Senza “sé” o senza “io”, potremmo dire, parafrasando Freud, è il nucleo intorno al quale ruota l’esistenza di Paolo, un trentenne che cerca di vivere la sua vita in maniera autentica.
Paolo, come chiunque di noi, nasce in una società, con le proprie regole, la propria cultura, il proprio modo di vedere e di gestire la realtà. Come stiamo dunque al mondo noi che entriamo in scena in uno spazio già definito da altri/e e dove, in sostanza, abbiamo già un copione semi-scritto da recitare e che chiamiamo vita? Paolo lotta, fin dall’inizio del libro, per essere sé stesso, al di là di questo “copione”. Osserva il mondo che lo circonda, le dinamiche relazionali, la gestione quotidiana dell’esistenza, i confini della vita sociale e la realtà in cui è immerso e si domanda come fare per non essere risucchiato e travolto, anzi “annullato”, da quel vortice che soffia tutto introno a lui. Decide così di stare fermo, un po’ in attesa di capire come riuscire a ritagliarsi uno spazio tutto per sé, un po’ per non finire a fare la comparsa di uno sceneggiato che non sente suo.
Questo “stare fermo” in attesa di capire trova sostegno nella notizia di cui viene a conoscenza, a proposito di una donna americana, Chloe Jennings, che considerando le sue gambe come parti accessorie, non indispensabili, decide di liberarsene. Di tagliarle. Non è la 2Sindrome da arto alieno”, che è un disturbo della psicologia clinica/psichiatria in cui una persona ritiene che quella parte del corpo, quell’arto non siano propri. Al contrario. Paolo sente sue quelle gambe, ma si sente come costretto a non poterle impiegare liberamente per percorrere la propria vita liberamente e in piana autonomia. A cosa servono quindi un paio di gambe se non posso decidere io come utilizzarle e in quale direzione muoverle?
La paralisi esistenziale, oltre che fisica, è anche degli affetti. Francesca, amica attenta e amorevole da tanto tempo lo segue e lo appoggia. In un mondo ipocrita, falso, precostituito, si salva e salva la vita di tutti/e noi quell’eccezione che chiamiamo “amicizia vera”, l’incontro di due anime affini che permette di aprire una finestra di vera relazione, in un mondo di comparse e di ruoli recitati. A Francesca, che rappresenta, la forza femminile che sostiene il cammino di verità e di autenticità che ricerca Paolo, si affianca Alberto. Un alter ego di Paolo, uno come lui, che gli fa sentire che non è l’unico al mondo. La compagnia salva la nostra mente dall’imbarazzo e dalla paura della follia: se sono l’unico a pensarla così, mentre tutti/e gli altri/le altre si sono adattati e vivono (apparentemente) bene in questo mondo, forse sono io quello “sbagliato”, quello che ha problemi.
Riuscirà Paolo a vivere la sua autenticità appieno, a scegliere il percorso più difficile, quello dell’autonomia e dell’”originalità” o finirà per piegarsi e omologarsi al contesto, alla sceneggiatura, che rassicura e include perché anche l’altro/l’altra, vedendoti simile a lui o a lei, si avvicina e ti accoglie. Per essere accolti/e è dunque necessarie rinunciare a sé e vivere l’”io” ossia il copione ascritto a ciascuno e a ciascuno di noi? Naturalmente, non vi sveliamo il segreto del libro, il suo costruirsi pagina dopo pagina e la conclusione alla quale porta. Certamente, il cammino scelto da Paolo è più complesso e più accidentato e ci vogliono forti gambe per percorrerlo. Anche la scrittura del libro non è stata altrettanto facile. Massimo Cracco, dopo poco tempo dall’aver ultimato la stesura del testo, ha sofferto di un’embolia al femore e ha avuto bisogno di cure mediche e di un paio di stampelle per muoversi. Una catarsi, quindi, è stato questo testo per l’Autore. Una catarsi alla ricerca di sé stesso, nell’epoca dell’iperconnessione e della globalizzazione della comunicazione, della cultura, del movimento, ma entro un circuito già disegnato, un perimetro predefinito entro il quale ci muoviamo.
Fa così paura l’autenticità? Una paura irrazionale che porta una persona a vestirsi di un abito non suo per entrare in scena e non rimanere ai margini e isolato/a, oppure, quando espressa, porta gli altri/le altre ad allontanarsi o ad allontanarlo/a per non vedere l’orrore della propria immagine falsa riflessa da quella autenticità?