Il soldato Tritz era stato colpito più volte durante la guerra, e un frammento di metallo gli aveva fratturato il cranio lasciandolo in preda a turbe psichiche. Fu ricoverato e gli fu fatto l’elettroshock ben 28 volte con scarsi risultati. Infine venne ammesso alla pratica medica più innovativa e popolare della momento: la lobotomia. Oggi il quotidiano Wall Street Journal sta rivelando in una serie di articoli che la stessa sorte toccata la pilota d’aereo da combattimento Roman Tritz è stata divisa da altri duemila soldati americani, tutti trattati con la “Cura del punteruolo” del dottor Walter Freedman. Freeman aveva appreso a sua volta l’operazione fin dalla prima applicazione nel 1935 da parte del suo ideatore portoghese, il dottor Egas Moniz, che 14 anni più tardi fu premiato con il Nobel per la medicina per la scoperta. L’intervento comportava la trapanazione del cranio nei punti sui quali si voleva intervenire. Un anno dopo il medico americano era pronto a praticarla nella sua versione “transorbitale” su una paziente di 63 anni che soffriva di depressione, ansietà e insonnia, ed era afflitta da manie suicide.L’idea di Freeman era che la percezione di tali stati mentali dipendeva dall’eccesso di attività dei lobi frontali, e che una volta semplificata la rete neurale, il problema sarebbe stato risolto. L’operazione riuscì perfettamente, e la donna, Ellen Ionesco, ne è ancora riconoscente oggi all’età di 88 anni. L’intervento era di una tale facilità che Freeman si offrì di ripeterlo in pubblico, nelle aule universitarie e nei laboratori ospedalieri, spesso senza nemmeno far ricorso all’anestesia; qualche volta operando a due mani contemporaneamente. L’esecuzione era talmente casuale nella trapanazione e nella cesura dei nervi da essere raccomandata anche a personale non necessariamente medico. Il figlio Walter, a sua volta divenuto più tardi un neurobiologo, ricorda che il padre la praticò per anni con fervore missionario, e che in una sola trasferta in West Virginia nel ’52 ne effettuò 228 in due settimane.Le donne erano il suo bersaglio preferito, ma non si fermò di fronte a bambini irrequieti, a figli che rifiutavano le nuove nozze di uno dei genitori, persino un giovane che «sognava ad occhi aperti, e la notte dormiva con la luce accesa in stanza» come si legge nel referto medico che accompagnava la cartella di Lou Dully, operato a sua insaputa. Si fermò solo nel febbraio del ’67 dopo la morte per emorragia cerebrale di Hellen Mortensen. Alle spalle lasciava una scia di operazioni dal risultato terrificante: un terzo concluse con successo, un terzo con pazienti incapaci di vivere autonomamente, un terzo terminate in disastro. La sua reputazione era nel fango dopo che l’apparizione della Torazina a metà degli anni ’50 aveva mostrato una alternativa farmacologica alla pratica da macellaio da lui proposta. Il dr. Freeman morì nell’oblio generale nel ’72 per un tumore.Ma nel 1943, con il ministero della Difesa americana prostrato di fronte alla crisi psichiatrica dei reduci di ritorno dal fronte, il capo della Veteran Administration Frank Hines non ebbe esitazioni: “Approvato” stampò con un inchiostro viola sulla partica che raccomandava la cura del punteruolo per i suoi ex combattenti.
Giampaolo Giudice