Il funzionamento dell’economia legale è il frutto dell’interazione tra produzione, reddito, investimenti e consumi e caratterizza i rapporti che intercorrono tra le singole parti. A questi elementi va poi aggiunta la presenza dell’operatore “pubblica amministrazione” e l’interscambio internazionale, nonché, come vedremo meglio nel prosieguo, il fattore “imprese criminali”.
Lo schema che utilizzeremo serve per spiegare la formazione del reddito e gli effetti consequenziali sulla produzione determinati dal suo impiego. Agli scambi di beni e servizi corrisponde il passaggio di flussi monetari fra gli operatori.
Vediamo così che il reddito ( R ), generato dalla produzione ( P ), può essere destinato: una parte al consumo ( C ), una parte al risparmio ( S ) che a sua volta verrà impiegato in investimenti ( I ) e tornerà così verso il settore produttivo ( P ) e una parte verso il settore della Pubblica Amministrazione ( E ) sotto forma di imposte e tributi. Verso il settore produttivo ( P ) affluiscono anche le risorse delle esportazioni e defluiscono le risorse utilizzate per acquisire i beni di importazione.
(*) Le considerazioni espresse nel presente articolo sono opinioni personali dell’autrice e non impegnano in alcun modo la Banca d’Italia.
Un’impresa sana deve essere in grado di conciliare obiettivi e risultati per soddisfare le esigenze dei clienti, dei lavoratori e dell’imprenditore.
Scopo dell’imprenditore, infatti, è il conseguimento del profitto che gli consente di trarre un reddito dalla propria attività e di reimpiegare gli utili in modo tale da preservare la funzionalità aziendale e di accrescerne la produttività.
Un’azienda sana, quindi, è un’azienda autonoma, in quanto le decisioni riguardanti le finalità e i mezzi per conseguire gli utili sono rimessi alla libera determinazione degli organi di vertice e possono assumere caratteri distintivi per ciascuna azienda.
Una caratteristica di quella che abbiamo definito un’azienda “sana” è la trasparenza dei suoi conti e dei risultati economici, dei programmi e della strategia di mercato, che rappresentano oggetto di apposite comunicazioni interne ed esterne rivolte a enti pubblici di controllo, alle associazioni di categoria o al pubblico in generale.
L’imprenditore, dunque, deve valutare gli obiettivi aziendali tenendo conto della fattibilità dei programmi, delle caratteristiche del mercato, delle possibilità di contenimento dei costi etc. Quest’ultimo obiettivo può essere raggiunto facendo ricorso alle opportunità offerte dal mercato legale (es. trattamenti fiscali agevolati, incentivi alla produzione, sgravi per le assunzioni etc) o facendo appello al settore illegale. C’è, insomma, chi rispetta le regole del gioco e chi invece cerca di aggirarle.
Dobbiamo quindi distinguere tra:
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imprenditore legale che si comporta seguendo le regole di mercato e in accordo con le norme dell’ordinamento;
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imprenditore legale che ricerca e utilizza risorse, di origine illegale, da impiegare nella propria azienda.
Consideriamo, pertanto, questa seconda tipologia per valutarne la struttura e lo sviluppo.
I beni e i servizi “illegali” a cui facciamo riferimento sono quelli offerti, prodotti o messi a disposizione dai gruppi criminali. Le imprese criminali possono a loro volta distinguersi in due categorie:
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le imprese criminali che operano in settori tipici dell’illegalità e si strutturano in modo tale da trarre i loro utili esclusivamente da tali attività;
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le imprese di origine criminale che operano nella produzione e nell’offerta di beni e servizi, in re ipsa, non illegali. Si tratta di imprese che cercano una collocazione nel mercato legale per stringere rapporti di collaborazione con le imprese legali e per acquisire fondi “puliti” da poter poi reinvestire in settori legali o in settori illegali.
