È vero che fake news e post verità – portato inevitabile del flusso continuo di condivisioni nella rete – costituiscono trappole insidiose anche per il giornalismo professionale. Tuttavia la difficoltà maggiore per chi opera con scrupolo e mestiere nella galassia della comunicazione rimane, a mio modesto avviso, un’altra: infrangere l’analfabetismo funzionale, ancora largamente diffuso anche tra chi mostra disinvoltura nel web, trova sempre nuovi link, frequenta i social, esprime commenti, nativi digitali compresi. In troppi ancora sono diffusi scarso senso critico, l’incapacità di distinguere le fonti verificabili da quelle inattendibili e dunque – rieccoci – la tendenza a credere ciecamente alle informazioni ricevute. Toccherebbe proprio a noi giornalisti, insieme alla scuola, promuovere il modo attivo e autonomo di maneggiare l’informazione liquida, quella del terzo millennio.
Ma, troppo spesso, le nostre preoccupazioni sono altre: ci condiziona il politicismo, quel dare eccessiva importanza agli ambienti della politica cui finiamo immancabilmente per riferirci e per cui di conseguenza ogni altra ‘notizia’ e ogni diverso sguardo al sistema paese finiscono per essere secondari. Non è un tic solo italiano: tutti i media occidentali hanno tratti somatici simili, quotidiani cartacei in testa ma anche news televisive. Eppure interfacciarsi in misura meno totalizzante con la politica, dare diversa e giusta gerarchia agli ‘altri’ fatti e referenti potrebbe costituire quel grande salto che premierebbe gli sforzi di tanti colleghi di testate indipendenti e/o locali da tempo (alcuni da sempre) impegnati nel racconto della realtà, acquisendo al tempo stesso nuova credibilità e fiducia da parte del pubblico, spronato a crescere e a sentirsi parte autenticamente attiva nel circuito della comunicazione. Ben al di là di un semplice click.