La critica, intesa come arte del giudicare, è una facoltà intellettuale imprescindibile dal nostro genere umano. Guai a trascurarla. Provate però a metterla in campo quando il soggetto da criticare è Papa Francesco. Dove sono finiti gli antipapisti più accaniti? Sicuramente esistono ancora; tuttavia, la loro voce è attualmente in modalità silenziosa. L’evidente successo della XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù, svoltasi in Brasile, non rende la vita facile a chiunque sia lì pronto a cospirare contro colui che a Rio è stato accolto da più di 3 milioni di fedeli, giunti da tutto il mondo. Quale il segreto di tanto successo? Forse nessuno di noi è in grado di fornire una risposta sufficiente, capace di giustificare la presenza di quell’enorme fiumana umana, che ha infiammato Rio. I gesti e le parole del Papa, mai scontati, hanno avuto sicuramente un loro peso fondamentale. Pensiamo al momento in cui, nel viaggio di andata, il Pontefice è salito in aereo, trasportando da solo la propria borsa. Un’azione che milioni di persone ripetono ogni giorno, (qualcuno ha già sufficientemente ribadito). Cadremmo tuttavia e paradossalmente nella critica più banale, se non sottolineassimo la simbolicità di quel momento: un Papa, un nuovo Papa, che ha intenzione di non abbandonare quelle che erano le sue abitudini di gesuita, ci ricorda che siamo tutti viaggiatori, come lui stesso è stato e come verosimilmente continuerà ad essere. E proprio il viaggio, che è una delle metafore più significative e pregnanti della nostra esistenza, così come già i grandi della letteratura ci hanno insegnato, da Omero a Dante, porta con sé un peso, una fatica, non addebitabile ad altri. Gesti altamente significativi hanno segnato l’ultima GMG: dal Palco il Papa ha fatto salire una bambina anencefala (senza cervello), baciandola e benedicendo suo padre; probabilmente una chiara presa di posizione nei confronti dell’aborto. Particolarmente emozionante è stato anche il momento in cui un piccolo brasileiro di nove anni, durante il tragitto della Papamobile nel quartiere Carioca di Gloria, ha raggiunto Bergoglio dicendogli: “Santità, voglio essere un soldato di Cristo, un rappresentante di Cristo” ed è poi scoppiato a piangere per l’emozione, così come ha fatto lo stesso Papa. Quanto alle parole, Francesco I si è mostrato tutt’altro che reticente. Passeranno alla storia frasi colorite pronunciate per l’occasione ed indirizzate principalmente ai giovani come “Siate veri atleti di Cristo! Giocate nella squadra di Cristo”, “Non possiamo fare il frullato della fede in Cristo, il frullato è di banana, mela, fragola, la fede non si può frullare, non bevetevi il frullato della fede”, “La fede è rivoluzionaria”, “Non abbiate paura di andare e portare Cristo in ogni ambiente, fino alle periferie esistenziali, anche a chi sembra più lontano, più indifferente. Andate e fate discepoli tutti i popoli”. Il Sudamerica, continente in cui la religione, soprattutto cattolica, non conosce crisi, non può però essere l’unico destinatario delle parole del Papa. Sono infatti l’Europa e forse la stessa Italia le vere sfide di Francesco, tutt’altro che scontate. Certo è che l’ultima risposta del Papa ai giornalisti, che nel volo di ritorno da Rio gli chiedevano un parere sulle lobby gay in Vaticano, ha lasciato un po’ tutti stupiti: “Io finora non ho trovato in Vaticano chi ha scritto “gay” sulla carta d’identità. Tutte le lobby, non sono buone. Se una persona è gay e cerca il Signore con buona volontà, chi sono io per giudicarlo? Il Catechismo della Chiesa cattolica insegna che le persone gay non si devono discriminare, ma si devono accogliere.” Il giorno dopo, sul quotidiano italiano di indirizzo comunista, Il manifesto, compare un articolo dal titolo: “Gay e donne, la svolta del Papa”. E allora, la questione assume una valenza significativa ben precisa, che testimonia ulteriormente come la strada intrapresa da Francesco I sia quella del dialogo e non della chiusura.
Silvia Di Pasquale