Nel primo caso, consideriamo una serie di attività che sono svolte, in condizione di oligopolio, dai gruppi criminali. Molte di esse vengono effettuate in aree economicamente floride o in loro prossimità, cioè là dove più accentuata è la disponibilità di denaro. Ciò che viene offerto sul mercato è costituito essenzialmente da beni e servizi “totalmente” illegali (es. droga, prostituzione etc) o “parzialmente” illegali, poiché effettuati in violazione dell’osservanza degli obblighi giuridici o amministrativi che contraddistinguono i loro omologhi legali (es. gioco d’azzardo, pornografia etc). In questo caso, la concorrenza delle imprese legali è inesistente o sottoposta a forti condizionamenti.
Nel secondo caso, invece, le imprese di origine criminale offrono sul mercato prodotti “legali” in concorrenza con le imprese legali. Attraverso le imprese legali criminali, infatti, viene occultata l’originaria provenienza illecita dei capitali impiegati. Ciò consente ai gruppi delinquenziali la possibilità di:
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riciclare i fondi di provenienza delittuosa per “ripulirli” e trasformarli in risorse economiche le cui origini sono difficili da rintracciare;
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investire il denaro “ripulito” in attività suscettibili di produrre nuovo reddito (questa volta già “pulito”). I legami con le imprese legali che queste attività possono creare sono di particolare rilievo. Le imprese legali criminali hanno la possibilità di scegliere forme di finanziamento dell’impresa più flessibili. Esse, infatti, possono ricorrere al normale canale bancario e finanziario, oppure, acquisire fondi dal mercato illegale. Nella gestione dei rapporti commerciali e dei rapporti di lavoro possono, a seconda delle circostanze, assumere comportamenti improntati al rispetto delle regole formali del mercato o fare ricorso alla violenza e all’intimidazione;
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possono convincere o forzare (come nel caso dell’usura) gli imprenditori legali a utilizzare i beni e i servizi legali offerti da loro, oppure, possono mettere a disposizione beni e servizi prodotti in violazione delle norme di legge a prezzi inferiori a quelli di mercato. In quest’ultimo caso, a lungo andare, finiranno per estromettere i fornitori legali che commercializzano la stessa tipologia di prodotti;
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gli imprenditori legali saranno da prima incentivati e, in un secondo momento, forzati a fare ricorso alle imprese legali criminali per approvvigionarsi di prodotti (disponibili a minor prezzo) per non venire estromessi dal mercato. Le imprese legali criminali, infatti, hanno una maggiore capacità di disporre di risorse finanziarie, una più capillare organizzazione, un’accentuata disciplina “di gruppo” e una spiccata predisposizione a fare ricorso alla violenza rispetto alle imprese legali;
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la progressiva affermazione delle imprese legali criminali (e delle imprese criminali) accresce il controllo del territorio da parte dei gruppi delinquenziali organizzati. Ciò rende ancora più difficile per le imprese legali “resistere” alle lusinghe e ai condizionamenti del settore criminale.
E’, infatti, importante considerare che, nel tentativo di accrescere il proprio profitto e diminuire i costi di gestione, è possibile che gli imprenditori possano adottare comportamenti contrastanti con le norme vigenti in tema di fiscalità, impiego di lavoro salariato, procedure di immigrazione etc. C’è, infatti, da chiedersi se in tali circostanze siano le leggi ad essere troppo restrittive e invasive, oppure, se l’imprenditore alla ricerca della massimizzazione del profitto sia comunque propenso a violare le disposizioni che ritiene possano ostacolare il raggiungimento delle finalità perseguite.
Il dilagare della criminalità ci impone di considerare con sempre maggiore attenzione le fonti, la destinazione, l’impiego e, in genere, le conseguenze determinate da un flusso di capitali di ingente quantità e i suoi rapporti con l’economia legale.
La schematizzazione che abbiamo operato tra le imprese legali e le imprese illegali intende delineare un quadro esemplificativo con uno scopo puramente analitico. Nella realtà economica, invece, la situazione è meno semplice e i contorni tra le singole unità più sfumati e, spesso, sovrapposti.
