“Ogni novità deve ampliare la tradizione gastronomica italiana. Le nuove tecniche di cottura e preparazione e i nuovi piatti sono studiati e pensati per valorizzare gli ingredienti naturali e le materie prime italiane di qualità. La cucina molecolare italiana sarà attenta ai valori nutrizionali e al benessere di chi mangia. La cucina molecolare italiana realizzerà i suoi scopi creando nuove testure di ingredienti scelti in base ai criteri di questo manifesto, studiando le proprietà fisiche e chimiche degli ingredienti e progettando nuove architetture microscopiche.” (Manifesto della Cucina Molecolare Italiana – 2002 – a cura del prof. Davide Cassi e dello chef Ettore Bocchia).
In Italia la “chimica in cucina”, intesa nel senso espresso dal Manifesto di cui sopra, è arrivata sull’onda degli studi di Nicolas Kurti, un professore di fisica ungherese che divulgava le sue idee culinarie in spettacoli televisivi in Inghilterra verso la fine degli Anni Sessanta. Hervé This, insegnante di chimica all’università francese, riprese gli studi di Kurti per svilupparli ulteriormente e pubblicare una serie di libri sulla Cucina molecolare”. Un passo ufficiale nella storia della chimica in cucina è il conferimento del premio Nobel allo scienziato francese Pierre Gilles De Gennes, nel 1991, per il suo impegno nella ricerca e nella elaborazione di una “teoria della pietanza”. Tali teorie si diffusero anche negli USA, grazie al contributo di Harold McGee, un eloquente divulgatore scientifico.
Arriviamo così in Italia, dove si tiene nel 1990 a Erice (Sicilia) un workshop dal titolo “Atelier Internazionale di Gastronomia Molecolare”, organizzato da scienziati e cuochi di tutto il mondo. In quella occasione si stilano i principi della tecnica culinaria maturati dalla combinazione tra cultura scientifica e tecniche di cottura tradizionale. L’evento costituirà l’inizio di un filone scientifico gastronomico che troverà nei suoi più illustri interpreti italiani Davide Cassi, scienziato e accademico del Dipartimento di Fisica dell’Università di Parma, ed Ettore Bocchia, chef stellato e con il quale stilerà il famoso Manifesto. A livello internazionale resta indiscusso il primato dello chef spagnolo Ferran Adrià.
Definizioni
La “chimica in cucina” trova spesso un sinonimo nella “cucina molecolare”, dizione molto più alla moda (e che in tal senso useremo, talora, nella presente trattazione). Le considerazioni più importanti sono però di natura sostanziale e sono rivolte a definire il campo di ricerca di questa nuova scienza culinaria o gastronomia scientifica: Hervé This affermava “questa disciplina vuole capire e perfezionare i procedimenti culinari, interrogarsi su gesti familiari, che derivano dall’abitudine o dallo sviluppo empirico della cucina, trasmettere un sapere scientifico e tecnico a partire da elementi della vita quotidiana”. Dal punto di vista scientifico quindi è opportuno riconsiderare alla luce dei piatti da cucinare i fondamenti della chimica e della fisica. Riconducendo il concetto di tale cucina all’alveo più propriamente familiare e casalingo è opportuno valutare la difficoltà di molte ricette che richiedono una cultura scientifica del cuoco/a, una strumentazione spesso non economica, una serie di ingredienti non sempre facile da reperire e, perché no, uno spazio di lavoro che consenta la collocazione delle “macchine” non sempre presente nelle nostre case. Ecco quindi che la definizione di Cassi, “fare della gastronomia una vera e propria scienza, studiando i processi fisici e chimici a cui sono sottoposti i cibi durante la cottura”, pone alla “casalinga di Voghera” un grosso ostacolo in entrata e sicuramente la spinge verso la più facile lettura di un classico della cucina tradizionale come l’Artusi.
