Daniele Luchetti, maestro indiscusso del cinema italiano, ci ha appena regalato il film Anni Felici, uscito nelle sale lo scorso 3 ottobre. Le vicende raccontate hanno come retroterra la sua storia familiare. Nella costruzione dei personaggi principali ed in particolare di Guido e Serena – interpretati da Kim Rossi Stuart e Micaela Ramazzotti – non ritroviamo solo i genitori ma anche le tante persone avvicendatesi nella sua vita: se stesso, gli altri familiari, le sue compagne. Si tratta dunque di una pellicola popolata di presenze, il che conferisce spessore e autenticità ai personaggi. Lo stesso Luchetti è presente sia nel personaggio di Dario, il primogenito che filma e registra con una telecamera gli avvenimenti, sia come io narrante. Anni Felici, ambientato nei primi anni ’70, racconta una storia ad un tempo unica eppure collettiva. La tormentata relazione tra Guido e Serena si regge, fino ad un certo punto, sul più classico dei rapporti di dominazione: quello dell’uomo che va con altre donne e della donna che lo insegue. Lui è un artista “rivoluzionario” mentre lei è una casalinga dedita al marito e ai figli. L’incontro con Helke, interpretata da Martina Friederike Gedeck, cambia la vita di Serena: la inizia al femminismo durante una vacanza senza marito in Camargue, diventa la sua amante, sospende il rapporto di dipendenza di Serena da Guido. Chi rimane invece intimamente ancorato alla tradizione è proprio Guido che, al di là della maschera di artista antiborghese, non accetta il tradimento della moglie e si mostra sorpreso della sua relazione lesbica con Helke. Dall’abbandono della moglie ricava però una spinta formidabile e sincera per la sua arte: costruisce un’enorme statua che diviene la metafora della sua assenza. I due crescono umanamente però senza l’esito scontato del lieto fine. Guido e Serena infatti non torneranno mai più assieme eppure non si lasceranno mai. La fine del loro matrimonio, nell’anno del Referendum sul divorzio (1974), darà avvio ad una relazione forse ancor più sofferta ma libera, stabile come una roccia nell’andirivieni di altre persone nello rispettive vite. Alla domanda su cosa resta degli anni ’70 nel film, Luchetti sottolinea come la creatività nei più diversi ambiti, dall’arte alle relazioni, rappresenti l’aspetto principale di tutta la vicenda narrata. La scelta di mettere in primo piano la sfera relazionale a discapito del racconto politico rappresenta indubbiamente un’evoluzione nella carriera del regista che in passato si è distinto, in film culto come Il Portaborse (1991) e La Scuola (1995) ma anche Mio Fratello è Figlio Unico (2007), per l’impegno e la passione civile nella denuncia delle storture del sistema politico italiano. È vero che già ne La Nostra Vita (2010) veniva dato grande spazio alla famiglia, ma è solo in quest’ultimo lavoro che il tema decolla in tutta la sua potenza. Sarà per il carattere parzialmente autobiografico, sarà come dice Luchetti che di film politici in giro ce ne sono già molti, sarà perché il bisogno di parlare di sé ha avuto la meglio sul racconto di un Paese ormai “indecifrabile”, rimane comunque il fatto che Anni Felici è una coraggiosa operazione di disvelamento non solo dell’accaduto ma anche del desiderato. Come spiega lui stesso, le tormentate figure di Guido e Serena rappresentano due genitori indubbiamente turbolenti ma molto più risolti di quanto non lo fossero realmente i suoi. Non c’è tuttavia traccia, nelle sue parole, di nostalgia per il passato. Per le coppie di ieri come per quelle di oggi i figli rappresentano comunque un potente trait d’union, tant’è che anche Guido e Serena si lanciano in acqua per salvare Guido che rischia di affogare. I riferimenti cinematografici sono molteplici e vanno da Cassavetes fino a Bergman, senza dimenticare Nanni Moretti, suo maestro ed amico. Nel panorama degli attori italiani gli piacerebbe dirigere Sergio Castellitto. I giovani poi sono la sua passione e c’è da credergli dal momento che ha tenuto a battesimo attori come Alba Rohrwacker ed Elio Germano.
Pasquale Musella