La criminalità organizzata non è un universo parallelo, nettamente separato da quello legale.
Le imprese criminali operano a contatto diretto, intrecciato con il sistema economico legale. L’affermazione dominante secondo la quale le organizzazioni criminali cercano l’ingresso nell’economia legale per riciclare i proventi delle attività illecite e per accrescere il proprio controllo sul territorio è riduttiva, perché trascura di considerare un ulteriore aspetto della vicenda: cioè che le attività d’impresa legali e illegali offerte dalle organizzazioni criminali sono costituite da prodotti e servizi che vengono richiesti dal mercato e dai consumatori del settore “legale”.
Vediamo quindi di integrare l’illustrazione schematica precedente per vedere come le caratteristiche dei mercati si discostano dal modello teorico indicato all’inizio.
Possiamo immaginare la rete di relazioni che intercorrono tra economia legale ed economia illegale secondo il seguente tracciato:
Per comodità di esposizione consideriamo come punto di partenza il trasferimento monetario dal reddito ( R ) al settore criminale ( Ccr ) tramite estorsioni, furti, rapine, sequestri etc, oppure tramite l’acquisto di un bene o servizio illegale (es. droga, prostituzione, gioco d’azzardo etc). Viene così a formarsi il reddito criminale ( Rcr ) che verrà reinvestito dal settore criminale nella produzione di beni e servizi illeciti ( Ccr ), per l’acquisto di beni legali ( C ) o in ( S ). Quest’ultimo passaggio rappresenta il riciclaggio dei profitti criminali e quindi l’investimento in attività legali ( I ).
Da questo schema emerge che non è vero che le attività imprenditoriali criminali sottraggono esclusivamente risorse al circuito dell’economia legale, ma che anzi esse reimmettono una parte delle risorse monetarie accumulate nel circuito legale. Per cui, ci sarà un deflusso monetario se le organizzazioni criminali pagano beni illeciti importati (ad esempio nel caso del traffico internazionale di stupefacenti) ( Mcr ), ci sarà invece un afflusso quando il settore criminale opera l’acquisto di prodotti dai settori dell’economia legale. In quest’ultimo caso, l’effetto finale dipenderà dalla propensione al consumo degli operatori criminali e dal grado di integrazione fra produzione criminale e produzione legale.
Inoltre, non bisogna dimenticare che vi è anche un afflusso monetario di investimenti criminali diretto sia verso la produzione criminale sia verso la produzione legale, generato dai movimenti di capitali provenienti dall’estero (es. narcodollari trasferiti in banche di Paesi in cui la legge bancaria assicura maggiori garanzie di anonimato e di segretezza). Anche nel caso inverso, peraltro, cioè quando vi è un deflusso di capitali verso l’estero, questo può essere non solo depositato in banche, ma può anche essere reinvestito in attività produttive locali, legali e illegali, in modo da generare ulteriore reddito, pronto per essere immesso nei circuiti monetari internazionali.
E il processo ricomincia.
Dall’analisi dello schema, infatti, emerge che vi è un nesso tra il reddito criminale ( Rcr ), che va a raccogliersi nel risparmio “legale” ( S ), e la produzione legale ( P ), dove affluisce attraverso ( I ) e ( Ilcr ).
Vediamo, quindi, che il rapporto tra le due “economie” è estremamente profondo e complesso.
Tale modello si complica vieppiù se, a fianco degli imprenditori che offrono beni e servizi a carattere esclusivamente criminale, si considera la presenza di imprenditori criminali che producono beni e servizi legali, ottengono redditi legali e acquistano e vendono beni e servizi legali, dove per “legali” si intendono prodotti consentiti dalla legge e scambiati da operatori, almeno formalmente, autorizzati.