La cucina come laboratorio
Una cucina di qualunque abitazione può essere tranquillamente assimilata a un laboratorio di chimica, così come anche la cucina di un ristorante. Fornelli, filtri, centrifughe, forni, planetarie, frullatori, distillatori, evaporatori, frigoriferi, bilance… sono tutti strumenti presenti sia in una cucina che in un laboratorio di chimica. Le differenze sono nel metodo che si mette in pratica, nei rispettivi ambienti. Se in un laboratorio il metodo usato è quello scientifico, che prevede un esito dimostrativo assimilabile a legge, in cucina il metodo usato è finalizzato a un obiettivo alimentare. Una analogia particolare è l’uso del calore che unisce i due metodi sempre con i medesimi e separati obiettivi, anche se questo criterio è un po’ avulso dalla particolare cucina che stiamo esaminando.
Una differenza, invece, che spesso pone una linea di frontiera ben demarcata, è che mentre in cucina si tende a unire le diverse sostanze, in chimica si vuole, nella maggior parte dei casi, separarle. Per il resto, la chimica è uno strumento molto importante per l’arte culinaria non solo perché consente di ottimizzare la preparazione dei cibi, ma anche perché riesce a informare meglio circa la efficacia sulla nostra salute di tutte le sostanze con cui ogni giorno ci alimentiamo.
Ovviamente in questa sede escludiamo a priori la chimica in uso nella preparazione industriale dei cibi e la chimica applicata alle scienze nutrizionistiche e mediche.
Le trasformazioni
Per delimitare ulteriormente il campo di indagine, possiamo escludere le classiche trasformazioni fisiche, quelle cioè che producono cambiamenti nella materia reversibili, da quelle propriamente chimiche, cioè che producono cambiamenti non reversibili. Quindi, non considerando la fusione, l’ebollizione, la solidificazione, la condensazione etc., possiamo cominciare a esaminare più da vicino qualche tecnica di cucina molecolare che utilizzi consapevolmente conoscenze scientifiche precise.
Le trasformazioni principali delle sostanze trattate in cucina investono la materia, il colore, la consistenza, il peso e il volume. Ovviamente tutte insieme concorrono poi alla formazione dell’aspetto visivo, del profumo e del sapore ma queste caratteristiche esulano poi dalla scientificità della chimica, rientrando più nella sensibilità individuale e nell’estro e nelle capacità del cuoco/a.
Passiamo ora in rassegna le trasformazioni chimiche principali secondo il tipo di sostanza cucinata. Per nostra praticità supponiamo che tali trasformazioni avvengano in presenza di modificazione della temperatura.
Gli zuccheri presentano una varietà di trasformazioni a seconda del tipo; quelli semplici, in presenza di liquidi si sciolgono, e quando la cottura viene prolungata l’acqua evapora e si forma lo sciroppo. Quando si superano i 100°C lo sciroppo, una volta raffreddato, modifica la sua consistenza, fino alla caramellizzazione. L’amido in presenza di acqua inizia ad assorbirla e a gonfiarsi a 60-70°C, moltiplicando il suo volume e formando la cosiddetta “salda amida”, usata per dare viscosità alle creme. La cellulosa con l’aumentare della temperatura tende ad ammorbidirsi rendendo i vegetali più facilmente digeribili.
Le proteine a temperature superiori ai 55-60°C coagulano, modificando la loro struttura e legandosi tra di loro. Questo fenomeno è ben visibile nell’uovo bollito; per questo motivo, cioè per le sue proprietà leganti, l’uovo è un ingrediente fondamentale per dare la giusta consistenza a molte preparazioni.
I grassi con le alte temperature si fondono e diventano sempre più fluidi. Una regola fondamentale è quella di non far mai raggiungere ai grassi il punto di fumo, cioè la temperatura in cui un grasso alimentare riscaldato comincia a rilasciare sostanze volatili che divengono visibili sotto forma di un fumo tendente al colore azzurro, formando anche acroleina, una sostanza tossica.
La cottura provoca la distruzione di molte vitamine, soprattutto quelle idrosolubili (Vitamina C e gruppo B), e se sottoposte a cottura subiscono la distruzione con una perdita fino al 50%. Più aumentiamo la quantità di acqua e dei tempi di cottura e più si disperdono le vitamine.
