Tra meno di dieci giorni in Iran si svolgeranno le elezioni presidenziali. Colui verso il quale il 14 giugno ciascun elettore esprimerà la propria preferenza avrà davanti a sé una strada non facile da percorrere. Ci sono infatti in ballo non solo i problemi legati alla politica estera e alla questione petrolifera, ma anche le gravi difficoltà economiche scaturite dalle sanzioni internazionali, che si sono rivelate altamente debilitanti per la Repubblica Islamica. Il Consiglio dei Guardiani, composto da sei teologi e sei giuristi, ha accettato solo 8 dei 680 candidati che si erano presentati. Ma ciò non deve stupire: nelle scorse elezioni i pretendenti candidati erano 475 (tra cui 42 donne) e il consiglio dei Guardiani ne ammise solo 4. In base all’articolo 113 della Costituzione, il Presidente iraniano è, dopo la Guida Suprema, la più alta carica ufficiale nel Paese, nonché il responsabile per l’attuazione della Legge fondamentale della Stato. E’ inoltre il capo dell’esecutivo, eccetto per le questioni legate direttamente all’ambito di competenza della Guida Suprema, attualmente l’Ayatollah Khamenei. Degli otto candidati ammessi, cinque sono strettamente legati a quest’ultimo, mentre il protetto di Ahmadinejad, Esfandiar Rahim Mashaei, è già stato squalificato, a testimonianza del consolidamento del potere di Khamenei, ormai costante in questi ultimi anni. Grande sorpresa anche per l’esclusione dell’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani, una delle figure più rilevanti della storia nella Repubblica Islamica. Chi sono invece i candidati ammessi? Il primo è il conservatore Mohammad Bagher Ghalibaf, 52 anni, che è al suo secondo mandato come sindaco della capitale Teheran. Altro candidato conservatore è Ali-Akbar Velayati, 68 anni, in passato ministro degli Esteri, attualmente senior adviser per gli Affari internazionali e diplomatici della Guida Suprema. Ci sono poi Golam-Ali Haddad-Adel, Saeed Jalili, Mohsen Rezaei, Mohammad-Reza Aref, Hassan Rouhani e Mohammad-Gharazi. Il primo di questi, Haddad-Adel, 68 anni, conservatore, è un ex deputato del Parlamento; sua figlia è sposata con il figlio di Khamenei. Il 48enne Jalili, conservatore, è il capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale Iraniano, in qualità di negoziatore per il nucleare con l’Iraq. Stessa tendenza politica dei precedenti, Rezaei, 59 anni, è l’attuale segretario del Consiglio per il Discernimento dell’Interesse del Sistema, organo che media tra il Consiglio dei Guardiani e il Parlamento, di cui fanno parte anche Velayati e Haddad-Adel; egli è inoltre un ex comandante del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica. Aref, 62 anni, convinto riformista, è stato vice presidente del Paese durante il mandato di Khatami ed è anche lui membro del Consiglio per il Discernimento. Il penultimo candidato, il leader religioso Rouhani, 65 anni, è membro dello stesso organo, oltre che dell’Assemblea degli Esperti, che vigila sull’operato della Guida Suprema, essendo responsabile della sua nomina ed eventuale rimozione. L’ottavo ed ultimo candidato, Mohammad-Gharazi, nonché il più anziano (72 anni), è un convinto conservatore, ma non risulta avere all’interno di questa competizione una rilevanza maggiore rispetto agli altri otto. I candidati si sfideranno in tre dibattiti trasmessi sulla televisione di Stato. Nel primo di questi incontri, avvenuto una settimana fa, alcuni di loro hanno già manifestato un disappunto verso tale tipo di interviste, che prevedono un tempo preciso e limitato in cui esporre il programma politico di ognuno. Nell’impossibilità di poter effettuare pronostici, ci limitiamo a ricordare che le scorse elezioni passarono alla storia per la forte reazione di protesta che scatenò la rielezione di Ahmadinejad, riconfermato nel 2009 per un secondo mandato, ma con l’accusa da parte dell’opposizione di brogli nei voti ottenuti. Fatto quest’ultimo, che mobilitò soprattutto i giovani, in Iran la maggioranza della popolazione, a manifestare nelle strade di Teheran il loro ferreo dissenso, oltre che la rimozione del neorieletto Presidente. Alla luce di quanto accaduto in questi ultimi anni nei Paesi Arabi e sulla base delle recentissime sollevazioni appena esplose in un paese apparentemente meno a rischio come la Turchia, cosa dobbiamo aspettarci per le prossime elezioni in Iran, paese musulmano, non arabo, in cui l’attrito tra una parte della popolazione e il corpo istituzionale della Repubblica Islamica è notoriamente elevato? Dopo il 14 giugno, solo la storia potrà rispondere al nostro quesito.
Silvia Di Pasquale