Apparentemente, questo settore opera seguendo le stesse norme adottate dalle imprese legali: applica gli schemi di mercato, impiega risorse umane secondo le proprie esigenze, ricorre al finanziamento bancario, investe in attività consentite dalla legge etc. Agisce sul mercato mimetizzandosi con le altre imprese legali. Proprio per queste sue caratteristiche, le imprese appartenenti a questo gruppo sono difficilmente individuabili sia da un punto di vista giuridico sia da un punto di vista economico.
Tornando allo schema, vediamo che la produzione legale-criminale ( Plcr ) riceve risorse da ( C ) e da ( I ) e riceve e cede risorse a ( P ). Inoltre, una parte dei profitti ( Rlcr ) affluisce al settore criminale ( Ccr ) ed alimenta il settore criminale in senso stretto, mentre un’altra parte affluisce e alimenta il risparmio legale, confluendo in ( S ) e, da qui, rifluisce verso il settore legale sotto forma di investimenti di portafoglio, oppure verso il settore legale-criminale sotto forma di investimenti ( Ilcr ). In fine, il settore legale criminale riceve anche risorse da parte del settore pubblico attraverso la spesa pubblica, senza tuttavia che ci sia un flusso di ritorno verso l’amministrazione ( E ) sotto forma di versamento di tributi.
Secondo un’interpretazione largamente condivisa dalla maggior parte degli studiosi, l’economia criminale produce una sostanziale sottrazione dei flussi di spesa e riduce le potenzialità di crescita del settore legale. Ciò porta a una riduzione del moltiplicatore, poiché una parte della spesa esce dal circuito legale e si indirizza verso settori dell’attività criminale o perché assume la forma di contributi o agevolazioni a sostegno dell’impresa di cui beneficiano anche le imprese legali-criminali. Questa affermazione viene solitamente convalidata sostenendo che le attività legali gestite dalla criminalità sono, generalmente, attività che arrecano gravi alterazioni nei settori della produzione, del mercato del lavoro e del mercato dei capitali.
Tuttavia, a queste considerazioni andrebbero aggiunte altre valutazioni sul ruolo che le attività criminali svolgono nel modello di flusso circolare del reddito che abbiamo tracciato.
Se è vero che l’economia criminale dirotta una parte dei flussi di spesa legale sottraendoli al loro reimpiego nel circuito legale, è anche vero che essa non fa diminuire la disponibilità complessiva di risorse finanziarie. In sostanza, si tratta appunto di un “dirottamento” verso altri settori e non di una “sottrazione” a fini di tesaurizzazione. Ciò che viene alterata è la distribuzione delle risorse e le scelte di investimento, rendendo in questo modo il settore criminale una componente stabile e “decisionale” del circuito economico. Ciò è reso evidente dal fatto che il ( Rcr ), attraverso il risparmio ( S ) produce investimenti illegali esteri ( Icr ), investimenti legali ( I ) e investimenti legali criminali ( Ilcr ). Questi ultimi due sono chiaramente interrelati alla produzione ( P ) e a quella del reddito ( R ). E’ vero quindi che si tratta di risorse monetarie generate da attività criminali e quindi totalmente sottratte al controllo, alla stima e alla tassazione ad opera del settore pubblico, ma si tratta anche di risorse “piene” e “disponibili”. Nella scelta di investimento, peraltro, le decisioni operate dall’imprenditore criminale rispondono ad una logica diversa da quella dell’imprenditore legale. Infatti, egli tenderà a privilegiare:
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attività che gli facilitino il riciclaggio di denaro di provenienza illecita;
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investimenti “simulati” che gli consentano di dedicarsi più agevolmente alle proprie attività “dissimulate”;
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attività che gli consentano di gestire e di incrementare il proprio controllo del territorio;
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modalità di rapportarsi con le altre aziende fondate non sulla concorrenza, ma sull’esercizio di condizionamenti e di forme subdole di controllo;
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rapporti con i prestatori di lavoro fondati sul vincolo di associazione, di fedeltà e su legami di tipo personale/familistico;
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attività con forti legami con il territorio e di dimensioni medio-piccole (per stabilire un più immediato controllo e una maggiore facilità nel riciclaggio dei proventi illeciti) che possano facilitarne l’inserimento nei più ampli circuiti criminali internazionali attraverso l’uso di reti relazionali;
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scelte di investimento più “libere” nei fini perseguiti e nei mezzi adoperati, poiché non sottoposti agli stessi vincoli gravanti sulle imprese di origine legale, come ad esempio: il rispetto dei diritti dei lavoratori, l’applicazione delle norme sulla prevenzione dell’inquinamento e della sicurezza degli ambienti di lavoro etc;
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scelte di investimento indipendenti dalla disponibilità di credito legale, con la possibilità di ricorrere a fonti alternative, anche per esigenze che richiedano l’impiego di ingenti capitali.
