Se si avvereranno le previsioni fatte in una recente intervista al Financial Times da Anna Wintour, la Miranda Priestly de “Il Diavolo veste Prada” , direttrice di Vogue dal 1988 e di recente messa alla guida di quasi tutti gli altri periodici del gruppo editoriale Condè Nast, il 2021 – complici il progressivo allentamento delle misure anti – Covid e il favore mostrato dai governi dei diversi Stati verso politiche economiche di sostegno a investimenti e consumi – sarà l’anno in cui, nelle parole della Wintour, «tornerà nel mondo l’appetito per le merci di lusso». Di più, in un autentico slancio di ottimismo per le prospettive del settore, la giornalista britannica con cittadinanza statunitense si è detta convinta che l’anno in corso segnerà il ritorno a degli «Anni Venti Ruggenti», con evidente richiamo ai Roaring Twenties del secolo scorso: a motivare questo entusiasmo ha contribuito quanto osservato dalla stessa Wintour con le recenti file davanti ai negozi di Gucci e Dior in occasione della loro riapertura in una Londra progressivamente fuori dalle fasi più acute dell’emergenza pandemica; sul punto il commento della giornalista è stato che la «gente è stata chiusa in casa per troppo tempo e ora vuole uscire e spendere. Vogliono viaggiare. Vogliono tornare a vestirsi» (si tratta del cosiddetto fenomeno del revenge spending, che ha attirato anche l’attenzione degli psicologi dei consumi).
Particolare attenzione i brand del lusso dovranno prestarla alla cosiddetta Generazione Z, ovvero ai nati tra il 1998 e il 2016, fortemente propensi alla spesa nel campo del lusso, come riportato dal rapporto A generation without borders della londinese OC&C Strategy consultants, che di questa generazione sottolinea, a vantaggio dei produttori e dei rivenditori, la tendenza a “vivere” online piuttosto che ad “andare” online, il fatto cioè che con loro sembra essersi definitivamente annullato, nel segno della piena convergenza e ibridazione, il confine tra digitale e reale, e ugualmente ibrida dovrà essere, per avere successo, la loro esperienza di consumatori, anche nel campo del lusso: accanto al negozio fisico, che presumibilmente acquisirà un nuovo valore anche per questa generazione che, per quanto iperconnessa, ha comunque accusato il colpo di un anno privo di significative interazioni sociali “offline”, a cominciare da quella scolastica, dovrà essere pienamente sfruttato il canale digitale, che per i membri della Generazione Z si estende ad amplissimo spettro, dai social – particolarmente Tik Tok e Instagram, dove è per loro importante l’interazione con gli influencer – ai siti internet dei produttori, con i quali, per questa via, i giovanissimi possono chattare e interagire direttamente.
È quindi ad un quadro di ottimismo e tensione al futuro che possono guardare al mondo post – Covid i grandi marchi del lusso, compreso lo Swatch Group, il maggior produttore mondiale di orologi che copre il segmento di mercato denominato “Prestigio e Lusso” con marchi quali Breguet, Harry Winston, Blancpain, Glashütte Original, Jaquet Droz, Léon Hatot e Omega. In effetti, lo stesso bilancio presentato lo scorso marzo e relativo al 2020, l’annus horribilis della pandemia, va interpretato con grande attenzione e comunque non solo in senso negativo, almeno nell’interpretazione di Nick Hayek, direttore generale del gruppo svizzero. Secondo quest’ultimo, infatti, da un lato lo stesso 2020, pur nel vistoso calo che lo ha caratterizzato rispetto al 2019, ha visto, a fine anno, una leggera risalita trainata dai mercati cinese e statunitense, che però valgono da soli più di metà del totale delle esportazioni del gruppo (è invece rimasto al palo il mercato europeo, in affanno anche per la mancanza dei normali flussi turistici; d’altro canto, ancora secondo Hayek, il 2020 va considerato comunque un anno non classificabile e che ha più senso confrontare i dati del 2021 con quelli del 2019, ultimo anno “normale”. E da questo punto di vista le prospettive sembrano incoraggianti, visto che nei primi due mesi del 2021 le esportazioni verso i due principali mercati, appunto Cina e Stati Uniti, fanno registrare, proprio sul 2019, un aumento, rispettivamente, del 47,9 per cento e del 15,2.
Novità positive, specie in prospettiva, sembrano venire inoltre per l’industria orologiera svizzera e quindi anche per lo stesso Swatch Group, dal rinnovato impegno che una delle due principali organizzazioni rappresentative degli industriali elvetici dei segnatempo, la Convention
patronale de l’industrie horlogère suisse, ha annunciato di voler mettere, in una con le iniziative in tal senso del governo a favore della formazione professionale di giovani e adulti che, con competenze che spazino dal più raffinato artigianato alle più innovative tecnologie, potranno attivamente mettersi al servizio di un settore che è indubbiamente tra i simboli stessi della Confederazione Elvetica.