Cantautrice di origine slovacca, Livia Jurickova ha deciso di presentarsi al mondo con il nome d’arte di Liia. Dopo essersi avvicinata alla musica a 7 anni come componente di un ensemble di musica sacra, durante l’adolescenza si è messa alla prova con i musical in scena al teatro DAB di Nitra. Ha poi ampliato la sua esperienza come voce solista di una band di swing blues e una di pop rock, collaborando con artisti slovacchi di rilevanza nazionale come il chitarrista Juraj Topor. Ha studiato dizione, recitazione (con Allen Barton), danza (con Jaime Rogers) e canto (Kyle Puccia) alla Beverly Hills Playhouse di Los Angeles. Negli ultimi anni, oltre a portare avanti l’attività artistica, ha scelto di concretizzare uno dei suoi grandi sogni, essere cantautrice.
Lei dice che si può essere come le farfalle, che trovano un rifugio ovunque si trovano.
È con il rapporto speciale con la Signora Musica, che le consente di esprimersi davvero per come vorrebbe, che lei ha trovato il suo rifugio protetto?
Le dico questo perché quando osservo le sue foto la vedo, tra il contesto panoramico e il suo sguardo, immersa nella musica, mi sembra che lei non si fermi mai e pensi sempre a nuovi testi. Come ogni grande artista che non conosce pause.
“Effettivamente mi ritrovo in tutto ciò che ha detto.
La musica è stata la vera costante della mia vita, ciò che da sempre mi fa stare bene. Prima cantavo solamente e mi perdevo nelle belle melodie o nei testi in cui riuscivo ad immedesimarmi. In seguito ho scoperto il cantautorato, tutto è diventato esponenzialmente ancora più grande ed importante.
Sono miei diari musicali che mi accompagnano ovunque mi trovi; cosa posso pretendere di più!”
Per questo EP ha avuto l’onore di collaborare con musicisti di alto livello tra i quali: Silvio Masanotti, Guido Block, Valentina Corsano e, non per ultimo, Kyle Puccia.
Ogni volta che si collabora con un artista, con sguardo attento e silenzioso, gli si “ruba” qualche segreto per migliorarsi. Lavorando insieme a questi musicisti quali aneddoti ha ricevuto in dono tanto da proteggerli con cura nello scrigno degli insegnamenti?
“Lavorando con dei professionisti ad alti livelli mi sono sentita piccola; oggi dico che bisogna sempre pensare fuori dagli schemi, uscire dalla famosa propria zona comfort e studiare, sempre.
Aggiungo anche che, quando si lavora con gli altri, bisogna sempre affidarsi, fidarsi ed allo stesso tempo ricordare di non snaturarci.”
L’autore della copertina dell’EP è Pier Tofoletti, artista di fama mondiale, e deve essere stato un onore per lei essere ritratta da lui.
“Osservando il ritratto non vedo una Liia sorridente, ma malinconica e pensierosa, come se i suoi occhi facessero fatica ad accendersi per tirare fuori ciò che ha dentro e farsi ritrarre, e i lineamenti del suo viso esprimono la sua immersione nella musica anche durante un ritratto, come se non riuscisse a staccarsi dalla sette note.
Possiamo parlare di una Liia che ancora non riesce del tutto a tirare fuori il suo immenso, sensibile, affascinante, umano, potenziale musicale?”
“Il ritratto è un dono di mio marito. Dato che mi sono rivista molto nella malinconia nello sguardo che spesso rispecchiava lo stato d’animo espresso nelle canzoni (certo, non tutte), ho chiesto all’artista Tofoletti di poterlo utilizzare come copertina dell’album; è stato molto gentile a concedermi questo privilegio.
Quel tipo di malinconia farà sempre parte di me e mi rappresenta molto ed è la prima cosa che mi è sembrato giusto e bello mostrare…sul resto lavoro ogni giorno e spero di poter migliorare, sempre.”
Un altro mezzo espressivo che lei usa sono i colori: si immagini di poter salire sull’arcobaleno, e dover cantare da lassù. Su quale colore si fermerebbe per dipingere l’emozione del volo artistico che la sua vita sta prendendo?
“In questo momento sicuramente azzurro: malinconico, calmante, deciso, vivace, puro.”
Nel brano “Flowering Trees” lei parla della malinconia che prova nell’aver lasciato la sua famiglia di origine in Slovacchia. La sua nuova famiglia è da un lato quella costruita in Italia, dall’altro quella con la relazione con la Signora Musica, che fra note, immagini, e parole la protegge.
La nostalgia non può essere anche uno strumento a lei utile per parlare della sua terra di origine che magari alcuni non conoscono?