Ciò che viene alterato, in sostanza, dalla presenza di imprese di origine criminale che offrono servizi leciti ed illeciti, non è il livello quantitativo delle risorse finanziarie in circolazione nel modello di flusso, ma la sua destinazione a un settore anziché a un altro. E precisamente in un settore che, per vincoli legislativi, culturali e morali risulta essere un settore “chiuso” alla concorrenza delle imprese di origine legale, a meno che queste non vogliano incorrere in forme di censura da parte dei competenti organi di controllo e giurisdizionali o di riprovazione sociale. Sicché, mentre le organizzazioni criminali possono decidere se e come investire i propri fondi, se costituire imprese apparentemente legali o dedicarsi pienamente ad attività illegali o a una combinazione delle due, le imprese di origine legale non possono che svolgere attività consentite dalla legge, nei modi determinati dalle norme e sottoponendosi a procedure di controllo e di verifiche continui.
La differenza tra impresa criminale e impresa legale, pertanto, oltre che nei metodi, nell’organizzazione e nel finanziamento, va ricercata nella circostanza che le imprese criminali forniscono beni e servizi che ufficialmente sono illegali e vengono sanzionati dall’ordinamento, ma che, di fatto, sono tollerati o non vengono percepiti come tali dai fruitori. Le imprese criminali, quindi, procurano beni e servizi aggirando le norme morali o legislative (es. droga, prostituzione, pornografia etc) e accrescendo le possibilità di profitto economico delle imprese legali (es. attraverso il contenimento del costo del lavoro mediante l’impiego di lavoratori irregolari o immigrati clandestinamente, l’evasione fiscale, la sottrazione dei maggiori profitti con la fuga verso i paradisi bancari e fiscali etc).
Conclusioni.
La forza della criminalità organizzata, dunque, sta nella sua abilità di creare una “rete di relazioni”, sociale ed economica, che ne potenzia l’influenza e la capacità di controllo.
Il presente lavoro, ha cercato di analizzare sia la struttura, l’evoluzione e i settori di intervento (leciti e illeciti) dell’impresa di origine criminale, sia il momento in cui viene a stabilirsi il “contatto” tra le imprese di origine lecita e i gruppi delinquenziali. A volte questo “contatto” può nascere come conseguenza di un rapporto forzato da parte della criminalità su soggetti deboli, marginali o, comunque, isolati (es. usura); altre volte, il legame viene instaurato attraverso scelte operate razionalmente e, quindi, “volontariamente”, da parte di imprenditori tradizionali che intendono così acquisire extra-profitti, aggirare norme legislative la cui osservanza viene giudicata troppo onerosa per l’impresa oppure occultare fondi all’amministrazione fiscale.
Quando si parla, dunque, di “criminalità economica”, accanto alle misure di intervento e di repressione dei gruppi criminali, occorre tenere presente anche il comportamento (e dunque le misure di intervento) di questo secondo gruppo di attori. Ossia di quegli imprenditori che, partendo da origini legali, scelgono di continuare la propria attività attingendo a risorse o a scappatoie offerte dalla criminalità organizzata.
