio il gesto di rifiutarsi di partire per la guerra del Vietnam che gli farà perdere gli anni migliori del suo pugilato: la condanna per renitenza alla leva gli costa tre anni di carriera; tornerà a combattere solo nel 1971 con un pugilato diverso da quello che lo aveva caratterizzato fino all’arresto. Dopo due sfavillanti vittorie per K.O. perde “l’incontro del secolo” valido per il titolo mondiale dei pesi massimi contro il detentore dello stesso, Joe Frazier. Si rifarà nel 1974 contro Foreman, diventando campione dei pesi massimi per la seconda volta.

Ali era anche un uomo disposto a migliorarsi, dote non così comune ma sicuramente importante per uscire dalla “coperta di Linus”, dalla zona di comfort dove quasi tutti amiamo stare. Migliorarsi significa confrontarsi, in primis con se stessi. E questo spesso fa paura.

Cassius Clay è stato un personaggio controverso: il suo esporsi mediaticamente anche in modo eclatante, come per la questione Vietnam, può aver aperto la strada ad altri gesti che sono passati alla storia; l’anno dopo la sua obiezione di coscienza, sul podio della gara olimpica per i 200 metri, Peter Norman e John Carlos alzano i pugni al cielo in segno di protesta nei confronti delle politiche di apartheid in Sudafrica.
È stato però anche uno dei migliori interpreti del trash talking televisivo, pratica che lo vedeva sbeffeggiare ed insultare i suoi avversari per innervosirli prima dei match; questo suo modo di prendere la scena nelle conferenze stampa più che un vantaggio sul ring lo ha portato a vendere tanti biglietti e a dargli la visibilità che gli ha concesso di trasformare l’immagine dell’atleta afroamericano negli Stati Uniti d’America, parlando molto spesso di temi non attinenti al pugilato.

Un libro per conoscere l’atleta, “il grande” Muhammad Ali. Ma anche un libro per capire l’uomo, Cassius Clay. È questo il viaggio in cui Massimo Cecchini porta il lettore.
Il prossimo lavoro dell’autore sarà probabilmente lontano dal mondo sportivo, perché come egli afferma “è tanto importante dare i baci come saper suonare la chitarra”.

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