I sali minerali, invece, si disperdono nel liquido di cottura, mentre nelle cotture a secco la perdita è minima. Più aumentiamo la quantità di acqua e i tempi di cottura e più si disperdono i sali minerali.
L’acqua in cottura si trasforma in vapore portando a una concentrazione delle sostanze nutritive e dei sapori in essa immersi precedentemente. Nella carne e nei pesci la fuoriuscita dell’acqua è causata dalla rottura delle cellule.
Tecniche principali della chimica in cucina
In realtà la cucina molecolare non prevede l’utilizzo delle classiche tecniche di cottura e la fiamma non viene quasi mai utilizzata. Al suo posto vengono impiegate le reazioni chimiche, che cuociono gli ingredienti in un modo del tutto innovativo modificandone sapore, colore e consistenza. Tra le tecniche più impiegate in questa cucina troviamo la gelificazione, la sferificazione, la sospensione, l’emulsione, la pressurizzazione con il sifone, la polverizzazione, il raffreddamento tramite azoto liquido e la frittura nello zucchero.
La gelificazione è una tecnica che permette di trasformare un liquido in un alimento solido grazie a una serie di agenti in grado di solidificare la componente liquida (idrocolloidi, ovvero sostanze non idrosolubili in acqua che hanno la capacità di addensare il composto).
Il processo di gelificazione è possibile grazie a sostanze come gli amidi o le proteine animali: in casa, per ottenere questa consistenza, sono sempre stati utilizzati l’amido e la colla di pesce, che hanno la capacità di intrappolare l’acqua all’interno degli addensanti che contengono, creando una struttura più solida e compatta.
La colla di pesce non è altro che una gelatina essiccata in fogli. Già i Romani e gli Egiziani utilizzavano nei loro piatti un legante preparato cuocendo a lungo carne e ossa di animali. Anche in questo caso, si tratta di un prodotto di origine animale, che inizialmente si otteneva a partire dalla vescica natatoria di pesci, come lo storione, e dalla cartilagine. I fogli che si trovano oggi in commercio, però, sono perlopiù ottenuti dalla cotenna e dalle ossa di maiali e bovini.
È possibile gelificare anche con l’amido. Si tratta di un polisaccaride complesso insolubile in acqua, che, grazie al riscaldamento in ambiente acquoso, si gonfia incorporando il liquido e creando una sorta di viscosità. Anche in questo caso, sarà necessario far cuocere l’amido nel composto da gelificare: con il calore riuscirà a dare consistenza.
Dal 1997, all’amido e alla colla di pesce si è affiancato l’Agar, un gelificante derivato dalle alghe utilizzato da secoli nella cucina asiatica. L’Agar è un legante molto potente che addirittura gelifica dieci volte più velocemente della gelatina normale, motivo per cui bisogna prestare molta attenzione alle dosi utilizzate perché anche un solo grammo in più potrebbe completamente rovinare la ricetta. Estratto da un tipo di alga rossa, il gelificante era impiegato in Giappone già nel XV secolo. L’Agar giunse in Europa nel 1859 grazie all’introduzione massiccia del cibo orientale e, all’inizio del XX secolo, iniziò ad essere impiegato nell’industria alimentare.
Attraverso la sferificazione è possibile incapsulare una sostanza liquida all’interno di una sfera di grandezza variabile, ciò consente di concentrare i sapori all’interno di piccoli globuli che scoppiano in bocca. Per realizzare queste sfere si deve amalgamare il liquido scelto (succo di frutta, sciroppo etc) con un colloide, ad esempio l’alginato di sodio, poi si preleva con una siringa il composto ottenuto e si lascia cadere goccia a goccia in una soluzione di cloruro di calcio. A contatto con il calcio, le gocce si solidificano in piccole sfere che restano morbide e liquide all’interno.