Data la natura estremamente delicata della situazione e l’assenza di dati contabili e di altre rilevazioni attendibili è difficile dire quanti siano gli imprenditori che scelgono questa soluzione, quale sia l’entità dei proventi realizzati e quali sono i canali generalmente preferiti per realizzare la “collaborazione” con i gruppi criminali.
Va tuttavia ribadito ed evidenziato che stiamo parlando di una parte della ricchezza economica prodotta che, almeno nelle statistiche ufficiali, non risulta contabilizzata e, quindi, non esiste. Di fatto, invece, si tratta di un’entità considerevole che, pur sfuggendo ai bilanci e al calcolo del PIL, consente di accumulare profitti, di dare lavoro a fasce numerose di persone (specie in determinate zone e in particolari settori), di fungere da mezzo di investimento in settori leciti e illeciti dell’economia, venendo quindi a influenzare le scelte produttive e di consumo della nostra economia.
Il “contributo” della criminalità economica, pertanto, non è quello di sottrarre risorse finanziarie al sistema legale per nasconderle o per portarle (tutte) all’estero: il suo intervento in economia è, fondamentalmente, quello di dar luogo a un “dirottamento” verso settori e scelte di investimento, di produzione e di consumo “diverse” e “alternative”.
I capitali e le ricchezze del settore criminale sfuggono alle rilevazioni ufficiali, ma sono semplicemente dati non contabilizzati, non dati inesistenti. Anzi, la loro entità, valutata in centinaia di miliardi di lire nella sola Italia e pari, secondo il Fondo Monetario Internazionale, al 2% del prodotto mondiale annuo, esprime una parte importante delle transazioni economiche mondiali.
Dobbiamo infatti constatare che quando parliamo di economia non dobbiamo trascurare di considerare che questa è profondamente permeata anche dalla presenza di operatori criminali e di operatori leciti che fanno uso di “servizi”, finanziari e non, messi a disposizione dalla criminalità economica organizzata internazionale.
E’ la stessa società civile ad essere “attratta” nei sistemi economici criminali e viceversa. In questo sta l’intreccio di relazioni tra “criminale-imprenditore” e “imprenditore-criminale”: il primo è un soggetto che investe i proventi delittuosi in attività lecite per ricavarne ulteriori utili, mentre il secondo è un soggetto che esercita una normale attività imprenditoriale ed entra a far parte di un gruppo criminale volontariamente o perché sottoposto a condizionamenti, rivestendo il ruolo di referente economico del gruppo per il reperimento di fondi o per il loro impiego.
Particolarmente devastante è l’acquisizione di strumenti di azione diretta o di controllo per via mediata nel settore creditizio e della finanza allo scopo di ripulire i capitali di origine illecita, poiché ciò amplifica la carica eversiva dei gruppi delinquenziali.
In particolare, per quanto riguarda il riciclaggio, va considerata la sua potenza distorsiva sull’economia locale, l’internazionalizzazione del fenomeno e l’utilizzazione delle nuove opportunità offerte da strumenti finanziari innovativi e dalla telematica.
Ad una incrementata forza economica della criminalità corrisponde un sempre più elevato grado di attrattività esercitato sui potenziali riciclatori. Ciò, a sua volta, determina il rafforzamento economico dei gruppi criminali e incentiva l’escalation del livello di aggressività sociale.
Per arginare la criminalità organizzata e l’inquinamento dell’economia legale, la soluzione che è stata più volte proposta nel corso di numerosi convegni nazionali e internazionali sull’argomento è quello di intervenire, focalizzando l’attenzione sul momento di maggiore vulnerabilità dell’attività: la fase di riciclaggio.