“Sicuramente a volte sento la mancanza della mia famiglia d’origine, e provo nostalgia di alcuni ricordi del passato; dovessi rinascere, non modificherei però nessuna delle mie scelte in quanto non mi troverei dove sono. Quindi nostalgia sì, ma solo come mezzo di espressione in grado di rispecchiare uno stato d’animo momentaneo che racconta più che altro legami. “
Il brano “Enough” è nato dopo una brutto litigio che lei ha avuto: parla di sofferenza, innocenza rubata, della stupidità dell’orgoglio.
Secondo lei, se un animo sensibile che sta così male tanto da distruggere pezzi di sé, scappa da una guerra che rifiuta, può essere dignitoso e nobile anche arrendersi, davanti a una sofferenza così forte per vivere sereni e felici?
“Il brano Enough sicuramente parla di questo ma in termini meno drammatici. Vuole essere da sprone a dire basta a chiunque vive una relazione in cui si sente in gabbia.
La speranza è che chi soffre molto possa imparare a riconoscere di valere abbastanza per non doversi più sottomettere a certe situazioni.”
Nel brano “Invisible” lei parla di quanto sarebbe affascinante essere invisibili, ma è impossibile. A volte vogliamo essere invisibili per travestirci da ciò che non siamo, perché non riusciamo a farci accettare e, come questa società ci impone, dare per forza il meglio come se sbagliare non fosse permesso. Bisogna esprimere il proprio io anche per essere invisibili, serve per avvicinarsi al proprio animo. Se dovesse descrivere il suo compagno dell’invisibilità che la aiuta chi sarebbe?
Qualcuno per lei non è invisibile.
Secondo me lei ha chiaramente visibile il concetto dell’amore universale, e con la sua musica lo rende visibile.
La sua verità qual è? Chi è visibile per lei?
“La ringrazio molto per il grande complimento finale e per la domanda molto articolata a cui faccio fatica a rispondere con semplicità.
Sarà scontato, ma per me non saranno mai invisibili i miei bambini, i familiari stretti e qualche amico/amica che negli anni hanno dimostrato che anche io per loro esisto.
Cerco sempre il buono in chi mi circonda ma non sempre, un po’ per ingenuità, mi è andata bene.
Fa tutto parte della vita, certo, ma spesso è difficoltoso far fronte alle delusioni quindi si è portati anche a snaturarsi pur di piacere a più gente possibile. Farlo non è mai vincente. Dobbiamo ricordare che ci sarà sempre qualcuno – le persone giuste – che ci amerà e troverà visibili nella nostra integrità; va benissimo ed è bellissimo così.”
Mi ha colpito un verso della canzone “I’m not perfect”: “ Mi arrabbio un po’ troppo facilmente.”
È l’ammissione del fatto che attraverso la musica sta cercando un po’ di quella calma che a volte perde? Ho la percezione che attraverso questo testo lei comunichi che si vorrebbe più tranquilla, vorrebbe quella serenità interiore che non ha ancora trovato del tutto.
“Sì, sicuramente “I’m not perfect” è un’ammissione di tutte le mie debolezze ed imperfezioni che non ho nessun problema ad ammettere. Nella vita però, spesso, mi hanno percepito in modo non conforme al mio essere e questo invece mi spiace; è di questo che ho voluto parlare.
Uno sguardo meno superficiale fa emergere le vere identità.
Per quanto mi riguarda, chi mi conosce meglio sa che ho sì, delle complessità, ma vivo con slancio l’affettività.”
Nel brano “I owe it all to me” parla del perdono e del desiderio di essere ascoltati. È attraverso il suo rapporto con la scrittura che riesce a farsi ascoltare e riesce a perdonare?
Mi ha colpito il verso: “I owe it all to me”. Sembra la frase del perdono. Qualsiasi cosa ci accade ci forma e trasforma, ma dobbiamo tutto a noi stessi, in quanto, essendo le persone più importanti della nostra vita, dobbiamo dare meno importanza agli altri e a ciò che accade.
Come secondo lei il dolore può davvero guarire, quando invece dal dolore tendiamo a scappare?
Inizio partendo dal fondo.
Io non scappo mai dal dolore: lo vivo, soffro, cerco di comprendere i suoi insegnamenti, scrivo canzoni e nel giro di qualche tempo – relativamente corto – passa tutto.
È vero “I owe it all to me” parla proprio del perdono. Perdono chi mi ha messo al mondo di non aver voluto essere un padre perché quest’esperienza mi ha reso più forte. Certo, poi devo tantissimo a me in quanto ho dovuto lavorare tantissimo su me stessa, sull’accettazione in tutte le sue sfaccettature; in qualche modo dobbiamo salvarci,chi può volerlo più di noi stessi!
Per concludere direi che la sua analisi è giusta.