Una sospensione è una miscela, in cui un materiale, finemente suddiviso, è disperso in un altro materiale in modo tale da non sedimentare in tempo breve. Le sospensioni sono costituite da un componente allo stato solido (componente minoritario) che è finemente disperso all’interno del componente maggioritario che è allo stato liquido. La sospensione nella cucina tradizionale è molto diffusa grazie a strumenti come colini e setacci. Nella cucina molecolare, facendo uso di alcuni additivi, prima fra tutti la gomma xantana che non altera il gusto originale, è possibile rendere delle sostanze liquide particolarmente cremose, grazie alle molecole della gomma che creano una sorta di rete che imprigiona l’aria all’interno del liquido. La particolare consistenza dei liquidi così ottenuta è capace di far restare in sospensione alcuni elementi, come frutta o erbe aromatiche, evitando che precipitino sul fondo.
L’emulsione è un miscuglio di due liquidi insolubili l’uno nell’altro, dei quali uno è, in genere, grasso (per esempio l’olio) e l’altro è acido (per esempio il limone). in un contesto di cucina molecolare realizzare un’emulsione significa trasformare dei liquidi in mousse dalle consistenze molto leggere, quasi aeree. Infatti a seconda dell’addensante e dall’emulsionante utilizzato, un’emulsione può avere consistenza differente, dalla consistenza cremosa a quella areosa, e questo permette agli chef molecolari di presentare nel menú piatti come “aria di zafferano”, “aria di pompelmo”, “schiuma di fragole”.
La pressurizzazione con il sifone viene applicata per realizzare spume e mousse, sia dolci che salate, tramite un sifone da cucina, senza l’aggiunta di un agente emulsionante. Si versano gli ingredienti allo stato liquido all’interno del sifone e si inseriscono una o più cartucce di gas, a seconda delle quantità desiderate. Le cartucce liberano l’aria all’interno del sifone. Le bolle di gas penetrano nel liquido e ne fanno aumentare così il volume.
La polverizzazione, altra tecnica diffusa nella cucina molecolare, consiste nel trasformare liquidi grassi in polveri fini. Questo processo avviene grazie alla maltodestrina, uno zucchero in polvere derivante dalla tapioca che, mescolato con un liquido, permette di ottenere un composto “polveroso”, adatto ad accompagnare e decorare portate di ogni tipo e gusto.
Il raffreddamento tramite azoto liquido è una delle tecniche più note e spettacolari della cucina molecolare. L’azoto è un gas molto diffuso in natura che può essere utilizzato allo stato liquido come agente refrigerante per uso alimentare. L’azoto liquido ha infatti la capacità di raffreddare gli alimenti in tempi molto più rapidi rispetto al tradizionale procedimento del congelamento; data la velocità dell’operazione, le molecole dell’ingrediente raffreddato si cristallizzano in strutture molte più piccole rispetto a come sarebbero se congelate. Si ottengono così gelati di qualsiasi alimento, che danno una sensazione di freschezza senza anestetizzare le papille gustative. La spettacolarità della tecnica è dovuta al fatto che l’azoto liquido quando viene a contatto con l’aria, sprigiona una fumata di vapore bianco.
La frittura nello zucchero consiste nel friggere i cibi non nell’olio come di solito avviene, bensì in una miscela di zuccheri fusi. Questi permetterebbero la formazione della classica crosticina della frittura senza penetrare all’interno: essendo viscosi, gli zuccheri creano una sorta di pellicola capace di isolare l’interno, mantenendo così tutti i succhi e i sapori originali. Il risultato è una frittura senza grassi, croccante all’esterno e tenera all’interno.
Comunicazione nella cucina molecolare
Un aspetto decisivo negli sviluppi di questa nuova scienza lo assume l’aspetto della comunicazione, in relazione soprattutto ai mezzi di diffusione. Se dal punto di vista scientifico diverse Università italiane cominciano a interessarsi alla materia, non altrettanto può dire per il grande pubblico della ristorazione. In effetti i ristoranti che offrono tale cucina sono molto pochi in Italia e sono riservati a una clientela con grandi possibilità economiche. Qualche timida iniziativa comincia a prender piede nelle numerose trasmissioni culinarie che caratterizzano i palinsesti dei canali televisivi nazionali e regionali. Più che altro presentano qualche tecnica a effetto che spinge lo spettatore a incuriosirsi ma, sostanzialmente, resta disattesa la diffusione della cultura presente dietro la cucina molecolare.