In primo luogo, perché le tracce lasciate nel sistema legale dalle ricchezze illecite, durante le fasi della loro legittimazione, costituiscono spesso l’unico tangibile momento di emersione del complesso di attività lucrative poste in essere dall’industria del crimine; in secondo luogo, perché minando i percorsi di “pulitura” dei proventi di origine illegale, si colpisce pesantemente l’organizzazione stessa, isolandola dal “bacino” di approvvigionamento finanziario.
Il riciclaggio, infatti, al di là delle molteplici lesioni dei diritti giuridicamente protetti che, come reato, arreca sul piano dei beni, riveste essenzialmente natura economica. Per questo, il fenomeno non può che essere osservato da un punto di vista finanziario, soprattutto nelle sue interrelazioni con le forze di mercato.
A sostegno dell’azione di contrasto, le legislazioni nazionali ed europee coinvolgono sempre di più gli operatori bancari e finanziari. Tecnicamente ciò consente di predisporre una serie di misure preventive e repressive dei comportamenti di riciclaggio. Una volta scoperto il canale attraverso il quale le organizzazioni fanno filtrare il denaro “sporco”, le autorità intervengono con misure di controllo più severe e più intrusive per bloccarne le operazioni e, possibilmente, per poter individuarne le fonti di approvvigionamento. Il processo continuerà fino a quando l’altra parte non affinerà le proprie tecniche di camuffamento e non adotterà un altro sistema, innovativo e non ancora individuato dalle autorità di controllo, per poter continuare le proprie operazioni. L’approccio testé descritto ha dato risultati soddisfacenti per quanto riguarda il contrasto del riciclaggio, ma non è, da solo, sufficiente. Il riciclaggio, infatti, è solo un risultato parziale del più ampio e complesso rapporto esistente tra imprese criminali e imprese legali.
Abbiamo visto, infatti, come la presenza della rete economica criminale non rappresenti né un’appendice di quella tradizionale, né costituisca un circolo chiuso, autonomo e parallelo a quello legale.
Il circuito economico criminale è ben collegato con il circuito economico legale, perché è parte di esso.
La distinzione che abbiamo operato tra reddito “legale” ( R ) e reddito “criminale” ( Rcr ), tra investimenti “legali” ( I ), investimenti “criminali” ( Icr ) e investimenti “legali criminali” ( Ilcr ), oppure, tra consumo “legale” ( C ) e consumo “criminale” ( Ccr ) è una scelta dettata da finalità meramente espositive. Nella realtà dei fatti, è difficile distinguere precisamente i contorni di ciascuna con chiare linee di demarcazione. Così, una stessa somma di denaro, in tempi brevi, può trasformarsi e assumere, di volta in volta, un carattere “legale”, poi “criminale” e poi di nuovo “legale”.
L’intervento delle autorità pubbliche, pertanto, a seconda del momento in cui si verifica e quindi del carattere più o meno “legale” o “criminale” che l’operazione si trova ad avere in quell’istante, può solo interrompere un singolo flusso, ma non ne inceppa il meccanismo. Possiamo al riguardo suggerire che, l’intervento dell’autorità può assumere un significato molto più pregnante se non si ferma a un solo momento dell’analisi, cioè al solo riciclaggio. Il denaro “sporco” è frutto di un’operazione, a monte, di carattere criminale, ma quest’ultima, a sua volta, è in relazione con altre operazioni e così seguitando. Nel corso di quest’analisi a ritroso è possibile scoprire che non tutte le fasi dell’attività criminale coinvolgono solo persone o azioni criminali, così come non tutte le fasi di uno scambio “legale” debbano necessariamente possedere tale carattere.
Con questo non si vuol dire che le autorità di controllo debbano astenersi dall’intervenire, ma si vuole sottolineare che il termine “criminalità economica” non definisce un semplice gruppo circoscritto di operazioni (esterne ed estemporanee), che avvengono al di fuori del circuito economico propriamente detto, ma rappresentano una serie di “anelli”, che sono parte costitutiva della più vasta “catena economica”.
