Dopo la segmentazione massimalista e draconiana delle tre fondamentali categorie che consentono l’accesso al lusso (benestanti, capitalizzati e consolidati) ci si imbatte in altrettante sue connotazioni fondamentali quanto atipiche: prestigio, esclusività ed eleganza. Atipiche perché non dipendono necessariamente da una capacità di spesa, ma da una distinzione personale (che sia per eccezionalità d’azione o per privilegio genealogico), da un’attitudine specifica, da un privilegio naturale o acquisito.
Il prestigio deriva da tre fattori: nascita, ruolo, meriti o circostanze straordinarie. Non è uno stile, prescinde dalla capacità di spesa. Per godere in forma privata e quotidiana dell’inestimabile stupefacenza del Quirinale o del Palazzo Apostolico, bisogna ottenere “l’incarico” per accedervi. Una volta si poteva comprare il Soglio Pontificio, ma non certo il patrimonio della Santa Sede. Per entrare nel Circolo della Caccia, serve la genealogia prevista dallo statuto, la presentazione di un socio e l’approvazione di tutti gli altri. Entrambe le circostanze, insomma, derivano da processi selettivi (e nel caso, elettivi).
L’esclusività attiene a luoghi, eventi o oggetti rivolti a una o pochissime persone. Ovvero, ne “esclude” la maggior parte. È intrinsecamente connessa al prestigio, con cui si determinano o conseguono reciprocamente.
La fama, che ingenuamente qualcuno confonde con il prestigio, ne consente un giro di prova a termine, condizionato dal mantenimento della fama stessa. Con essa si può anche accedere all’esclusività, ma se non si inserisce in una rete sistemica di relazioni e di reciprocità di interessi, raramente ne consolida e garantisce i benefici. La Diva Planetaria, il Campione turbocompresso, l’Intellettuale in onda, incontreranno favori e lusinghe finché restano tali.
Se l’esclusività è facilmente posizionabile tra i fattori connotanti del lusso, meno immediato lo è per quanto riguarda il prestigio, soprattutto inteso in quanto sociale. Eppure è la risultanza apicale di quanto il lusso persegue. È la distinzione, la distanza da ciò che è comune e che da esso lo separa, l’elevazione e la separazione da ciò che è abituale, diffuso, accessibile. Il prestigio è la bandierina che segna l’inizio di uno spazio “sacro”, di una sacralità laica, quella del distante e del proibito, che tramanda nei secoli il bosco di cedri di Gilgamesh in Central Park, o lo scettro uas del faraone nella Nuclear Football del Presidente degli Stati Uniti. Quindi il prestigio ha un effetto evocativo altamente fascinatorio e simbolico che definisce uno status riconosciuto, sicuro e influente. Non solo incorpora e rappresenta i fattori chiave del lusso, ma li supera raggiungendo altre aree dell’immaginario collettivo, arrivando fino al potere. Ulteriormente intrigante è il tracciato carsico, mai evidente che il prestigio segue nel suo avverarsi.
Dunque, se un invito a Palazzo non costa denaro, abitare l’altana panoramica di una dimora gentilizia richiede garanzie biografiche e il vaglio del vicinato, godere delle relazioni e della
protezione di un Circolo non dipende dalla mera capacità di onorare la quota sociale, e neanche la fama è un passepartout, conferma che molte esperienze esclusive non rispondono ad alcuna dinamica di prezzo.
È il momento di parlare dell’eleganza. Secondo l’etimologia (e-legere), si tratta di una scelta, di un atto selettivo. Esprime l’armonia globale di un ambiente, di una persona, di un oggetto. Scaturisce dalla consonanza dei singoli elementi che definiscono e sublimano il contesto. Come una conoscenza specifica e interiorizzata consente di esprimerla con sintesi ed efficacia naturali, così succede con i fattori chiave della stilistica dell’eleganza. Quando sono istintivi,conosciuti e abituali, restituiscono scelte armoniche. Funzione, congruenza, misura, equilibrio… e selezione, perché scegliere vuol dire anche escludere, e tutto questo compone il concetto di eleganza, secondo la duplice direttiva della consapevolezza e della sottrazione. La cifra indispensabile dell’eleganza è la semplicità apparente. Si consegue per attitudine, istinto, esperienza, conoscenza e consapevolezza, e anch’essa non è garantita dalla capacità di spesa.
Questa seconda incursione nel mondo del lusso si conclude riproponendo le tre considerazioni al termine della precedente e che si stanno progressivamente spiegando:
– Prestigio e buon gusto non si comprano;
– Quel che costa non è necessariamente bello (ed è bello quel che piace se piace quel che è bello);
– Imitare richiede coraggio e consapevolezza, o porta a un veloce suicidio esistenziale.