Senza comprendere la macro-influenza che l’economia criminale svolge nella moderna economia di mercato (e viceversa), non è possibile coglierne né le dimensioni globali, né adottare interventi concretamente funzionanti per ostacolarne le azioni ed estrometterle dal mercato. Ammesso che ciò sia desiderato, praticabile e attuabile in tempi accettabili.
Un’azione incisiva contro le imprese criminali ha bisogno, quindi, innanzitutto, di mezzi di contrasto che investano i settori produttivi dai quali le organizzazioni traggono le loro risorse iniziali. Ciò implica una effettiva disciplina normativa che metta fuori legge tali settori e, ove già esistente, una sua pratica attuazione. Tali misure costituirebbero un ostacolo ab initio all’acquisizione di fondi monetari all’organizzazione criminale, interrompendo il momento di collegamento tra ( R ) e ( Ccr ). E’ qui, infatti, che si determina il primo, essenziale, momento di contatto tra settore “lecito” e settore “illecito”. Ostacolare ( Ccr ) significa, infatti, indebolire i settori collegati alla produzione e alla commercializzazione di beni e servizi illegali.
L’azione che, invece, oggi viene condotta, di ostacolo al riciclaggio, interviene in una fase successiva a questa e tende a intercettare i fondi illeciti nel momento in cui, dall’economia criminale, vengono immessi nel circuito legale. Ritornando alla trattazione schematica precedentemente richiamata, possiamo dire che la lotta al riciclaggio si inserisce nel momento in cui ( Rcr ), attraverso ( S ), viene immesso nel circuito economico “legale” in ( I ) e in ( Ilcr ). Interrompere il processo a questo stadio si è, fino ad ora, rivelato più semplice e di più pratica attuazione per una serie di ragioni.
In primo luogo, perché si è potuto far uso della competenza e della professionalità di esperti del settore bancario e finanziario attraverso cui il denaro “sporco” doveva passare per essere poi “ripulito”. La collaborazione, spontanea o imposta dalle norme di legge, ha fatto si che questi intermediari, facendo uso della propria esperienza professionale, collaborassero con le autorità competenti nel contrasto di tali pratiche.
In secondo luogo, la “politica” antiriciclaggio ha finito per assumere il carattere di una serie di “azioni” antiriclaggio che hanno permesso di individuare e di porre termine a comportamenti, anche quantitativamente considerevoli, ma sempre circoscritti a episodi “singoli”. Ciò ha consentito di rassicurare l’opinione pubblica e di renderla consapevole del fenomeno in atto, ma non di svolgere un piano efficace e coordinato di interventi.
Contrastare l’economia criminale, invece, richiede un intervento che non si sostanzi nella limitazione di singoli momenti o aspetti del fenomeno, ma individui il quadro generale della sua configurazione, le relazioni con i settori legali e la struttura di detta “collaborazione”.
Per questo, è necessario coinvolgere non solo le banche e gli altri intermediari finanziari, ma includere anche gli altri operatori economici, gli ordini professionali, le associazioni di categorie, le rappresentanze sociali e, innanzitutto, i singoli cittadini. La loro collaborazione dovrebbe essere richiesta, ma soprattutto dovrebbe essere regolata e sanzionata da precise norme legislative che ne fissino i comportamenti e ne assicurino l’osservanza.
La difficoltà di tale approccio risiede – avendo a mente la rappresentazione schematica utilizzata – nell’intreccio degli interessi che costituiscono il circuito economico, nazionale e internazionale, e nella consapevolezza che le economie di molti e importanti settori internazionali sono, totalmente o in parti considerevoli, compromessi dalla cointeressenza con interlocutori “illegali”.
Per un’efficace lotta alla criminalità occorre, quindi, in primo luogo, vedere se è economicamente sostenibile (ed effettivamente desiderato) estromettere gli imprenditori criminali dal libero mercato o, in altri termini, se l’economia e i consumatori possono fare a meno dei “beni” e dei “servizi” offerti dal settore criminale.
Tiziana Luise
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